Regia Giuseppe Capotondi
Soggetto Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo
Sceneggiatura Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo
Fotografia Tat Radcliffe
Musica originale Pasquale Catalano
Suono Alessandro Zanon
Montaggio Guido Notari
Scenografia Totoi Santoro
Arredamento Fiorella Cicolini
Costumi Roberto Chiocchi
Aiuto regia Davide Bertoni
Interpreti Ksenia Rappoport (Sonia), Filippo Timi (Guido), Antonia Truppo (Margherita), Gaetano Bruno (Riccardo), Fausto Russo Alesi (Bruno), Michele Di Mauro (Dante), Lorenzo Gioielli (vice direttore albergo), Lidia Vitale (Rossa speed date), Giampiero Iudica (uomo speed date), Roberto Accornero (uomo speed date), Lucia Poli (Marisa), Giorgio Colangeli (prete anziano), Deborah Bernuzzi (hostess di terra), Barbara Braconi (receptionist), Federica Cassini (infermiera)
Casting Annamaria Sambucco, Gianfranco Cazzola
Direttore di produzione Andrea Tavani
Ispettore di produzione Danilo Goglio
Produttore esecutivo Viola Prestieri
Produzione Nicola Giuliano per Indigo Film, Francesca Cima per Medusa Film
Distribuzione Medusa Film
Note Musiche di repertorio: Remnant (Devin Sarno) In Between Days (R.Smith) Antennas to Heaven (Godspeed! You Black Emperor) 13 Angels Standing Guard 'Round The Side Of Your Bed (A Silver Mount Zion) Leave Be (Nels Cline e Devin Sarno) Esquimalt Harbour (Set Fire to Flames) 09-15-00 (part one) (Godspeed! You Black Emperor) East Hastings (Godspeed! You Black Emperor) Built then burnt (A Silver Mount Zion) Love Song for 15 Ontario (Set Fire to Flames) La vida es un Carnaval (Victor Daniel Roberto); direttore d’orchestra: Pasquale Catalano, Giuseppe Sasso; suono in presa diretta; montaggio del suono: Silvia Moraes; altri interpreti: Valentina Gaia (commessa gioielleria), Edoardo La Scala (Marco), Chiara Nicola (ragazza suicida), Chiara Paoluzzi (cameriera albergo), Gilda Postiglione (medico sogno), Simone Repetto (cliente speed date), Diego Gueci (cliente speed date), Stefano Saccotelli (cliente speed date), Fabrizio Rizzolo (cliente albergo), Antonio Sarasso (infermiere ospedale), Stefano Sardo (rapinatore), Paolo Maria Serra (neurologo); organizzatore generale: Stefano Benappi; location manager: Adriano Bassi; coordinatrice di produzione: Adelina Arcidiaco; produttore associato: Carlotta Calori
Il film è stato realizzato con la collaborazione di Film Commission Torino Piemonte e Mercurio Cinematografica
Film riconosciuto di interesse culturale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Direzione Generale per il Cinema
Locations: Torino (via Principe Tommaso, Crocetta, Borgo San Paolo).
Premi: Menzione Speciale alla sceneggiatura al Premio Solinas-Storie per il cinema 2007 con la seguente motivazione: «Un bellissimo thriller psicologico moderno e di possbile impatto spettacolare. Una storia d‘amore avvincente quanto i continui colpi di scena raffinati: la storia stupisce ed emoziona ad ogni cambio di direzione»; Coppa Volpi per la Migliore Interpretazione Femminile a Ksenia Rappoport, Premio Pasinetti (SNGCI) a Filippo Timi come Miglior Protagonista Maschile, Premio Arca Cinemagiovani al Miglio Film Italiano alla 66^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Sinossi
Sonia viene da Lubiana e fa la cameriera in un hotel. Guido è un ex poliziotto e lavora come custode in una villa fuori città. Si incontrano per caso in uno speed date. Lui è un cliente fisso. Poche parole, un’istintiva attrazione. In pochi giorni imparano a conoscersi, ad aprirsi, a svelare le proprie ferite. Sono sul punto di innamorarsi… quando Guido muore. Improvvisamente, durante una rapina nella villa che dovrebbe custodire. Sonia si ritrova da sola a elaborare un lutto di cui non riesce a trovare il senso. E di cui alcuni addirittura la ritengono responsabile. Mentre il passato di Sonia ritorna, con tutti i suoi nodi non risolti, la realtà che la circonda comincia a collassare, fino a crollarle addosso. Tutto inizia a cambiare, ogni certezza si sgretola e nessuno è più lo stesso. Nemmeno Sonia. Chi è veramente? E soprattutto, è davvero Guido quello che lei continua a vedere, al di là di ogni plausibile logica, o è solo la sua mente che vacilla? E cosa farà quando le verrà offerta una seconda occasione?
