Regia Vanni Vallino
Soggetto Bruno Gambarotta
Sceneggiatura Bruno Gambarotta, Franco Vaccaneo, Vanni Vallino
Fotografia Lorenzo Gambarotta
Operatore Domenico Marciano
Musica originale Paolo Innarella
Suono Paolo Zanforlin
Costumi Norma Uglietti
Trucco Norma Uglietti
Interpreti Marco Morellini (Cesare Pavese), Iaia Forte (Cristina, studiosa di Pavese), Eugenio De Giorgi (il regista), Michela Giacoma Fattorin (Enrica, figlia del produttore), Nino Castelnuovo (Antonio, il produttore), Sergio Danzi (Nuto), Danilo Bertazzi (il ragazzo americano), Bruno Gambarotta (il ristoratore), Simona Codrino (la prima amante), Bruna Vero (la seconda amante), Saverio Vallone (se stesso), Mario Chichi, Franco Vaccaneo, Pierluigi Vaccaneo, Luigi Marenco
Produzione Fondazione Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo), Immagina (Novara)
Note Sottotitolo: Un film per il centenario della nascita di Cesare Pavese (1908-2008).
Didascalia finale: “Film realizzato nell’ambito delle celebrazioni per il centenario della nascita di Cesare Pavese (1908/2008)”.
Operatore steadycam: Stefano Martini; fotografo di scena: Giuseppe Massara, Domenico Marciano; musicisti: Paolo Innarella (sax, flauto), Ares Tavolazzi (contrabbasso), Lutte Berg (chitarra elettrica), Emanuele smammo (percussioni); post produzione audio: Stefano Colli; editor video: Guido Nobile; assistenza alla regia: Marco Vallino; altri interpreti: Maurizio Pavese, Alberto Rosazza, Sandro Monte, Adriano Ferro, Associazione Culturale L’Arcoscenico di Asti, la gente di Santo Stefano Belbo; interviste a: Mario Motta, Tullio Pinelli, Franco Ferrarotti, Ettore Lazzarotto a cura di Andrea Icardi; assistenza tecnica: Alessandro Bigatti, Marcello Vignola; consulenza psicologica: Antonella Giordano, Giorgio Omodeo Salè; organizzazione set: Nicoletta Pavesi, Pierluigi Vaccaneo; backstage: Andrea Icardi
Il film contiene citazioni di Riso amaro (1949) di Giuseppe De Santis, prodotto da Dino De Laurentis per la Lux Film.
Questa “docu-fiction” è stata realizzata con il contributo della Regione Piemonte.
Sinossi
Un gruppo di cineasti e di studiosi si reca a Santo Stefano Belbo, paese natale di Cesare Pavese, per girare un film su di lui. Lo scrittore appare di tanto in tanto, seguendo discretamente lo sviluppo del film mentre scorrono episodi emblematici della sua esistenza.
Dichiarazioni
«Ci sono queste parole nelle prime pagine de La luna e falò: “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti…”. Occorre andare a Santo stefano Belbo, paese natale di Cesare Pavese, per capirle, studiarle, farsele entrare dentro la pelle, fino al cuore. Sembra cos’ strano, in questo confuso inizio di secolo, che ci si possa ancora soffermare su frasi di questo tipo, così coinvolti come siamo in una frenesia senza fine… eppure… […] Il nostro Cesare Pavese non muore; avvicina gli interpreti, il regista, il produttore e sua figlia, la studiosa, li commenta, liguarda incurisito, ci pone domande senza offrirci troppe risposte. (Ri)vive nei suoi libri, nelle sue pagine, nelle parole e nelle frasi, nelle epigrafi e nelle dediche, nei diari e nei racconti di chi lo ha conosciuto; una trama, la nostra, a metà strada tra il film, la fiction e il documentario» (V. Vallino, in B. Gambarotta, F. Vaccaneo, V. Vallino, Un paese ci vuole, Casa Shalom, Novara, 2008).
