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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



La gabbianella e il gatto
Italia, 1998, 35mm, 75', Colore


Regia
Enzo D'Alò

Soggetto
dal romanzo “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare” di Luis Sepúlveda

Sceneggiatura
Enzo D'Alò, Umberto Marino

Musica originale
David Rhodes

Suono
Richard Evans, Giorgio Vita Levi

Montaggio
Rita Rossi

Effetti speciali
Daniele Arpini

Scenografia
Michel Fuzellier

Aiuto regia
Cristina Torriti

Direttore di produzione
Monica Rosselli

Produttore esecutivo
stripslashes(Maria Fares)

Produzione
Vittorio Cecchi Gori e Rita Rusic per Lanterna Magica

Distribuzione
Cecchi Gori Distribuzione

Note

Film di animazione.Direzione animazioni: Silvio Pautasso; animatore: Giorgio Ghisolfi; storyboard: Anne Chevaler, Giorgio Ghisolfi; voci: Luis Sepúlveda (il Poeta), Carlo Verdone (Zorba), Antonio Albanese (il Grande Topo), Melba Ruffo (Bobulina), Gabriele Patriarca (Pallino), Sofia Baratta (Fortunata neonata), Veronica Puccio (Fortunata “bambina”), Domitilla D’Amico (Fortunata “adolescente”), Margherita Birri (Nina), Luca Biagini (Diderot), Valerio Ruggeri (Segretario), Paolo Lombardi (Colonnello), Paola Tedesco (Rosa dei Venti), Alida Milana (Kengah), Fabrizio Vidale (Igor), Roberto Stocchi (primo topo), Roberto Ciufoli (secondo topo); cantanti: Ivana Spagna, Leda Battisti, Samuele Bersani, Gaetano Curreri; supervisione alla produzione: Lierka Rusic.

Premi: Nastro d’Argento Speciale del Sindacato Nazionale dei Giornalisti Cinematografici 1999 a Enzo D’Alò; Premio del Pubblico al Montréal International Children Film Festival 2000 a Enzo D’Alò.   

 

 




Sinossi
Una gabbianella, orfana, a causa dell'inquinamento, viene allevata da un gatto. L'imprinting la porta a credersi un felino. Sarà il gatto a insegnarle a volare. Favola sulla diversità (“Ti vogliamo ancora più bene perchè sei diversa da noi”, dice il gatto alla gabbianella), a sfondo ecologico.  

 

 




Dichiarazioni
«L’idea del film mi è venuta due anni fa, dopo aver letto il libro di Sepúlveda. Non avevo ancora chiuso il libro che già riuscivo a visualizzare i disegni e le atmosfere e, in particolare, a intravedere al di là della metafora favolistica, una storia drammaticamente attuale sulla tolleranza e sul rispetto dei “diversi” [...] Da subito mi è sembrata una storia perfetta per il cinema. Così ne ho parlato con Rita Cecchi Gori e lei ne è stata entusiasta. Come lo è stato Sepúlveda, con cui abbiamo lavorato quasi a una riscrittura del racconto, sviluppando alcuni temi, focalizzando più profondamente alcuni personaggi, aggiungendo il gatto Pallino, che è la mascotte del gruppo, e anche Nina, la figlia del poeta... Mentre lavoravo alla sceneggiatura con Umberto Marino, immaginavo già le voci dei personaggi, perché mi ricordavano altri personaggi reali, del mondo dello spettacolo, che assomigliavano molto a quegli eroi di cartone» (E. D’Alò, www.lombardiaspettacolo.com/cinema).
 
«Mi sono incontrato più volte con Sepúlveda, a Gijòn, nelle Asturie, per esporgli i cambiamenti. Ne abbiamo discusso, trovando piena intesa. L'ambientazione nel porto di Amburgo è diventata più neutra: i personaggi si sono un po' italianizzati, soprattutto il pittoresco popolo dei gatti, che arieggiano i camalli di Genova. Abbiamo stemperato anche l'apologo ecologista, puntando, con tocco lieve e ironico, sulle incognite della diversità e dell'integrazione, di grande attualità oggi in Europa. La storia di una gabbianella salvata e allevata in un mondo felino scatena una serie di contraddizioni storiche - un gatto che cova e un uccellino che fa le fusa e miagola - da cui l'ottusa truppa dei topi trae veloci conclusioni: quegli stupidi si sono rimbambiti a furia di croccantini, è giunta l'ora di prendere il potere. [...] Mi è sempre parso pesante il modo hollywoodiano di appropriarsi delle culture altrui: Pinocchio che diventa un tirolesino, Hercules che balla il blues. La fiaba e il mito al servizio della spettacolarità, la magia vera dell'immaginazione soffocata da quella esteriore dell'effetto speciale. Le fiabe cinematografiche dovrebbero essere, prima di tutto, fiabe» (E. D’Alò, “la Repubblica”, 26.8.1998).
 