Dichiarazioni
«La doppia ora non è solo la semplice coincidenza che fa leggere sul quadrante di un orologio un’ora ripetuta e suggerisce ai protagonisti un gioco, la possibilità di esprimere un desiderio. La doppia ora segna l’incontro di Sonia e Guido, due solitudini che sembrano specchiarsi l’una nell’altra. Un incontro che fa intravedere la possibilità di lasciare alle spalle vecchie ferite e ricominciare. Un incontro che segnerà in maniera inaspettata la vita di entrambi. Potremmo definirlo un film di genere, La doppia ora. Ma pur attingendo a piene mani dal noir, dal mélo, dal thriller e dall’horror psicologico, si è voluto in qualche modo mantenerne le distanze, facendo invece forza sul vero nucleo narrativo del film, quello che vede i due protagonisti affrontare, ciascuno per proprio conto, un doloroso percorso interiore. Da un lato Guido che nasconde nella disillusione la sofferenza del proprio passato, dall’altro Sonia misteriosa, bellissima, che sprofonda in un abisso fatto di ricordi che non riesce a scacciare. E quando le ragioni del tormento di entrambi sembrano trovare una spiegazione, forse una soluzione, tutto torna a confondersi per i protagonisti così come per lo spettatore, sino alla fine, sino all’ultima inquadratura rivelatrice. Perché niente e nessuno è come sembra in questa storia. In tal senso semplicità e misura dal punto di vista formale si sono rese necessarie per conferire compattezza ad una vicenda che si regge proprio sull’equilibrio delle parti. La coerenza stilistica, infatti, è tesa non tanto ad assecondare i dettami del genere quanto piuttosto a rendere giustizia alla storia nella sua interezza, nella sua essenza più profonda e per me significativa» (G. Capotondi, dal Pressbook della Produzione).
«Penso che sia stata più una sfida l'idea di affrontare l'horror, che non concretamente il girarlo. L'Italia ha una grande tradizione di film di genere, una tradizione cui hanno attinto in tanti, non solo Quentin Tarantino, ma negli ultimi tempi, a parte La ragazza del lago, nessuno ci ha più provato. […] Sicuramente c'è nel mio immaginario Polanski, da Rosemary's Baby a L'inquilino del terzo piano, c'è tutta la parte non "gore" della filmografia di Lucio Fulci, c'è Dario Argento, ma certo devo molto anche a film che mi galleggiano nella memoria quasi a mia insaputa, come Il profumo della signora in nero, diretto nel 1974 da Francesco Barilli. La mia esperienza come regista di video musicali mi ha aiutato molto: anche lì, in spazi molto più ridotti, devo raccontare storie di presa immediata. […] Ho chiesto a Pasquale Catalano un tappeto sonoro d'atmosfera e mai invadente e l'ho unito alle musiche del gruppo canadese Godspeed You! Black Emperor, che ho ascoltato sul set e che sono poi finite nel film. Insomma, ho puntato sulle suggestioni, non volevo che la musica fosse troppo presente, come facevano i Goblin con Dario Argento, anche perché nel mio film il sangue non c'è, è solo la storia di due persone e dei loro sentimenti» (G. Capotondi, “il Mattino”, 29.8.2009).
«Un film di genere […] ma non saprei dire quale genere. Un thriller, un dramma e nessuno dei due. Nel rovesciamento continuo di fronte c'è la chiave dell'equilibrio del film che indaga sulla difficoltà di avere fiducia nell'altro e sull'impossibilità di cambiare e così di agguantare la seconda occasione della vita» (G. Capotondi, “La Stampa”, 11.9.2009).