«Caro Pavese, […] era logico che afferrassi al volo l’occasione di lavorare, con amici quanto e più di me “pavesiani”, al progetto di un film celebrativo del centenario della tua nascita. Abbiamo scartato subito il modello di un film d’impianto tradizionale, di forme chiuse e definite. Il “cantiere Pavese” è sempre aperto, nessuna sistemazione è mai definitiva, ogni generazione deve confrontarsi con la tua opera, prodigiosa per profondità di scavo. […] Abbiamo pensato di mettere n scena e fare agire un piccolo gruppo di persone che discutono mentre girano un film su di te, in modo da avere una pluralità di voci e di punti di vista. Ambientando la storia ai giorni nostri abbiamo voluto sottolineare la grande differenza fra la Langa di oggi, baciata da un meritato benessere (grazie anche alla tua fama e a quella di Beppe Fenoglio), e quella che tu hai conosciuto, teatro di una dura lotta per la sopravvivenza» (B. Gambarotta, in B. Gambarotta, F. Vaccaneo, V. Vallino, Un paese ci vuole, Casa Shalom, Novara, 2008).
«Volevamo proporre qualcosa di nuovo e di diverso intorno a Cesare Pavese, al di là di una certa agiografia tuttora imperversante. Intanto non avrebbe dovuto essere un film sulla vita, tipo scneggiato televisivo strappalacrime (gli ingredienti c’erano tutti: donne fatali con conseguenti amori finiti male, il suicidio, ecc.) ma una riflessione sul dopo, sulla realtà odierna. Dopo molti tentativi, prendendo spunto da un mio libretto di tanti anni fa in cui Pavese tornava sulle sue colline dopo la morte per un dialogo immaginario con i giovanid’oggi nell’Italia molto diversa dai suoi tempi, trovammo il bandolo con cui dipanare la matassa» (F. Vaccaneo, in B. Gambarotta, F. Vaccaneo, V. Vallino, Un paese ci vuole, Casa Shalom, Novara, 2008).
«Il titolo del film è tratto dalle prime pagine del testo forse più conosciuto di Cesare Pavese, La luna e i falò, e rappresenta nel contempo una delle chiavi interpretative del film stesso, ossia il bisogno dell'uomo, di ogni uomo, di radicarsi in un qualche luogo (fisico o simbolico, non importa) capace di dare senso al proprio vivere. Nel film si narra di una troupe cinematografica che sta realizzando dei sopralluoghi nelle terre che hanno dato i natali allo scrittore per preparare le riprese di un film, appunto su Pavese. Lo stratagemma narrativo non è certo nuovo: esso consente però di intrecciare senza soluzione di continuità passato e presente, ricordo e azione contingente, senza costringere lo spettatore a inutili e talvolta fastidiosi salti temporali. I nostri saranno accompagnati nel loro viaggio alla scoperta di Pavese dallo scrittore stesso, che talvolta compare a sottolineare con la sua figura, ma soprattutto con i suoi testi, i momenti topici del film e insieme a testimoniare l'immortalità dell'artista grazie ai suoi prodotti. Un artista mai pienamente compreso, sempre da scoprire nuovamente, sembra di capire già dalle prime inquadrature, nelle quali Pavese compare fra un gioco di specchi artistici. Il film è stato girato nei luoghi pavesiani, primi fra tutti Santo Stefano Belbo, dove ha sede la Fondazione Cesare Pavese che ha messo a disposizione documenti e materiali originali. Tra i filari delle vigne della campagna intorno al paese è stata girata anche la scena particolarmente suggestiva di un falò al tramonto, mentre nella falegnameria di Nuto è stata riprodotta la scena della prova della banda. La dimensione documentaria del film è garantita, oltre che dal rigoroso studio che ha preceduto la stesura della sceneggiatura (opera di Bruno Gambarotta, Franco Vaccaneo e Vanni Vallino), anche dall'utilizzo di testimonianze filmate di personaggi che con Pavese hanno avuto una frequentazione (il sociologo Franco Ferrarotti, Tullio Pinelli, Mario Motta, Ettore Lazzarotto e l'amico di sempre, il falegname Pinolo Scaglione - Nuto). Sottolineiamo anche i brani inediti di Raf Vallone nei quali il grande attore racconta dell'amicizia tra Constance Dowling e Pavese e interpreta una poesia. Il film non vuole essere un'opera biografica su Pavese, anche se del letterato propone alcuni momenti ed alcune esperienze fondamentali: il rapporto complesso e faticoso con le donne, l'incontro con la morte violenta di un gruppo di repubblichini, il male di vivere, il suicidio, il bisogno del legame con le radici, la profonda solitudine» (dalla Cartella Stampa della Produzione).
Scheda a cura di Franco Prono
|