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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



My Father - Rua Alguem, 5555
Italia/Brasile/Ungheria, 2003, 35mm, 115', Colore

Altri titoli: Josef Mengele - My Father - Rua Alguém 5555; Vati; Meu Pai; Papà Rua Alguem 5555; Rua Alguem 5555: My Father

Regia
Egidio Eronico

Soggetto
dal libro “Papà” di Peter Schneider

Sceneggiatura
Egidio Eronico, Antonella Grassi, Fabio Carpi, Peter Schneider

Fotografia
Janos Kende, Gherardo Gossi

Operatore
Sebastiano De Pascalis, Marco T. Guglielmoni, Alexandre Ramos

Musica originale
Riccardo Giagni

Musiche di repertorio
Johann Sebastian Bach, Vincenzo Bellini, Johannes Brahms, Philip Glass, Luiz Gonzaga, Terje Rypdal, Tom Zé

Suono
Silvio Da-Rin, Alessandro Doni, Jason Piatt, Marco Tidu

Montaggio
Raimondo Aiello

Scenografia
Ettore Guerrieri, Luigi Quintili

Costumi
Maria Beatriz Salgado, Patrizia Ciairano

Trucco
Laura Borselli

Aiuto regia
Luca Lachin, Enrico Marrari

Interpreti
Thomas Kretschmann (Hermann M.), Charlton Heston (Josef Mengele), F. Murray Abraham (Paul Minsky), Thomas Heinze (Robert S.), Denise Weinberg (Magdalena Weinert), Odilon Wagner (Wolfgang Weinert), Camilo Beviláqua (Jens Keitel), Petra Reinhardt (madre di Hermann da giovane), Marit Nissen (zia Lotte da giovane), Ivan de Almeida (poliziotto), András Stohl (Werner M.), Aron Sipos (Hörst Baumann), Ida Gomes (vecchia ebrea al cimitero), Zsuzsa Töreky (zia Lotte), Marcos Breda (Samuel Lifton)

Casting
Shaila Rubin

Direttore di produzione
Massimo Martino, Marcelo Torres

Ispettore di produzione
Livio Negri

Produttore esecutivo
Marisa Grieco, Jaime A. Schwartz, Gian Paolo Varani

Produzione
Gherardo Pagliei, Elisabetta Riga, Roberto Buttafarro per Gam Film, Emme Produzioni

Distribuzione
AB Film

Note
3030 metri.
Consulenza storica: Marcello Pezzetti; suono dolby digital; altri interpreti: Marc Achille Recchia (Gregor Hongelhard), Odenir Fraga (Gilberto Riva), Massimo Franceschi (professore del Ginnasio a Friburgo), Bernard Jablovki (Marc Horowitz), Anton Goffi (Heitzmann), Alexandre Saldanha (Rainer Weinert), Mariah Rocha (Brigitta Weinert), Mirko Curia (gemello ad Auschwitz), Danny Curia (gemello ad Auschwitz), Simone Cazzola (padre ad Auschwitz), Edward Watson (Robert S. a 13 anni), Vadim Quaggia (Hermann a 13 anni), Hans Laurentain (corrispondente tedesco), Marc Bechar (reporter tv), Albert Brero (Hermann a 9 anni), Renato Oliveira (cameriere), Gustavo Montenegro (Simon), Archimede (direttore del cimitero), Sonia Clara (Maria H. Galeano), Isaac Bardaud (Ben Abraham), Danah Costa (ragazza della gafiera), Renan Bega (Chico), Waldir Santana (proprietario hotel di Manaus), Maria Ceiça (reporter tv); co-produttori: Walkiria Barbosa, Marc Bechar, Iafa Britz, Aron Sipos per Total Entertainment (Rio de Janeiro), Focus Film (Budapest).
 
Film realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con il sostegno dilla Film Commission Torino Piemonte.
 
Locations: Torino (scalo ferroviario Vanchiglia, teatri di posa Euphon), Venaria Reale (Villa dei Laghi nel parco della Mandria), Moncalieri (Real Collegio), Argentina.




