Altri titoli: Il nostro uomo
Regia Marco Campogiani
Soggetto Marco Campogiani
Sceneggiatura Marco Campogiani
Fotografia Maurizio Calvesi
Musica originale Theo Teardo
Suono Piero Parisi
Montaggio Mauro Menicocci
Effetti speciali Renato Agostini
Scenografia Marta Maffucci
Arredamento Francesca Arcangeli
Costumi Stefania Svizzeretto, Paola Ronco
Trucco Gianfranco Mecacci
Aiuto regia Angelo Vicari
Interpreti Paolo Briguglia (Eugenio Fusco), Ennio Fantastichini (Duccio Monti), Ahmed Hafiene (Khalid Amrazel), Camilla Filippi (Serena), Anis Gharbi (Youssef), Gianni Vattimo (l’avvocato di Khalid), Younis Tawfik (il professore arabo), Francesco Rossini (Serra), Graziano Piazza (il Questore), Samya Abbary (Sofia), Jilali Filali (Ahmed), Simone Repetto (Bruni), Germano Giordanengo (Diego), Antonio Rampino (Rodrigo), Massimo Rigo (Vittorini)
Casting Elisabetta Giacomelli, Gianfranco Cazzola, Stefano Prando
Direttore di produzione Giorgio Turletti
Ispettore di produzione Andrea Tavani
Produzione Andrea Costantini, Giorgio Magliulo, Tommaso Calevi per Toma Cinematografica, Rai Cinema
Distribuzione Istituto Luce
Note Opera prima; collaborazione alla sceneggiatura: Giovanni De Feo; aiuo operatore: Alias Gallione; microfonista: Stefano Varini; assistente al montaggio: Antonio Dominici; assistente scenografo: Silvia Guglielmetto; assistente ai costumi: Ottavia Valvo; aiuto costumista: Silvia Chiauzzi; sarta: Augusta Tibaldeschi; parrucchiere: Bruno Ruas; secondo aiuto regista: Stefano Ruggeri; assistenti alla regia: Umberto Vergano, Marcella Pizzi; altri interpreti: Paola De Crescenzo (Tara), Andrea Bruschi (Console), Hedy Krissane (Commissario Tunisi), Guido Ruffa (Umberto), El Farji Hicham (Said), Nezha Boujaarane (Moglie Ahmed), Joseph Scicluna (Farouk); segretaria di edizione: Fernanda Selvaggi; segretari di produzione: Alfredo Ferrentino, Francesca Barbagallo; coordinatrice di produzione: Irma Misantoni; location manager: Alessandra Curti; collaborazione alla produzione: Planet Image; regia e produzione del backstage: Luca Grivet Brancot con Guacamolefilm.
Film realizzato con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della di Film Commission Torino Piemonte.
Locations: Torino (via Matteo Pescatore, via Giulia di Barolo, piazza Vittorio Veneto, strada del Francese, zona Falchera, piazza Palazzo di Città), Tunisia.
Sinossi
Due poliziotti - Eugenio Fusco, giovane e idealista, e Duccio Monti, cinico e ricco d’esperienza - sono incaricati di pedinare prima e di scortare dopo, Khalid, un arabo in attesa di giudizio in quanto sospettato di appoggiare cellule di terroristi. Tra i tre personaggi si instaura uno stretto rapporto di comprensione e amicizia, finché l’arabo viene espulso dall’Italia e torna a vivere a Tunisi, ove continua ad essere sorvegliato dalla polizia locale. Ma il suo rapporto con il giovane Eugenio resiste alla lontananza…
Dichiarazioni
«Voglio raccontare di una possibile amicizia tra guardie e ladri, tra sorvegliati e sorveglianti. È una commedia amara, una storia di sentimenti agrodolci, cerco la risata strozzata. Certo, ho preso spunto da alcuni fatti di cronaca. Ma punto ad altro. Penso a un genere di film come Il federale di Luciano Salce. Ma anche a Il sorpasso e Una vita difficile di Dino Risi. Non ho manie di grandezza però pensare a quei lavori mi indica la strada da seguire» (M. Campogiani, “La Stampa”, 21.1.2009).
