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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



La stanza del vescovo
Italia/Francia, 1977, 35mm, 110', Colore

Altri titoli: La chambre de l'évèque, The Bishop's Bedroom, The Bishop's Room

Regia
Dino Risi

Soggetto
dal romanzo omonimo di Piero Chiara

Sceneggiatura
Leonardo Benvenuti, Piero Chiara, Piero De Bernardi, Dino Risi

Fotografia
Franco Di Giacomo

Operatore
Roberto Brega

Musica originale
Armando Trovajoli

Musiche di repertorio
Glenn Miller

Montaggio
Alberto Gallitti

Effetti speciali
Antonio Mollichella

Scenografia
Luigi Scaccianoce

Arredamento
Bruno Cesari

Costumi
Orietta Nasalli-Rocca

Trucco
Nilo Jacoponi

Aiuto regia
Claudio Risi

Interpreti
Ugo Tognazzi (Temistocle Mario Orimbelli), Ornella Muti (Matilde Scrosati in Berlusconi), Patrick Dewaere (Marco Maffei), Lia Tanzi (Landina), Gabriella Giacobbe (Cleofe Berlusconi in Orimbelli), Katia Tchenko (Charlotte), Karina Verlier (Germaine), Franco Sangermano (Giudice Istruttore Mazzoleni), Marcello Turilli (Angelo Berlusconi), Piero Mozzarella (Brighenti), Renzo Ozzano (brigadiere), Francesca Juvara (Martina), Giuseppe Brugnarolo

Produttore esecutivo
Enrico Lucherini

Produzione
Giovanni Bertolucci per Merope, Carlton Film Export, Società Nouvelle de Cinématographie

Distribuzione
Titanus

Note
Film in Vistavision e Telecolor; assistenti operatore: Giorgio Aureli, Francesco Gagliardini; brano musicale Moonlight Serenade di Glenn Miller; direttore d’orchestra: Armando Trovajoli; montaggio del suono: Mario Dallimonti; assistenti al montaggio: Anna Bolli, Carla Giardini, Annarosa Napolitano; parrucchiere: Giovanni Palombi; assistente alla regia: Alain Kat.
Locations: Stresa, Verbania, Isola dei Pescatori, castelli di Cannero e Cannobio.  Stabilimenti De Paolis, Roma
 
Premi: David di Donatello 1977 a Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi per la Migliore Sceneggiatura.




Sinossi
Marco Maffei, un giovanotto che trascorre il tempo navigando senza meta sul Lago Maggiore, viene avvicinato dallo stravagante Temistocle Mario Orimbelli che lo invita nella propria villa dove gli presenta la moglie Cleofe e la cognata Matilde, il cui marito è disperso in Abissinia. Marco, che ha diverse amichette come Charlotte, Germaine e Landina, fa qualche gita con l'invadente Orimbelli. Una volta, mentre si trova con Matilde e Temistocle in un albergo a 18 km dalla villa, Cleofe viene trovata annegata. Sul momento viene accettata la versione del suicidio; Orimbelli sposa Matilde e Marco continua a frequentare i nuovi amici. Tuttavia, la ricomparsa del fratello di Cleofe e marito di Matilde, dato per disperso, e i ripensamenti di Marco inducono il giudice a riaprire il caso.





