Consulenza al commento: Alberto Ronchey; voci off: Nino Castelnuovo, Mario Feliciani, Giulio Bosetti, Nino Dal Fabbro, Riccardo Cucciolla, Mario Trejo; organizzazione generale: Giuseppe Bertolucci.
Durata dei tre episodi: 48', 40', 45'.
«[...] era un documentario su commissione, ma l‘ho fatto cercando di allontanarmi, ogni volta che mi era possibile, dalle tentazioni e dalle regole del film documentaristico. Filmavo i perforatori come se fossero stati i pionieri di un western arcaico, i piloti degli elicotteri come eroi anarchici e individualisti, come personaggi solitari di Godard o di Only Angels Have Wings» (B. Bertolucci, in S. Socci, Bernardo Bertolucci, Il Castoro, Milano, 1995).
«È la storia di un film che si sovrappone a un altro film, cioè la storia di un\\\'interrogazione continua fra l\\\'autore e la materia che gli è stato chiesto di documentare: il percorso che il petrolio copre dall\\\'Iran, dove viene estratto, al Golfo Persico, dove viene caricato, a Genova dove viene scaricato [...]. Il primo film è un film di prosa tradizionale, che richiede all\\\'autore un atteggiamento passivo [...], il secondo, che immediatamente si sovrappone al primo, è un film di poesia in cui l\\\'autore passa in primo piano per parlarci non della realtà - a cui non crede troppo o che non conosce - ma di se stesso, o, al limite, del suo rapporto con la realtà» (A. Aprà, "Cinema & Film" n. 1, inverno 1966/67).
«La prima puntata […] non usa quasi mai un tono direttamente didascalico: grazie ad una macchina da presa sempre in moto, ad un commento musicale deciso anche agli effetti, ad un amalgama di voci diverse, ad una sorta di animismo degli oggetti, ecc., essa rincorre palesemente anche i modi della suggestione poetica. […] Tuttavia a queste intenzioni poetiche si sovrappone spesso anche una sorta di autoriflessione sul cinema come mezzo di riproduzione della realtà […]. L\\\'intenzione lirico-poetica e la presenza del cinema fanno dunque della prima parte della Via del petrolio qualcosa che travalica nettamente l\\\'apparente ordine del documentario: l\\\'unico film pasoliniano di Bertolucci, potremmo rischiare […]. La seconda puntata del documentario, dal titolo Il viaggio, non è invece piú soggettiva o piú libera della precedente: opponendo di nuovo integralmente i modi dell\\\'oggettività e quelli della soggettività, essa trova piuttosto un punto di equilibrio diverso. […] Se la spettacolarità, fatto quasi naturale nella prima puntata grazie al paesaggio iraniano o all\\\'imponenza degli impianti di pompaggio, diventa nella seconda occasione esplicitamente cercata, in vista soprattutto di una certa aria di racconto che si sovrappone al puro e semplice documento, nella terza essa sembra farsi meno urgente, meno evidente: altri modi sopravvengono. L\\\'invenzione centrale della terza puntata, dal titolo Attraverso l\\\'Europa, è infatti quella di un personaggio di finzione, paradossale e un poco folle: Mario, il giornalista sudamericano, che segue il tubo dell\\\'oleodotto con tutti i mezzi di trasporto possibili, persino a piedi, consegnandoci un taccuino di viaggi sorprendente. Qui il rapporto tra la soggettività e l\\\'oggettività diventa spaccatura netta: da una parte c\\\'è l\\\'informazione nuda e cruda […] dall\\\'altra c\\\'è l\\\'intervento del tutto personale o il puro o semplice meccanismo narrativo. […] Attraverso l\\\'Europa, costruito, fino alla letteralità, sui moduli del prima Godard, è zeppo di parentesi “d\\\'autore”: tutte le citazioni, ad esempio, da Welles a Manzoni, da Mizoguchi a Valéry, da Cocteau a Verne, talvolta vere e proprie dichiarazioni d\\\'affetto, talvolta semplice raddoppiamento metalinguistico; poi tutti i momenti d\\\'abbandono che Mario si concede, il suo sognare il cinema, l\\\'ode che legge al treno, il desiderio di una dolcezza del vivere, ecc.; infine, trovata certo notevole, l\\\'inserimento degli spezzoni documentari sotto forma di “memoria” degli operai che hanno costruito l\\\'oleodotto. Sono tutti momenti, questi, che cercano di operare una trasformazione: da documentario fanno diventare Attraverso l\\\'Europa racconto d\\\'una esperienza, abbozzo di saggio, piccolo home movie, ecc. […] Ma tutta La via del petrolio è da leggere, oltre che nel contrasto tra i modi del soggettivo e dell\\\'oggettivo, anche in un\\\'altra ottica; quella - già suggerita del resto - del tentativo di verificare la consistenza di domini non strettamente appartenenti al Racconto Cinematografico; da una parte la Cronaca Documentaria, dall\\\'altra le Note di Viaggio» (F. Casetti, Bernardo Bertolucci, La Nuova Italia, Firenze, 1975).
