Altri titoli: The Refrigerator (The Couples), Le frigorifique (Drole de couples)
Regia Mario Monicelli
Soggetto Mario Monicelli
Sceneggiatura Mario Monicelli
Fotografia Carlo Di Palma
Musica originale Enzo Jannacci
Scenografia Giulio Coltellacci
Interpreti Monica Vitti (Adele), Enzo Jannacci (Gavino)
Produzione Gianni Hecht Lucari per Documento Film
Distribuzione Paramount
Note Colore: Technospes.
Gli altri episodi de Le coppie sono: La camera (regia: Alberto Sordi; interpreti: Alberto Sordi, Rossana Di Lorenzo) e Il Leone (regia: Vittorio De Sica; interpreti: Alberto Sordi, Monica Vitti).
Sinossi
Adele e Gavino sono una coppia sarda immigrata a Torino. Vivono ai limiti della sopravvivenza. Lui è venditore ambulante di “bruscolini”, lei cura in modo maniacale il seminterrato in cui vivono e soprattutto il grande frigorifero – irrimediabilmente vuoto – che è simbolo del benessere sognato. Per trovare i soldi necessari a pagarne l’ultima rata, Adele si adatta a prostituirsi.
Dichiarazioni
«M’interessava mostrare la Torino del boom, con tutte quelle masse di immigrati; inoltre m’interessava dirigere Jannacci, un personaggio dalla personalità molto viva, che sarebbe stato un grosso acquisto per il cinema: in Romanzo popolare fece le musiche e diede un apporto molto importante anche al dialogo. Sembrava che il cinema gli interessasse, mentre invece preferì continuare a fare il cantautore e anche il medico» (M. Monicelli, L’arte della commedia, Dedalo, Bari, 1986).
«Il frigorifero è il mio episodio più lungo, quasi cinquanta minuti, e mi è venuto così così. Il soggetto in sé era divertente: raccontava fino a che punto la perversione del consumismo portava una coppia di poveracci. L’ho girato in una Torino respingente, poco ospitale, nello squallore dei quartieri popolari e negli stradoni notturni dove lavoravano le prostitute. L’errore di fondo sono gli attori. La Vitti che parla in sardo è caricaturale, Jannacci recita in modo quasi amatoriale: faceva ridere chi lo conosceva, agli altri risultava del tutto inverosimile. Però la storia raccontava bene il paradosso dei tempi moderni, quello che una coppia è disposta a fare per possedere un frigorifero praticamente inutilizzato» (M. Monicelli, in S. Mondadori, La commedia umana. Conversazioni con Mario Monicelli, Il Saggiatore, Milano, 2005).
«Mastroianni e Vitti sono […] tra i protagonisti dei miei due film “torinesi”: I compagni e Il frigorifero (episodio di Le coppie). In quest'ultimo, la Vitti confermava le sue capacità comiche già sperimentate, mentre il protagonista maschile, Enzo Jannacci, era al suo debutto cinematografico, e con lui ho faticato molto perché egli è uno spirito talmente libero, bizzarro, straordinario, che non è inquadrabile nel personaggio di un film» (M. Monicelli, “Notiziario dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema” n. 68, 2001).
«Ho lavorato nel cinema a Torino solo per alcune sequenze di Il frigorifero, l’episodio di Le coppie diretto da Mario Monicelli, in cui recitavo con Monica Vitti. […] Ho un ricordo molto bello del rapporto con Monicelli e la Vitti, che stimo tantissimo. Un’attrice eccezionale, una bellezza intensa, particolare. Monicelli l’ho conosciuto in quella occasione, siamo diventati amici e siamo sempre in contatto. Penso che mi abbia scelto perché gli piaceva il mio modo così, un po’ schizzato, che avevo da giovane. Ma avrebbe potuto scegliere chiunque… Non ho avuto modo di conoscere Torino quella volta, ci sono stato poi di passaggio, anni dopo, alla Fiera del Libro, in concerto e a trovare mio figlio durante il servizio militare... Per Il frigorifero giravamo di notte a Porta Palazzo, di giorno eravamo in albergo a dormire. Potevamo essere a Torino come a Washington… Era il problema del cinema: un’esperienza alienante per il tipo di lavoro, per i ritmi… Si lavorava dodici, quattordici, a volte sedici ore al giorno, non c’era come adesso la possibilità di verificare immediatamente il girato, c’era sempre da aspettare… Ho lavorato con Monicelli, con Marco Ferreri per L’udienza, ho scritto delle musiche per il cinema, ma non ho fatto più di tanto proprio per questi problemi legati al modo di vivere, sempre aspettando, aspettando. Nel cinema poi si divertono in pochi, la prima attrice, che si sente bella, valorizzata, il direttore della fotografia, forse il regista […] Però i produttori sono quello che sono e adesso il cinema italiano è limitato a certi comici, non è più ai livelli di un tempo» (E. Jannacci, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