«Per la verità mi sono accorto che il film era un noir solo dopo averlo girato […]. Mi ero preoccupato solo di concentrarmi sul ruolo e sulla sua relazione con quello di Ksenia¸ il fatto che fosse una storia torbida mi sembrava normale, perché la mia vita è stata tutta un'esperienza "noir". Quando poi ho visto il film però, sono saltato sulla sedia e mi sono fatto paura da solo. […] Certe cose non spaventano quando le giri, ma vedendole terrorizzano. D'altra parte non mi stupisce: la relazione uomo-donna è sempre un thriller» (F. Timi, “Il Mattino”, 7.10.2009).
«Il film ha alle spalle una sceneggiatura di ferro che mi ha subito conquistato. Il mestiere dell'attore è interpretare tanti personaggi differenti, ma alla fitte sono sempre io che muto esprimendo caratteri diversi. Il ruolo di Guido, stavolta, è molto più sfumato, non appare mai lo stesso. Un po' come tutto il film, che è tante cose insieme, non è solo un horror, o un thriller, o una storia sentimentale, ma è questo e altro ancora» (F. Timi, “Il Tempo”, 7.10.2009).
«Giuseppe Capotondi è giovane, ma non è un ragazzo: vive dal 2004 a Barcellona e ha un ricco curriculum di pubblicità e video musicali. Per esordire ha scelto un genere che non passa mai di moda, il thriller. Ma con risvolti che sfociano (o sembrano sfociare) nel paranormale. […] nell'arco di 95 minuti sembra di vedere due film, non molto legati l'uno all'altro - o forse, chissà, il secondo film dovrebbe essere l'immagine speculare del primo, ma allora forse era meglio esagerare e girarli in modo completamente diverso. C'è però sapienza nel costruire sequenze e atmosfere, e un uso molto acuto del sonoro, che fanno della Doppia ora un esercizio di stile ben realizzato» (A, Crespi, “l’Unità”, 11.9.2009).
«Nello strano paese in cui viviamo, provinciale più che mai, si manda agli Oscar a rappresentare il cinema italiano il film che meno rappresenta le dimensioni produttive del nostro cinema, Baarìa, con i suoi 25 milioni di euro dichiarati (e chissà quanti reali) […] e si snobba (come ha fatto la critica a Venezia) il film italiano più “internazionale” degli ultimi anni, La doppia ora di Giuseppe Capotondi, che non a caso è stato oggetto di molte richieste per remake hollywoodiani. Cosa ci fa un film come questo in una cinematografia come la nostra? La doppia ora è per le modalità produttive e per l'arditezza narrativa un oggetto non identificato. […] La doppia ora si colloca nella nebulosa di film che hanno fatto della mente uno spettacolo, dell'interiorità complessa della psiche umana un action gender. Tra Essere John Malkovich, Se mi lasci ti cancello e Vanilla Sky. L'esordio di Capotondi ha però una sua definita e originale dimensione, ben calata nell'orizzonte delle cose italiane, senza sembrare forzatamente improbabile per essere a tutti i costi diverso» (D. Zonta, “l’Unità”, 9.10.2009).
«La doppia ora […] ha una confezione di lusso e una scrittura densa […]. “Un film di genere” sostiene il regista, che accende una macchina di sospiri, ombre, fantasmi come omaggio a tutto quel che può, dalle Verità nascoste di Zemeckis a Vampyr di Dreyer con la soggettiva dalla bara fino a Body Double di De Palma, ma il quiz “cerca il film” resta aperto. […] Il film collassa nell'inconsistenza, nella frantumazione estetizzante dei generi, non è un thriller ma un coma, una falsa pista, un gioco di rimandi senza paura e passione. Tutto torna alla fine, la realtà combacia con l'incubo. Dissanguato dall'esercizio di stile, La doppia ora fa a pezzi la dark lady, la riduce a una figuretta a servizio del capovolgimento di eventi, mai veramente doppia, mai aspirante al potere senza maschi. Sonia non è nessuno, non pensa niente. Così il film che prometteva godimenti, l'ambizione di dislocare il cinema italiano fuori dai suoi confini, si perde nella sua eleganza visiva» (M. Ciotta, “il manifesto”, 11.9.2009).