«Ero andato a Torino per presentare Gallo cedrone e sono finito da D'Alò, alla Lanterna magica, per vedere come proseguiva il suo lavoro. Chiacchierando mi ha chiesto se ero disposto a darla voce al Gatto Zorba: avevo letto il racconto di Sepúlveda e ho accettato senza riserve. Mi aspettavo volesse che facessi "le voci" come avevo fatto per anni con le marionette di Maria Signorelli. Invece ha voluto che usassi la mia voce vera, senza nessuna inflessione caricaturale, a parte la sequenza in cui ingoio l'uovo per nasconderlo a sguardi estranei e la voce mi si strozza in gola. Mi ha spiegato poi che ha fatto questa scelta perché Zorba mi assomiglia. Dice che come me è tenero, generoso, timido ma in alcuni momenti può diventare perfino gradasso. Ne sono lusingato. Ma son contento anche di questa scelta stilistica perché perfino i miei figli, quando hanno visto il film, si sono accorti a fatica che la voce era la mia» (C. Verdone, “La Stampa”, 19.12.1998).

 






«Siamo di fronte a un lungometraggio europeo d'animazione che non teme assolutamente il confronto con quelli di Hollywood, sia sul piano della qualità sia sul terreno più importante, quello della resa spettacolare. Luis Sepúlveda si ritaglia il ruolo di un umano che cerca di differenziarsi dai propri simili e conserva per il ruolo anche la propria voce» (S. Della Casa, “Film TV”, 31.12.1998).

«Pensate a una gabbiana che muore per inquinamento da petrolio, lasciando il proprio uovo da covare a un gattone del porto di Amburgo e alla gabbianella che, nata credendosi gatto, deve trovare la propria identità. In questo pullulare di pedagogismi ecologici e di psicologismi edificanti, fare un film fresco,allegro, popolato di personaggi simpatici e dotato di alcune sequenze da antologia [...] era impresa ardua. Ma riuscita. Per merito anche delle straordinarie musiche antigraziose di David Rhodes, collaboratore abituale di Peter Gabriel» (G.A. Bendazzi, “Il Sole 24 Ore”, 3.1.1999).

«La Gabbianella e il gatto lo si può vedere come un film dai valori accattivanti: la solidarietà fra razze diverse, la protezione nei confronti di chi è più debole, ma sono comunque valori che oscillano a seconda di ciò che Luis Sepúlveda ha nella sua testa, ossia i modelli dell'intellettuale. L'autore, Enzo D'Alò, ha tradotto al meglio quei contenuti con la plasticità dei “cartoni” che danno l'idea di continua trasformabilità, della creatività e della possibile scomposizione di immagini e sensazioni in ogni momento» (m.r.c., “Cinemasessanta” n. 2, marzo/aprile 1998).

«La Gabbianella e il gatto di Enzo D'Alò sfida il predominio del cartooning statunitense in un duello solo apparentemente impari, dove con mezzi relativamente limitati si contrappone allo strapotere di major come Disney e Dreamworks, sfruttando al meglio il talento grafico dei nostri animatori. Con un budget di 10 miliardi (il più alto della storia per un film animato italiano) elevato sì per media nazionale, ma praticamente inesistente rispetto alle cifre statunitensi, oscillanti tra gli 80 e i 120 milioni di dollari, il film di D'Alò dimostra tutta la verve del miglior cinema indipendente europeo, capace di ovviare con l'emozione agli eventuali limiti nel campo degli effetti visivi. [...] Il film segue la buona prova già fornita da D'Alò e dal suo team con La Freccia azzurra e segna la rinascita definitiva del cartoon "made in Italy". In comune le pellicole hanno l'accoppiata tra D'Alò e lo sceneggiatore Umberto Marino, un duo che dimostra di prediligere percorsi legati a una narrativa di qualità (dopo Rodari e Sepúlveda c'è in cantiere il Momo di Michael Ende), dove riescono a miscelare fiaba e poesia con temi come ecologia e antifascismo, abbinando l'animazione a voci prestigiose, capaci di dare corpo ai personaggi» (O. Cosulich, “la Repubblica”, 24.12.1998).