«Pur legato a precisi compiti didattici e propagandistici, Bertolucci arricchisce il suo rapporto tecnico di annotazioni storiche, implicazioni economiche e sociali, echi letterari,
non senza suggerire che la “rivoluzione” del petrolio ha per ora appena lambito i paesi in cui viene strappato dalle viscere della terra. (Il film è dedicato ai bambini persiani). Costante è la preoccupazione – nell’approccio con i tecnici italiani che lavorano nel Golfo Persico e sulle alte montagne dell’interno – di esprimere il senso di un lavoro, in termini di fatica e di disagio ma anche di solitudine, di nostalgia, di lontananza dal paese natìo. [...] Nella parte centrale [...] il senso dell’avventura e dell’insolito scatta quando [...] mostra, con sapiente scelta delle immagini, il fantomatico passaggio delle navi per il canale di Suez, non senza la civetteria di una citazione visiva di Deserto rosso [...] Con la terza parte Bertolucci affronta un cimento non facile: filmare per un’ora un oleodotto cioè qualcosa che non si vede perché nascosto sotto terra [...] si cava d’impaccio inventandosi un “leit-motiv” narrativo con la figura di un pittoresco iornalista sudamericano che segue l’itinerario della “pipe-line” » (M. Morandini, Bernardo Bertolucci, “Quaderno a.i.a.c.e. n. 11, 1973).
«A forza di parlare del proverbiale L\\\'Italia non è un Paese povero (a proposito, la riedizione annunciata è stato il bluff cinefilo dell\\\'anno), il resto della Cineteca dell\\\'ENI continua a vivere nel cono d\\\'ombra di Joris Ivens. E dire che Enrico Mattei (o chi per lui) c\\\'aveva visto lungo: il cinema è ancora l\\\'arma più forte, lo scetticismo dell\\\'opinione pubblica si combatte sul grande (e sul piccolo) schermo, commissionando le proprie arringhe a Giuseppe Ferrara (Gela Antica e Nuova), Valentino Orsini (Chilometri 1696), persino Alessandro Blasetti (Pozzo 18 Profondità 1650). La migliore, postuma, la dirigerà Francesco Rosi, ma intanto il caso e Mattei instradano su La via del petrolio Bernardo Bertolucci, che dopo l\\\'insuccesso dell\\\'opera seconda, Prima della rivoluzione, fatica a trovare i soldi per la terza, Partner. Incontrando l\\\'Ingegnere nei corridoi dell\\\'ENI (dove papà Attilio dirige la rivista aziendale Il gatto selvatico), due chiacchiere sulla passione comune per la pesca maturano la proposta dell\\\'Ente Nazionale Idrocarburi: un documentario in tre puntate, per la prima serata televisiva. Non lo vedeva da allora, Bertolucci, e temeva che l\\\'omaggio di Muller fosse un\\\'imboscata. E invece i capitoli del documentario anticipano l\\\'autore che verrà: con Le origini, girato in Iran, indaga i volti con un\\\'attenzione antropologica non estranea alla lezione pasoliniana, ma è già tentato dall\\\'epicità; in Il viaggio (dal Persico a Genova) dà sfogo alla cinefilia citando Méliès, e s\\\'attarda sulle navi che sfilano a Suez meritando l\\\'antologia. Attraverso l\\\'Europa (da Genova a Ingolstadt, in Germania) "mette in scena" un reportage nel reportage, e tra le impressioni d\\\'un giornalista sudamericano racconta non poco dell\\\'Italia del boom» (G. Barcaro, www.zabriskiepoint.net).