Lucia, bella popolana, accetta di sposare Marco dopo che questi le promette di abbandonare la vita criminale e le bettole. I due hanno una figlia e Marco, sentendosi trascurato dall’affetto che la madre dà alla figlia, torna alla vitaccia precedente e, davanti agli occhi di Lucia che lo aveva pedinato, commette persino un omicidio per il quale finisce in carcere per dieci anni. Nessuno parla più a Lucia e tutti evitano lei e la figlia tranne il medico del paese che la prende come governante. I due si innamorano e vivono felici insieme fino al giorno in cui Marco, uscito di prigione, fa valere i suoi diritti di marito e chiama moglie e figlia a sé. Ma Lucia preferisce togliersi la vita. Si chiude nella stanza con la sua bimba e attende la morte per soffocamento. Marco fugge e il dottore resta solo nel suo dolore. (Sinossi tratta da “L’Illustrazione Cinematografica”, a. I, n. 4, 1.3.1912).
«È una film riuscitissima, sotto ogni aspetto; una di quelle che toccano il cuore ed insegnano. Il soggetto è palpitante di vita, umano, di una logica stringente, convincente. Ricordiamo di aver letto un fatto del genere qualche mese fa, nella cronaca milanese, e la tesi meritava di essere studiata, analizzata. Ha diritto, un galeotto, alla fedeltà della moglie, e può pretendere ch’essa continui a portare quel nome, che egli ha trascinato nel fango e macchiato con un delitto? [...] ci ricorda molto la Morte civile del Giacometti e che l’ottima Casa torinese ha riprodotto in cinematografia, curandone ogni particolare ed ogni sfumatura. L’interpretazione artistica è superiore ad ogni elogio: la sig.na Mary Cleo Tarlarini ed il sig. Alberto Capozzi hanno dato, ai loro personaggi, una tinta di verità davvero ammirevole. Certe scene fra loro raggiungono un’intensità drammatica che avvince e commuove; e tutto ciò è ottenuto con una lodevole parsimonia di gestii. Discreto il Bonnard nella parte del galeotto. Buona la messa in scena, ottima la fotografia» (“La vita cinematografica”, a. III, n. 6, 30.3.1912).