Regia Louis Nero
Soggetto Louis Nero
Sceneggiatura Louis Nero, Timothy Keller
Fotografia Vincenzo Fiorito, Yukai Ebisuno
Musica originale Teho Teardo, Luis Enríquez Bacalov
Montaggio Louis Nero
Scenografia Louis Nero
Costumi Elena Valenti
Interpreti Franco Nero (il Mentore), Nico Rogner (il Regista), Gregorio Napoli (il Distributore), Barbara Enrichi (segretaria del Distributore), Tinto Brass (primo Produttore), Antonella Salvucci (segretaria del primo Produttore), Lucia Luciano (fidanzata del Regista), Jun Ichikawa (la ragazza Cics), Sax Nicosia (il Regista Pubblicitario), Faye Dunaway (madre del Regista), Philippe Leroy (nonno), Lou Castel (spazzino), Arnoldo Foà (attore), Giorgio Albertazzi (Produttore commerciale), Corso Salani (primo Sceneggiatore)
Produzione Louis Nero per L’Altro Film Produzioni
Distribuzione Altro Film
Note Operatore steadycam: Cristian Li Gregni; assistente ai costumi: Giulia Paschetta; altri interpreti: Giampiero Lisarelli (secondo Sceneggiatore), Hal Yamanouchi (personaggio orientale), Asia Cibelli (Lucilla); assistente di produzione: Federica De Luca.
Film realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
Location: Torino.
Sinossi
Regista sui trent’anni, il protagonista è un intellettuale che ha l’unico scopo nella vita di lasciare un segno tangibile del suo passaggio sulla terra realizzando un lungometraggio. Ogni giorno incontra due amici sceneggiatori in un bar, ma i loro colloqui non conducono a nulla di tangibile, servono al protagonista solo per restare ancorato alla realtà. La realtà è rappresentata dal suo alter ego, un regista già avanti con gli anni, quindi perfettamente a conoscenza dei meccanismi del lavoro nel cinema. A fare da contorno c’è la città, tra l'onirico e lo spettrale. Il cinema è un’industria, serve il capitale per avere voce in capitolo: quindi è di rigore il passaggio dal produttore. Il regista decide di finanziarsi da sé, rapinando una banca. Finito il film, bisogna distribuirlo, e il distributore non è dissimile dal produttore. Il quesito finale è: conviene combattere per i propri ideali o seguire la lastricata via del denaro facile?
Dichiarazioni
«I temi de La rabbia sono la sofferenza e la voglia di riscatto. Il giovane regista protagonista del film rappresenta una generazione di idealisti che conosce bene la società del denaro, ne assorbe le dinamiche ma cerca di distaccarsene per mantenere l’individualità. ? uno scontro cruento, quello con la realtà, uno scontro che crea la nuova figura dell’artista, un artista moderno, che non ha più solo la preoccupazione della genesi creativa, ma che viene proiettato nell’aspetto commerciale del cinema. Un aspetto commerciale che il regista può non apprezzare ma dal quale non si può distaccare se vuole portare a termine la sua opera. Il compromesso può suscitare sofferenza, rabbia. Si analizzerà il concetto di rabbia, come forma di disillusione, di reazione agli eventi, come autodistruzione. Il regista deve imparare a comprenderla, a vincerla, a canalizzarla verso la costruzione più che verso la distruzione. Il film vuole essere omaggio alla magia del cinema, all’illusione che la proiezione crea, ma tuttavia percorre anche una tematica realista, la difficoltà di portare a termine un processo creativo senza l’aiuto di grandi budget. Esperienza che rispecchia appieno quella del regista Louis Nero senza tuttavia essere un lavoro autobiografico. Il tema de La rabbia nasce quindi da un percorso personale, dal desiderio di comunicare a più pubblico possibile, dalla voglia di raccontare l’ideale estetico, la lotta con i problemi economici, le relazioni personali» (L. Nero, www.fctp.it).