Sinossi
Il film ricostruisce l'unico incontro avvenuto nel 1977 in una favela di Manaus, in Brasile, fra Mengele (il famigerato medico del lager di Auchwitz) e suo figlio Herman, avvocato, che non aveva mai saputo chi fosse suo padre, fuggito in Sudamerica nel 1949. Herman decide di raggiungere il genitore per convincerlo a costituirsi o per denunciarlo alle autorità. Ma come figlio vorrebbe almeno capire perché quell'uomo ha agito da mostro. Vuole ascoltare la versione del padre, che invece di esprimere dubbi o pentimenti ostenta sicurezza teutonica. E ancora delira lucidamente su teorie "darwin­socialiste": lotta per la sopravvivenza, dominio dei più forti, disprezzo dell'amore per il prossimo e della sacralità della vita.




Dichiarazioni
«Sono un appassionato di Storia perciò ho letto il libro nel 1989. Il romanzo mi aveva molto colpito per due motivi: conoscevo le gesta di Mengele e avevo appena perso mio padre. Mi immedesimai per il rapporto tra i due. Io andavo molto d'accordo con lui, ma mi chiesi cosa avrei fatto io al posto di Rolf Mengele. Avrei denunciato mio padre una volta saputo dove si trovava? Ecco volevo che lo spettatore si ponesse lo stesso dilemma. […] Mi piaceva l'idea di realizzare una pellicola sulla tragedia dell'Olocausto non dalla parte delle vittime, ma dei carnefici. Dopo Schindler's List e soprattutto dopo Il pianista non sono più necessari film del genere. Con My father invece si poteva affrontare una sfida diversa mostrando l'orrore di quei fatti anche attraverso lo scontro generazionale. Quindi incontrai l'autore del romanzo, Schneider, che qui da noi, a Sperlonga, stava mettendo su casa e firmammo l'accordo per i diritti del libro» (E. Eronico, www.fctp.it).
 
«La ricerca del protagonista anda­va avanti da tempo, nessun attore europeo era disponibile. A quel pun­to avevo deciso di inviare il copione a Charlton Heston, mentre aveva­mo in piedi una trattativa con Jon Voight. Lui rispose subito, disse che sarebbe stato contento di conclude­re la sua carriera con quel ruolo. […] L'ho maltrattato un bel po', abbia­mo girato in una favela, con il 93% di umidità, ma lui mostrava sempre disciplina e determinazione, era co­me tutti i grandi della vecchia Hol­lywood. Ricordo che rimproverava a Robert De Niro il fatto che non si fosse cimentato abbastanza con Skakespeare» (E. Eronico, “La Stampa”, 7.4.2008).
 
«Con il regista abbiamo passato notti a chiederci: cosa facciamo vedere? Siamo stati d'accordo nel non mostrare l'orrore. Così come aveva fat­to Spielberg, che in Schindler's List non è entrato nelle camere a gas. Però siamo stati molto accurati nella ricostru­zione del laboratorio. Abbia­mo chiamato sul set una dei gemelli sopravvissuti ai terri­bili esperimenti: Otto Klein. Aveva sette anni quando era ad Auschwitz con suo fratel­lo. Ci ha aiutato per la scena dell'uccisione di due gemelli. […] Per fortu­na Klein ha una grandissima autoironia senza la quale non sarebbe sopravvissuto. Lui e suo fratello non si sono mai parlati di quello che era acca­duto nel lager. Il gemello è morto qualche anno fa per le conseguenze degli esperimen­ti. Molti dei sopravvissuti alle torture di Mengele soffrono ancora di dolori lancinanti […] Nel film, Mengele, indi­cando dei quaderni, dice al figlio: lì c'è tutta la mia ver­sione dei fatti. […] E dove sono [i diari]? Bisognerebbe chiederlo a Rolf Mengele. Suo padre ave­va una documentazione enor­me sulla sua sperimentazione. […] Qualche tempo fa sembrava che un rabbino di Berlino fosse riu­scito a convincerlo a dare la documentazione degli espe­rimenti al mondo ebraico. Ma non è avvenuto. Peccato, ci contavamo tutti. Come contavamo sul fatto che denunciasse il padre» (M. Pezzetti, “Il Venerdì di Repubblica”, 2006).