«È questo uno dei film più felici e spettacolarmente piacevoli della maturità, certamente grazie anche al personaggio centrale interpretato da Ugo Tognazzi […]. Ma fondamentale ci sembra l’incontro con lo scrittore alla “antica italiana”, demiurgo di una saga luinese e lacustre […]. Anche Chiara, in campo letterario, è un tipico sottovalutato ed a diminuirlo – agli occhi della critica – sono lo strepitoso successo di vendite, la vena irridente e permissiva, la facilità di scrittura ed il taglio concreto, vivido dello stile: esattamente gli stessi peccati che la cultura cineclubista assegna al regista. L’incontro si sviluppa, quindi, all’insegna dell’attrazione reciproca, nelle immagini ora terse per sentimento panico ora cupe per il tuffo nella follia […]. Questo road movie sull’acqua, su e giù per il lago nella prima estate del dopoguerra, con i suoi incontri che sembrano irrilevanti e si rivelano poi determinanti e col suo stridente finale giallo, è davvero uno dei vertici toccati dalla nonchalance artistica risiana, una delle pochissime opere del cinema italiano moderno ricche di humour e fragranza, pienamente risolte nel piacere del congegno, trascinate dal culto – interno ed esterno al testo – di un edonismo disincantato. Smagliante nella scenografia e nella fotografia, La stanza del vescovo ha la beffarda malinconia delle avventure crepuscolari e tutto l’ordino s’impregna dell’essenza carnale della vita, invano repressa dall’autorità e dalla frigidità umane: la disperata corsa verso la catastrofe include l’estremo sberleffo ai farmacisti della morale, e nelle tonalità frastagliate come le onde del lago – e come quelle ingannatrici – echeggia il sapore di una libertà assaporata sino in fondo e poi perduta per sempre.”La stanza del vescovo”, in senso più ampio, è un luogo simbolico, il piccolo altare che ciascuno di noi crede di custodire (in ricordo di indicibili attimi, di amori fugaci, di sensazioni consumate dal tempo) e che, ad ogni verifica, si rivela un deposito di trovarobato inservibile» (V. Caprara, Dino Risi. Maestro per caso, Gremese, Roma, 1993).
 
«Il Lago Maggiore, che “scopre una spiaggia / di aride cose” come dicono i versi di Sereni in epigrafe al romanzo, respira nel film con l’immensità dei suoi sfondi montani, le sue brezze fatte apposta per andare a vela, le sue isole di monumenti e giardini, le sue furie improvvise. Risi è riuscito a ricavare dalla pagine di Chiara una nuova versione dei temi ricorrenti nella sua filmografia fin da Il sorpasso: il vagabondaggio, l’amicizia fra il vecchio e il giovane, il voyeurismo. La conclusione del romanzo, con l’io narrante che esce di scena nel momento in cui dovrebbe assumere una vera parte in commedia, sottolinea il motivo assai frequente in Risi del protagonista come osservatore sempre riluttante a buttarsi nella mischia» (T. Kezich, “la Repubblica”, citato in V. Caprara, Dino Risi. Maestro per caso, Gremese, Roma, 1993).
 
«Comunemente considerato tra i più felici “costruttori” della commedia all’italiana, Dino Risi sembra attualmente alla ricerca di un suo ruolo diverso d’autore. Questa ricerca, iniziatasi in fondo con Profumo di donna, film commercialmente fortunatissimo, pare in questa fase dirigersi verso intrecci che ripropongono il conflitto, più psicologico che culturale, tra le generazioni, l’ambiguità dei personaggi adulti alle prese con un universo delle apparenze-frustrazioni in cui si costringono a vivere, testimoni amari e contraddittori del proprio passato e della propria incapacità di trasformarsi in uomini conformi ai modelli di comportamento e ai valori della nuova realtà sociale. […] In […] La stanza del vescovo […] i rapporti tra i giovani e i vecchi, e, in seconda istanza,tra uomini e donne, vengono presentati come infelici, sia perché viziati da una costante ambiguità e da un’incomprensione insuperabili, mentre i secondi agiscono con criteri di calcolo (anche solo psicologico) […] domina un clima di mistero, […] racchiuso nelle ampie pareti di focolari domestici in cui sono aggrovigliate passioni deluse, odi profondi, riscatti illusivi […] le pareti domestiche […] di La stanza del vescovo hanno i connotati di una borghesia vorace, che si alimenta anche dei propri cadaveri» (G. Bozza, “Cineforum” n. 168, ottobre 1977).
 
«Bizzarra commedia, non del tutto riuscita ma con un suo ambiguo fascino, che Dino Risi ha tratto da un romanzo di Piero Chiara, ambientato, tanto per cambiare, sul suo amatissimo lago. Vagamente erotica, un po' scostumata, rappresenta uno spicchio d'Italia di sbalorditiva immoralità. Ugo Tognazzi è perfetto in uno dei personali più ignobili della carriera, Ornella Muti, a tratti anche vestita, e così bella da sembrare brava» (M. Bertarelli, “Il Giornale”, 9.2.2001).




Persone / Istituzioni
Dino Risi
Leonardo Benvenuti
Piero Chiara
Piero De Bernardi
Franco Di Giacomo
Armando Trovajoli
Ugo Tognazzi
Ornella Muti
Patrick Dewaere
Renzo Ozzano
Luigi Scaccianoce


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