«Il primo grande attore con il quale inizio a girare è Franco Nero. Il rapporto con Franco è stato molto stimolante: è entrato immediatamente nello spirito del film, ci ha regalato alcune tra le scene più significative. Voleva sperimentare qualcosa di nuovo, si è fatto “piccolo”, poiché ha interpretato una parte da “straccione, derelitto”. Lo ha fatto con un'intensità straordinaria che spero verrà riconosciuta. Si è fatto entusiasmare, credo, dal nostro stesso entusiasmo dalla “rabbia” verso un sistema di cose che volevamo denunciare. Non nego che mi ha aiutato a contattare Faye Dunaway che, dopo aver letto il copione, ci ha dato la sua disponibilità senza farsi pregare. Ma se devo essere sincero, non ho creduto fino in fondo alla sua partecipazione se non quando l'ho vista scendere dall'aereo. Un'apparizione a Caselle! Quasi una scena surreale delle mie. Forse è stato quello il momento in cui ho preso coscienza che alla nostra determinazione seguivano dei risultati concreti, dopo aver realizzato che un premio Oscar avrebbe sul serio partecipato al mio piccolissimo film. Personaggi come Philippe Leroy, Lou Castel, e Corin Redgrave sono ironici e molto simpatici. Leroy ci ha parlato a lungo dei suoi voli con il paracadute ed è stato estremamente disponibile per le riprese (la convocazione sul set era sempre alle 4 del mattino). Di Lou Castel basta dire che, dopo le riprese, è venuto con noi a festeggiare ai Murazzi fino alle 7 del mattino. Corin è stato un regalo inaspettato, infatti appena Franco Nero gli parlò di un giovane pazzo regista italiano intento a girare un film molto particolare, volle dare il suo contributo partecipando gratuitamente al film, quindi ci siamo messi subito in azione scrivendogli una parte ad hoc. Un altro momento indimenticabile è stato il rapporto con Tinto Brass, è stato difficile convincerlo a partecipare ad un film in qualità d'attore e soprattutto ad un film che non concedeva molto spazio alle metafore sessuali. Infatti abbiamo discusso molto sul suo ruolo ed alla fine ha deciso di partecipare. Quando ho proposto il ruolo del Produttore a Giorgio Albertazzi, mi ha risposto che avrebbe fatto questo cameo, anche se era impegnatissimo avrebbe trovato il tempo di fare questo film, poiché mi ha raccontato che qualche anno fa gli era successa una situazione identica con un Produttore romano, che lo aveva trattato nello stesso modo in cui il suo personaggio ha trattato il regista del film» (L. Nero, “La Stampa - TorinoSette”, 18.5.2007).
«Il film di Luis Nero è un atto d' accusa sul potere costituito del cinema, lobby divise per categorie, nessuna innocente. Si parla della macchina show e del business (“più facile uscire dall'alcolismo che entrare nel cinema”) con i tentativi di un giovane regista che vuol realizzare un film indipendente e va a bussare a molte inutili porte. E mentre ciò avviene il film nasce da solo (modello capolavoro 8 e mezzo), consigliando di coltivare una certa rabbia che si potrà poi trasformare in ispirazione. In un luogo “altrove”, fra ospiti e carrellate, si racconta come il potere vuol omologare in fiction [...] colori assurdi squillanti e la sicurezza che Nero è un inguaribile ottimista romantico che riesce, pur protetto da cari luoghi comuni, a creare l' atmosfera di un sogno che si scontra con la vita reale» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 29.2.2008).
«Luis Nero, già detective dei linguaggi schizofrenici dell'arte, realizza con La rabbia un film tanto inattuale da essere moderno, tanto narcisista da essere terapeutico, tanto furibondo da essere angelico. Dotato di un audace immaginario tra Fellini e Resnais - lo sberleffo all'industria della celluloide si svolge nei meandri di uno spettrale microcosmo labirintico - Nero ha il fegato d'arruolare pesi massimi come Franco Nero, la Dunaway, Albertazzi e Brass» (V.Caprara, “Il Mattino”, 1.3.2008).