«Il film viene dal libro Papà di Peter Schneider uscito in Italia nell'88, che a sua volta ricorre a un materiale composito: il reportage del settimanale tedesco “Bunte Illustrierte” che nell'85 raccolse in esclusiva la prima intervista di Rolf Mengele il quale mise a disposizione anche molti scritti di suo padre giunti a lui dopo la presunta morte (1979) del criminale nazista. Il dramma di un uomo che malgrado i disperati tentativi - non riuscì a denunciare suo padre - mai ha potuto liberarsi dal terribile condizionamento. Malgrado tutto è la storia di un uomo e dei suoi sentimenti, sarebbe fuori luogo trovarla giustificazionista» (P. D'Agostini, “la Repubblica”, 2.6.2006).
 
«La sceneggiatura che il regista ha composto insieme allo stesso Schneider, a Fabio Carpi e ad Antonella Grassi punta molto sui dialoghi tra padre e figlio: dagli scambi tra i due, condotti sempre come feroci duelli, emerge, grazie a una scrittura limata ed efficiente, il denso nucleo tematico al centro del testo. La dimensione narrativa è invece assai meno brillante e compatta. L’inizio, instabile e frammentario, produce tono e atmosfera coerentemente accordati sul disagio e l'incertezza. Poi il film si ricompone in una forma più compatta ma meno originale e funzionale (e anche esteticamente più scontata), per poi subire uno scossone quando, prima della fine, la ricerca di Hermann si compie. Così, dal fondo dell'angoscia e del dubbio del figlio, della convinzione e della lineare fermezza del padre affiora lo sconcerto e l'orrore della tragica scoperta: Hermann circondato dalla selvaggia violenza della Natura comprende che alle sue domande non c'è risposta, se non quella che lui stesso saprà dare» (S. Grasselli, “Film” n. 86, marzo-aprile 2007).
 
«Da Mosè e Ben Hur a Josef Mengele. Dai profeti e gli eroi dell'ebraismo al genetista criminale del nazismo e di Auschwitz, antisemita e freddo esecutore della "selezione per l'igiene razziale". E colpevole di esperimenti disumani ai danni di gemelli, nani e donne incinte. Un paradosso per l'anziano Charlton Heston, una delle leggende di Hollywood. […] Significativa la scena in cui il padre guarda compiaciuto un arcadico film tedesco di montagna, emblema della propaganda ariana. Ma il figlio interrompe il fuorviante sogno di "purezza" e gli mostra un video con i cadaveri di Auschwitz, che il "dottore" rifiuta. Durante la convivenza, il figlio è agitato dal contrasto stridente fra l'anziano che ride di Charlot assieme ai bambini della favela e lo scienziato sadico che i sopravvissuti e la Storia hanno raccontato (e che riemerge negli incubi del giovane). La coscienza di Herman è spaccata fra il dovere (storico, civile, morale) e il legame filiale. […] My Father è un bel dramma teso e complesso, che rivela quanto la vita del figlio di un tale criminale sia stata segnata pesantemente, come se anche la generazione innocente dovesse subire l'ereditarietà della colpa (M. Monteleone, “Rivista del Cinematografo” n. 6, giugno 2006).
 