«In Il frigorifero un ciclo economico si è chiuso e la commedia all'italiana comincia a commentare le strategia di risposta alla depressione già in atto: per conseguenza, il valore di scambio del corpo della moglie viene ormai monetizzato in termini precisi. Quando, nella famiglia di sardi emigrati a Torino, l'esangue Gavino Puddo (Enzo Jannacci) perde i soldi dell'ultima rata del frigorifero, fa quel che può per riscattarsi, ma ben presto l'iniziativa passa nelle mani della moglie Adele (Monica Vitti). Nella scarna scenografia del loro monolocale seminterrato, quel frigorifero a due sportelli occupa il posto d'onore accanto al letto coniugale, sostituendo idealmente un figlio che non c'è ("non ha ancora dodici mesi", dice Adele del prezioso elettrodomestico); sulla sua regale e monolitica presenza, ruotano i cerimoniali piccolo borghesi di questa casalinga modello nei confronti del vicinato. Davanti alla prospettiva di rinunciare all'unico oggetto/feticcio che attesta il suo avviato percorso di integrazione nella società dei consumi, pur tra mille esitazioni, resistenze e sensi di colpa, Adele si vende, per una notte, chiedendo quel tanto che basta per pagare la cambiale. Ma l'indomani, il miraggio di un nuovo status symbol - la lavatrice - riproduce nella coppia la stessa dinamica desiderio-frustrazione-compromesso, rivelando come la famiglia sia definitivamente entrata nel mercato e lo spazio domestico si vada assimilando a quello asettico e artificiale delle vetrine dei negozi di elettrodomestici» (L. De Franceschi, Lo sguardo eclettico. Il cinema di Mario Monicelli, Marsilio, Venezia, 2001).
«Ci sono almeno due modi per fare attraverso il cinema un discorso polemico sulle contraddizioni, i paradossi, i miti della società contemporanea. Il consumismo, la superproduzione, la persuasione occulta della pubblicità, l’ossessione del benessere, la psicosi dell’automatismo, l’aggressività, possono essere visti sotto un profilo critico, sia da una angolazione “di rottura”, sia in una prospettiva farsesca. […] Questa seconda strada che per l’immediatezza della reazione (la risata) sembra la più facile e naturale, resta in realtà la più studiata e difficile. A dimostrare questo bastano i nomi di Buster Keaton, Chaplin, Sennet, Tati, per giunger poi a Emmer, Comencini, Risi, Lattuada e gli stessi De Sica e Monicelli. Nomi di Artisti, alcuni, di precisi artigiani del riso in celluloide, altri, che attraverso i loro film ci si sono mostrati come dei funamboli oscillanti tra il senso del dramma e quello del grottesco. Questa velata, a volte impalpabile, oscillazione, può considerarsi il filo conduttore di queste Coppie, un film a tratti amaro o ridanciano, ma sempre divertente nella sua ironia tanto più apparentemente semplicistica, quanto più graffiante […] Il Frigorifero, diretto da Mario Monicelli, è l’impietoso spaccato della vita di due immigrati sardi nella Torino tecnologica. […] Malgrado qualche rallentamento e inutili insistenze che spesso fanno perdere il “ritmo”, l’episodio resta vivo e spigliato soprattutto per la sua assurda credibilità» (M. Angelillo, “Rivista del Cinematografo”, n. 1, gennaio 1971).
«Frutto tardivo di una commedia all’italiana in via di esaurimento (o di totale trasformazione) è l’episodio Il frigorifero del film Le coppie. […] Seguito ideale di Renzo e Luciana, Il frigorifero è un’introspezione nei mutamenti indotti dal consumismo all’interno del proletariato sradicato dal paese d’origine. Meno diretto e immediato di Renzo e Luciana, inaugura la collaborazione di Monicelli con Jannacci, un rapporto che troverà il momento di maggiore interesse in Romanzo popolare» (S. Della Casa, Mario Monicelli, La Nuova Italia, Firenze, 1986).
«Squallore di simili operazioni, che ancora pretendono di atteggiarsi a satira di costume, ma non superano il livello della barzelletta scollacciata, come nel primo episodio, di Mario Monicelli» (G. Cincotti, “Bianco e Nero”, nn. 1/2, gennaio/febbraio 1971).
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