«Nutrito di buone lezioni, più polanskiane che hitchcockiane, il thriller di ambientazione torinese si radica credibilmente nell'avarizia sentimentale che affligge un esercito di solitudini, entrando a razzo nel fortuito (fortuito?) incontro tra Guido ex poliziotto ora guardia privata e Sonia cameriera di hotel nativa di Lubiana. […] II segno dell'ambiguità (chi è davvero cattivo?) domina gli sviluppi e il susseguirsi di colpi di scena. Ben congegnato, e non era facile. Con il difetto - forse da esordiente – del preoccuparsi troppo di avvertire: faccio un film "di genere" ma sono anch'io un "autore"» (P. D’Agostino, “la Repubblica”, 9.9.2009).
«La doppia ora ha un po' deluso le promesse della vigilia. Fatti salvi i meriti di un soggetto fuori dagli schemi, il coraggio di tornare ai generi, dal thriller al gotico al noir, il film non sembra aver entusiasmato, forse per non essere riuscito a percorrere fino in fondo nessuna delle tre strade. Resta la suggestione cabalistica: la Doppia ora del titolo che al suo scoccare determina ogni volta strani eventi, si è ripetuta anche nella realtà: “La prima proiezione è avvenuta il 9/09/09 - nota il regista - quella ufficiale il 10 alle ore 10”» (G. Manin, “Corriere della Sera”, 11.9.2009).
«In un quadro di cinema casalingo minimalistico e autoreferenziale (quando non sgangheratamente socio-politico), un film come questo, modulato con passione e competenza sull'eco di classici di genere alla Hitchcock o Lang, rappresenta […] una sfida senz'altro da valorizzare. Capotondi punta forte su Ksenia Rappoport e Filippo Timi per intrecciare davanti e dietro ai loro e ai nostri occhi una spirale di minacciosi inganni, trance memoriali e slittamenti di personalità sullo sfondo di una Torino come astratta o stupefatta; e se qualche passaggio è telefonato, qualche coincidenza zoppica e qualche connessione s'inceppa, proprio il lavoro in chiaroscuro sui protagonisti riesce in complesso a supportare l'elegante tenuta di regia» (V. Caprara, “Il Mattino”, 11.9.2009).
«Un’opera prima italiana. La firma un regista di video musicali e di spot pubblicitari, Giuseppe Capotondi sulla base di un testo riscritto per lui da tre sceneggiatori, Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo, che si sono ispirati a un loro soggetto intitolato Il cuore della notte, menzione speciale nel 2007 al premio Solinas. La cifra è la rivisitazione di un genere che si tiene in equilibrio fra il poliziesco in senso lato e lo psicologico con tendenze al dramma. Privilegiando, o]tre che le tensioni, il mistero, all'insegna dell’ambiguità» (G.L. Rondi, “Il Tempo”, 7.10.2009).
«All'inizio La doppia ora, opera prima di Giuseppe Capotondi, un quarantenne che viene dalla pubblicità e dai video musicali, sembra un esercizio di stile un po' stucchevole: una cavalcata fra i generi, soprattutto thriller e noir, ricca di citazioni e di scene ispirate ad altri film - un modo per dire “lo so fare anch’io, e guarda come lo faccio bene”. Appare manierata e saccente anche la trama, che attinge a piene mani al passato thriller-noir, con l’aggiunta di elementi psicologici e accenni al paranormale che fanno tanto Sesto senso. Ma le atmosfere create da Capotondi, la sua capacità di costruire le scene e la recitazione ambigua (in senso positivo) degli attori lasciano in qualche modo "passare" una fascinazione particolare, e curiosamente danno spazio, nelle intercapedini di sequenze calcolate al millimetro con cerebrale freddezza, emozioni inquietanti, suggestioni che restano dentro e che "tornano su” molto dopo la visione del film. […] Capotondi dimostra una maturità espressiva che lo discosta dall’esordiente medio italiano, non solo perché il suo film appartiene ad un mondo delle immagini più internazionale, o almeno più anglosassone […], ma anche perché mostra la capacità, insolita per il nostro cinema, di veicolare attraverso il codice del genere un sottotesto che sta a noi decifrare, come la trama del film» (P. Casella, “Europa”, 11.9.2009).