«Il titolo del film è My Father, Rua Alguem 5555, quello del romanzo da cui è tratto è più breve ma altrettanto efficace: Vati, tradotto in italiano come Papà. Da un lato un film di Egidio Eronico, interpretato da Charlton Heston, realizzato nel 2002 con ottimo mestiere, gusto del dramma, rigore formale, forse qualche compiacimento spettacolare, qualche concessione al facile effetto; dall'altro il romanzo di Peter Schneider del 1988, costruito come un'inchiesta, una ricerca della propria identità, una descrizione ambientale che è anche e soprattutto una descrizione morale […] al centro dl racconto c’è la figura sinistra del dottor Josef Mengele, il medico sperimentatore dei campi di sterminio nazisti, il vivisezionatore di prigionieri ed ebrei, il criminale fuggito alla giustizia e rifugiatosi nell'America Meridionale. E al suo fianco Hermann, il figlio ignaro, che a un certo punto sa di esserlo e vuole conoscere il padre: un incontro che si risolverà in una totale incomprensione. Perché da una parte c'è l'affetto, l'umanità, la ricerca di giustizia; dall'altra quella che possiamo chiamare la rigida obbedienza a un dovere mostruoso, la passiva acquiescenza a una visione del mondo criminale. […] È come se lo scrittore e il regista si fossero incontrati sul terreno comune dell'inchiesta morale: alla ricerca di una possibile convergenza di posizioni opposte, o almeno di un eventuale riconoscimento reciproco delle proprie convinzioni etiche. II fallimento di questa possibilità è il filo rosso che lega il romanzo al film e ne costituisce l'asse portante: solido, efficace, coinvolgente» (G. Rondolino, “La Stampa”, 26.11.2006).
 
«Conta più il sangue che si trasmette di padre in figlio o quello di milioni di persone massacrate, umiliate e torturate a morte? È meglio soffrire per la mancanza di un genitore o scoprire che è un nazista di nome Josef Mengele, medico delle SS nel campo di concentramento di Auschwitz? Non si tratta di una domanda peregrina, perché My Father - Rua Alguem 5555 è, purtroppo, tratto da una storia vera. Quella del figlio unico del genetista soprannominato “l'angelo della morte” […] il film indaga con dolore e un impagabile Charlton Heston nei panni di Mengele, una storia che non ha vincitori, ma solo vinti. Come testimonia, l'ultimo sguardo di una sopravvissuta ad Auschwitz, per sempre spalancato sugli orrori» (R. Bottari, “Il Messaggero”, 9.6.2006).
 
«Egidio Eronico [...] gestisce a fatica la formula coproduttiva internazionale, peraltro interessante dato l’argomento (Brasile, Italia e Ungheria), esibendo uno stile da fiction  che non si addice a un progetto di questa levatura. [...] My father è [...] un prodotto medio orgoglioso di esserlo: punta quindi ad illustrare un testo che a sua vota chiama in causa problemi di natura profonda (filosofica, etica, storica, politica), di cui peraltro non vuole fino in fondo assumersi la responsabilità. Non possiamo chiedere a questo film di dire di più di ciò che si trova nel libro di Schneider, ma al più riconoscergli il merito di averne raccolto il testimone, senza approfondirlo (Mengele è morto davvero?) o offrirne una diversa prospettiva (cosa è stato per i criminali nazisti il dopoguerra?), persino partendo dal parametro harendtiano della “banalità del male”» (A.G. Mancino, “Cineforum” n. 7/457, agosto-settembre 2006).
 
«I nomi, nel film, sono cambiati, ma la storia è reale e racconta dell’incontro avvenuto in Brasile nel 1977 tra il criminale nazista Josef Mengele e suo figlio Rolf. Dal drammatico confronto fu ricavato un libro, Papa (edito in Italia da E/O), scritto dal tedesco Peter Schneider. Dal libro, il regista Egidio Eronico […] ha tratto un intenso film costruito a incastri, che vive di tragiche memorie e dolorose conflittualità. E che, soprattutto, si pone una delle grandi questioni di sempre: le colpe dei padri devono ricadere sui figli? Anche se nello specifico ci troviamo di fronte a un estremo, la risposta è faticosa e complessa: uno di quegli interrogativi che probabilmente non conoscerà mai la sua chiusura del cerchio. Teso, ben girato, affollato di angosce, My Father ha in Charlton Heston un mefistofelico aguzzino mai pentito, in Thomas Kretschmann un giovane che tenta disperatamente di diventare adulto, e in F. Murray Abraham un mestierante di indiscusso valore. Un’opera che andrebbe distribuita nelle scuole e vista in Tv in prima serata con dibattito» (A. Fittante, “Film TV”, www.film.tv.it).
 