«[...] il cartoon è oggi quel che era l'horror negli anni Ottanta: una mina vagante nel sistema dei codici rappresentativi del cinema. Il luogo in cui è consentita una sperimentazione altrove impensabile. Il territorio narrativo in cui è ancora possibile praticare il massimalismo. La gabbianella e il gatto è, a suo modo, un film massimalista. Racconta di un mondo semplice basato su opposizioni e su antitesi primordiali (gatti versus topi versus uccelli). E ricorre a stereotipi di immediata evidenza per rompere il proprio stesso manicheismo strutturale: si pensi alla scena in cui la gabbianella marcia con i gatti del porto cantando in coro con loro la canzone "identitaria" Siamo gatti (probabilmente uno degli hit della bella colonna sonora di David Rhodes): basta quel batuffolo di penne bianche mescolato ai peli grigi dei felini per ribadire con forza che l'identità è sempre una questione di cultura e non di natura. È un messaggio così semplice ed elementare nella sua intrinseca necessità che forse lo si può ribadire ormai, per l'appunto, solo in un cartoon» (G. Canova, “Segnocinema” n. 95, gennaio-febbraio 1999).

«Anche se questo è un cartone fieramente europeo, dagli americani, quelli della Gabbianella alcune cose le hanno copiate. La prima è aver chiamato a dar le voci un gruppo di personaggi famosi tra cui lo stesso Sepúlveda, Carlo Verdone, Melba Ruffo di Calabria, Antonio Albanese. La seconda è aver fatto cantare le musiche a quattro cantanti italiani giovani: Spagna, Leda Battisti, Samuele Bersani e Gaetano Curreri. La terza è aver messo  in moto un meccanismo di merchandising che andrà avanti fino al prossimo autunno: dal pupazzo allo zaino, dal diario scolastico alle penne. La quarta, ma questo si faceva già anche da noi, è aver deciso di dedicare l'anteprima romana all'associazione Persone-Down, e aver allestito una mostra itinerante sui disegni in Braille per tutti coloro che non vedono» (S. Robiony, “La Stampa”, 19.12.1998).

 

«Il  cartone animato italiano più natalizio, più costoso (10 miliardi), più grazioso, più affettuoso ed elegante nel suo disegno che ricorda le classiche illustrazioni dei libri per bambini anziché evocare i manga giapponesi o le esasperazioni del grottesco elettronico, La gabbianella e il gatto di Enzo d'Alò […] Il film attenua la polemica ecologica del romanzo, inventa un nuovo personaggio che è il piccolo gatto rosso Pallino, fa parlare il gatto Zorba con la voce di Carlo Verdone e il Grande Topo capo degli avversari con la voce di Antonio Albanese, trasmette civili messaggi di tolleranza (“Ti vogliamo ancora più bene perché sei diversa da noi”, dice il gatto alla gabbianella) e di necessità della cultura (“La soluzione è sempre nei libri”, la biblioteca e le enciclopedie a cui ricorre il gatto Diderot offrono in ogni circostanza una via d'uscita), usa la musica e le canzoni per dare brio e divertimento alla storia. Ma al centro rimane il disegno realizzato dalla Lanterna Magica, come nei precedenti film d'animazione di d'Alò […]. Il disegno […] è tondeggiante, curvilineo, delicato, soffice, ha colori brillanti e vitali (soltanto i topi delinquenti presentano toni cupi), ha un tocco di passato e presente, di tradizionale e nuovissimo: e non è per nulla aggressivo, finalmente» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 23.12.1998).



Scheda a cura di
Damiano Cortese

Persone / Istituzioni
Enzo D'Alò
Umberto Marino
Maria Fares


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