«Un esordio interessante con un film non semplice che sa catturare, malgrado qualche sbandamento. Grazie anche a ottimi interpreti […]. Realtà e sogno, melò e thriller, il tema del doppio è ricorrente nella trama e nella psicologia dei personaggi, e Capotondi, al primo film dopo una lunga esperienza nei videoclip musicali e negli spot pubblicitari, sa dare plausibilità ad una storia complessa, che pure sconta qua e là qualche incongruenza» (R. Bonzio, www.it.reuters.com, 10.9.2009).
«Buona La prima. Ovvero il film in una frase. Perché il debutto di Giuseppe Capotondi merita apprezzamento; perché le cose migliori si vedono tutte nella prima ora. Dopo cambia, cala. Ma tant'è […]. Film assolutamente inedito nel panorama tricolore, immune alle sue derive/ossessioni/velleità autoriali. […] ogni vezzo stilistico è subordinato al cinema di genere, al suo funzionamento. Operazione al confine tra mistery, noir e mélo. “Una storia d'amore venata di mistero", la chiama Capotondi. Avrebbe funzionato meglio come mistery venato d'amore: tra i due, è la love story ad apparire meno credibile. […] Come spesso avviene in pellicole del genere, più aumentano gli enigmi più la soluzione delude. Anziché continuare a pigiare il pedale sull'irrazionale, l'onirico e il conturbante, Capotondí preferisce sterzare sull'epilogo logico, e il delitto e castigo con ghost-story lascia posto a un sentimentalismo posticcio. Gli interpreti funzionano, lo script è ricco di spunti, il lavoro sul sonoro prezioso. La regia diligente, ma senza guizzi. La doppia ora resta un buon thriller rovinato da un pessimo melodramma. Un ibrido irrisolto, a metà tra l'esordio promettente e l’occasione sprecata» (G. Arnone, “Rivista del Cinematografo” n. 10, ottobre 2009).
«Il limite più evidente dell'esordio di Giuseppe Capotondi coincide, paradossalmente, con l’aspetto di maggior interesse, e cioè l’ambiziosa struttura tripartita dello script, con relativo gioco di scatole cinesi e continui ribaltamenti di prospettiva. Si accumulano anche un gran numero di riferimenti intertestuali, citazioni sfocate più che espliciti omaggi, una rete di rimandi che rafforza il clima perturbante e comprende Polanski, Argento, Fulci. Da questa atmosfera di grande fascino si esce però un po’ troppo presto e si esce male, con un secondo ribaltamento a causa del quale la componente metafisica del racconto si sgonfia e tutto trova una spiegazione logica. E qui vengono i problemi. Purtroppo manca ancora una discreta porzione di film e improvvisamente la storia perde interesse, trascinandosi stancamente verso l'inevitabile finale. Non solo. Il tipo di ribaltamento scelto - molti ricorderanno La donna del ritratto di Lang - implica una necessaria rilettura di tutto ciò cui si è assistito nella parte centrale. Sbavature, dialoghi poco curati, piccole contraddizioni trovano una nuova coerenza e nuova compattezza, ma questo diventa, con effetto boomerang, anche un limite perché si ha l’impressione che in effetti questo colpo di spugna sia una soluzione un po' troppo facile che finisce per giustificare tutto. […] In mezzo a queste crepe, che si aprono per ìl lodevole tentativo, portato avari in fase di scrittura, di dar vita a una struttura narrativa originale e atipica per il panorama nostrano, c è tanto di positivo. In particolare, a dispetto di molto cinema che si fa in Italia in cui prescindibile risulta il lavoro sui codici visivi, La doppia ora è un film “bello da vedere […] Capotondi ha anche il merito di intavolare un progetto di regia molto compatto e coerente con ciò che racconta. Peccato quindi per il fardello deIl’ultima mezz’ora, che appesantisce la struttura e suggerisce il rammarico che, nell’esplicito rimando a La donna del ritratto, gli sceneggiatori non ne abbiano ripreso soprattutto la mirabile asciuttezza del finale» (S. Spoladori, “Duellanti” n. 56, ottobre 2009).