«Opera quinta di Louis Nero [...] esteta di un cinema d’ispirazione pittorica, nemico dichiarato della narrazione che non sia espressione concettuale. Indifferente alle mode e ai modi del cinema commerciale, per questo autore coerente nello stile. Che cita Magritte [...], che mira a definire l’indefinibile con tocco surrealista, che cesella ogni inquadratura con meticolosità. L’inizio è felliniano, un lettone in riva al mare. La messa in scena è teatrale, onirica, molto colta. Pure troppo. “Il tuo progetto è interessante, anche se penso di non poterlo apprezzare pienamente: è una questione di coinvolgimento emotivo”, dice il mentore Franco Nero al discepolo regista, rubandoci i pensieri e le parole. È del giovane la rabbia del titolo, autore incompreso dal mercato e forse anche da se stesso. “Autocombustione mentale”, spiega il suo sceneggiatore. Sospiri, silenzi. Un sorso di vino. “Questa roba non si vende”, avverte Tinto Brass nel ruolo del produttore. C’è uno spazzino esistenzialista (Lou Castel): “La scopa è lo strumento del mio volere”. Poi Giorgio Albertazzi, Arnoldo Foà, la Dunaway. Viene in mente Lucio Battisti: “C’è anche lei”» (A. Giorgi, “FilmTV”, www.film.tv.it).
«Il regista torinese Louis Nero, al suo quarto lungometraggio, produce, realizza e distribuisce La rabbia sull’onda di una palpabilissima urgenza: la critica ad un mondo dello spettacolo corrotto dalle logiche economiche, appiattito dalla televisione commerciale e senza ambizioni artistiche. E lo mette in scena dando forma all’universo notturno, spazio fisico e mentale, di un giovane regista in crisi che vaga da un produttore all’altro, che incontra sceneggiatori e attori, innescando, però, una lunga serie di dialoghi pedagogici in cui tutti sono personaggi, mai persone, e in cui il cinema si risolve nelle visioni ed allucinazioni che crea. [...] Le frequenti scene oniriche, l'onnipresente musica in sottofondo e la fotografia degli interni dai colori vividi creano un immaginario ben costruito, anche se un po’ citazionistico, che guarda all’horror (la bambina sullo schermo di un vecchio televisione in bianco e nero, ci ricorda Ringu), alla fantascienza (il protagonista circondato da uno spazio di luce bianca come in Star Wars), alla pittura (le comparse in strada tutte uguali, à la Magritte). Tutte queste visioni sono al servizio dell’autoespressione dell’artista, e certo si tratta di un artista moderno, che fa però rimpiangere il senso greco di arte concepita per lo spettatore. Come recita uno dei personaggi del film, "cerchiamo emozioni", un barlume di umanità, mentre qui ci troviamo di fronte a un’operazione puramente intellettuale. [...] E il film rischia quindi di richiudersi nichilisticamente su se stesso, tagliato fuori dal mondo, mentre le immagini scorrono a creare le proprie visioni e i propri fantasmi» (M. Demichelis, www.effettonotteonline.com).
«Sani principi, buone intenzioni e cast stellare, almeno per un film di trent'anni fa [...]. Così La rabbia – scritto, diretto, montato e prodotto da Louis Nero – urla che il cinema di qualità muore. Però qualità è spesso sinonimo di velleità, come certi giornalisti scrivono, più che da inviati, da indignati speciali. Il cinema non è più quello di una volta, dice l'alter ego di Nero jr., il giovane regista interpretato da Nico Rogner. Ma ogni arte ha un'ascesa e un declino: si può testimoniare la nostalgia per l'ascesa se non si prende lo sdegno per la dignità. Ma nella Rabbia il tono è o, appunto, rabbioso o, ahinoi, oracolare. Soltanto Tinto Brass prende in giro se stesso» (M. Cabona, “Il Giornale”, 29.2.2008).
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