«Il processo di cancellazione ha direttamente interessato il popolo tedesco da ogni rapporto con i crimini del nazismo e solo da pochissimi anni sono usciti in Germania alcuni film che hanno messo in scena un volto accettabile degli anni quaranta (La rosa bianca, ad esempio, la storia di Sophie Scholl). My Father ha preceduto questo processo in quanto ha avuto la sua prima origine nel 2000, e la storia della faticosa uscita è emblematica di due diversi tipi di censura: da una parte la difficoltà ad essere accettato nei paesi di lingua tedesca che non hanno concesso alcuna coproduzione (presentato al festival di Berlino ma non in concorso), dall'altra lo stato delle cose cinematografiche in Italia che tenta di stroncare sul nascere ogni autore indipendente. Ma la forza di questo film, spettacolare nelle scene e nella recitazione di Charlton Heston, Thomas Kretschmann e Fred Murray Abrahan, si impone ugualmente, ancora di più dopo aver affrontato una attesa così lunga. Non ci racconta solo la storia di un figlio che vuole chiedere conto dei suoi delitti al padre considerato da tutti un mostro, il manipolatore genetico dei campi di sterminio, esperto in “studi dal vivo” sui gemelli, ma la nostra stessa condizione di figli di un'epoca che è riuscita a convivere con quei delitti. Poiché si considerava al di fuori del cristianesimo e dell'ebraismo (la tradizione cristiano giudaica disprezzata e combattuta dai nazisti) non prova colpa chi ha voluto affermare tecnicamente e militarmente un'ideologia, non si sente colpevole il vecchio padre nascosto in Brasile (ma ben protetto e con l'appoggio dei governi come tante centinaia di nazisti in Cile, Argentina, Paraguay e altrove, un'altra storia occultata)» (S. Silvestri, “il manifesto”, 2.6.2006).
 
«La bibliografia sui lager trabocca di testimonianze sulle atrocità di Mengele, che come persona era apparentemente educato e cortese e come scienziato aveva le carte in regola; ma si impegnò a verificare le sue teorie sull'ereditarietà e la razza, con particolare attenzione ai gemelli, utilizzando in qualità di cavie i deportati idonei e avviando senza remore gli altri nelle camere a gas. È difficile riconoscere questa belva umana nella pacata incarnazione di Charlton Heston e non solo perché il divo è molto più anziano dei suo personaggio (82 anni al posto di 68), ma per il suo essere legato a ruoli eroici o comunque positivi. Del resto neppure Gregory Peck era stato convincente incarnando Mengele in I ragazzi venuti dal Brasile […]. Nell'attuale pellicola Eronico non mette l'accento sulla caccia, ma sul confronto tra il padre e il figlio, un Thomas Krethschmann meno a suo agio di quanto non fosse apparso in Il pianista. Girato disponendo di mezzi e pressoché nei luoghi veri, My Father è uno di quei prodotti dall'assunto nobilissimo che non riescono a convincere per la prevedibilità dello svolgimento e le debolezze della sceneggiatura»  (A. Levantesi, “La Stampa”, 9.6.2006)
 
«Girato con una complessa struttura a flash-back. My Father è […] l'incontro tra un figlio e un padre estremamente ingombrante: ma ciò che più colpisce è la determinazione di Mengele nel dichiararsi “innocente”, e il modo in cui offre tranquillamente una birra al figlio quando questi gli piomba in casa. Apologo sulla banalità del male in forma di thriller, My Father merita un'occhiata»  (A. Crespi, “l'Unità”, 9.6.2006).
 
«Scoprire che il padre creduto morto è vivo e nascosto in terre lontane è sempre duro per un giovanotto. Figuriamoci se il papà fuggitivo è il dottor Mengele, uno dei nazisti più infami. Tratto da un romanzo di Peter Schneider, il film di Eronico […] è squilibrato e imperfetto, ma anche teso e originale. Parlare dei fantasmi del passato è impresa ardua, se persino il Papa, 50 anni dopo, si è smarrito ad Auschwitz» (C. Carabba, “Corriere della Sera Magazine”, 8.6.2006).


Scheda a cura di
Franco Prono

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