«Un mélo intriso di noir che sfocia in un thriller dalle sfumature psicologiche. Giuseppe Capotondi è specializzato in video musicali e spot pubblicitari. II suo film, caratterizzato da una sceneggiatura studiata nei dettagli, rivela una buona padronanza del mezzo espressivo. È supportato da prestazioni attoriali di buon livello, ma contiene anche situazioni prevedibili e qualche virtuosismo di troppo. È quindi un'opera originale, che però non convince del tutto, forse perché così studiata a tavolino (i tre sceneggiatori vi hanno collaborato ispirandosi a un loro soggetto, II cuore della notte, che aveva ottenuto una menzione speciale al Premio Solinas nel 2007) da non riuscire a decollare pienamente in sala. Tornando agli attori, ricordiamo che Ksenia Rappoport (che recita con sensibilità e bravura il difficile ruolo di Sonia) è stata premiata a Venezia con la Coppa Volpi come migliore attrice» (M.G., “il Ragazzo Selvaggio” n. 77-78, settembre-dicembre 2009).
«Commençant comme une histoire d'amour banale mais joliment filmée entre deux étres abîmés par la vie, La Doppia ora change de direction quand l'un des deux amoureux meurt tragiquement, tué par un cambrioleur. On passe alors sur un film sur le deuil pour enchaîner sur la folie et puis sur la suspicion (le cambriolage était-il anodin ?,...). Bref, pour son premier long, Giuseppe Capotondi s'amuse à brouiller les cartes, manipule sans cesse le spectateur (ce que I'on voit, n'est pas forcement la réalité ou peut étre que si). Le jeu peut être vite irritant surtout quand on n'est pas adepte du twist à outrance. Reste que les deux comédiens principaux et surtout Ksenia Rappoport, d'une belle justesse, parviennent à faire naître une vraie compassion pour ce qui n'est au final qu'une drôle d'histoire maudite. Pour eux avant tout, on adhère gentiment le temps de la projection» (L. Pécha, www.ecranlarge.com, 2009).
«With this tasty genre piece, first-time director Giuseppe Capotondi proves there is life in Italian cinema beyond ponderous glossy dramas and pneumatic sex comedies. Mixing film noir, thriller, love story and supernatural horror, The Double Hour has some of the dour provincial atmosphere and subtly menacing tone of 2007 Italo murder mystery The Girl by the Lake; but it's more intricately plotted, and takes us into much more intriguing dream-and-reality territory. It also features a standout performance by Italy-based Russian actress Ksenia Rappoport which won her the best actress prize on the Lido. The camerawork plays subtle games with the characters' point of view. […] But it's not just the script that impresses. The camerawork plays subtle games with the characters' point of view, sometimes granting and sometimes witholding sympathy, and a disjunctive editing keeps us guessing. The predictable, linear ending is perhaps a little disappointing after the intricate audience mindgames that preceded it, but this was always going to be a difficult one to wrap. Pasquale Catalano's electronic mood music ably caresses the noir atmosphere, and there's also an inventive use of pop and roack tracks - particularly a Cure song which plays a key part in the narrative» (L. Marshall, “Screen Daily.com”, 24.9.2009).
«A far cry from his work as a pro shutterbug for glossy mags such as Vanity Fair and Marie Claire, and his musicvideos for Keane, the Spice Girls and others, Capotondi's first film has a measured pace, a deceptively simple and unglamorous look, and an admirably complex (though never complicated) narrative. […] Narrative glue is provided by Capotondi's mastery of tone and Rappoport's magnetic perf. Her sheer screen presence and ambiguous take on Sonia will, much like in her star-making turn in The Unknown Woman, have auds sticking with her no matter what. […] Shot in widescreen by d.p. Tat Radcliffe, the film has a deliberate, slightly rough look that imparts an air of apparent normality that works well. Production designer Totoi Santoro's work on Sonia's barely furnished working-class digs speaks volumes about her life. Sound work is also strong, and other tech credits are fine» (B. van Hoeij, www.variety.com, 11.9.2009).
«Se nota que Capotondi, que vive en Barcelona desde el 2004, recupera el gusto por la sorpresa inesperada de Los otros o El orfanato. La doppía ora (La hora doble) da muchas vueltas, ciertamente, incluida alguna de difícil aceptación. Pero es un filme efectivo y nada previsible» (S. Llopart, “Vanguardia”, 11.9.2009).
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