«Il mio approccio alla regia è stato fondamentalmente quello dello sceneggiatore. Scrivere una sceneggiatura significa dirigere un film immaginario: visualizzare, in dettaglio, nel teatro della propria mente, e tenere insieme le parti con una certa coerenza. La sceneggiatura è la prefigurazione di una regia. Sul set, cerco di dar corpo all’immaginazione – nel decidere i punti macchina, il taglio delle inquadrature - e di ritrovarla e saperla riconoscere - nei toni, nei gesti degli attori, nei luoghi. Nella concitazione del set ho cercato di proteggere il copione scritto insieme a Giovanni De Feo. Ho tentato di preservare, di non spezzare un tessuto, di controllare gli incidenti e gli imprevisti, e di aggiungere, conoscendo le parti, ciò che si poteva trovare per strada, nel concreto delle location, confrontandosi con la sensibilità degli attori, con il direttore della fotografia e la troupe. Sin dall’inizio abbiamo deciso di differenziare - nello stile di fotografia, nell’uso di pellicole diverse, nel tipo di inquadrature - i due luoghi del film, Torino e Tunisi, e di fare questo in rapporto al protagonista Eugenio. A Torino c’è un viandante che conduce le sue due ombre a percorrere luoghi spesso decentrati, marginali, anonimi, talvolta sconosciuti. Siamo su di loro, sul loro rapporto, e quando allarghiamo ci appaiono spesso come sospesi in un ambiente, separati. Tunisi è invece ripresa nella sua “pienezza”, in un ambiente che avvolge Khalid, che affascina Eugenio, ma nel quale finisce per perdersi ed estranearsi. I miei obiettivi, come regista, sono stati fondamentalmente due: creare Personaggi che - per le loro contraddizioni, i loro dubbi e desideri, le loro decisioni, il loro mettersi in discussione, per la loro stessa opacità, per il rapporto che costruiscono tra loro - lo spettatore possa “portarsi a casa”, come un incontro con qualcosa di “vivo”, a più dimensioni, all’uscita dalla sala; non annoiare nel raccontare una storia che - anche con le armi dell’ironia, dello spiazzamento, di una certa “leggerezza” - conduca però a una riflessione, a una conclusione amara, a delle domande piuttosto che a risposte, a dei dubbi da portarsi a casa, piuttosto che a una riconciliazione, a un “tutto alla fine si ricompone”. C’è - credo - una lacerazione, una rinnovata “opacità” del mondo, una difficoltà a conoscere e confrontarsi, una diffidenza crescente verso l’estraneo. E credo che abbia un senso rappresentarla, senza ricomporre lo strappo nel racconto, per quanto ciò possa apparire, alla fine, gradevole e rassicurante. Queste erano le intenzioni. So che tutti quelli che hanno fatto il film - dall’attrezzista che arrivava per primo sul set all’alba ai protagonisti che riempiono lo schermo – hanno lavorato con passione e convinzione. E spero che queste cose passino, un po’, attraverso i fotogrammi» (M. Campogiani, www.stellafilm.com/public/news).
«Raro leggere copioni interessanti, e questo lo è. Il tema dominante della nostra società è la paura verso l’Altro. Il timore che possa rubarci la cultura, il lavoro, l’affettività. Tutto ciò che lavora contro il razzismo, mi trova favorevole. Non dimentichiamo che noi siamo un popolo di emigranti, abbiamo “infestato” il mondo. È spaventoso da parte nostra non accettare l’Altro. Tanto io sono per l’accettazione e la conoscenza, tanto il mio personaggio è chiuso, cinico, pieno di amarezze. [...] Condivido lo spirito di Rossellini quando diceva che cinema e tv devono educare il mondo, non rincoglionirlo» (E. Fantastichini, “La Stampa”, 21.1.2009).
«”Il cinema italiano sta tentando il sogno della convivenza, molto più che voler imporre il tema dell'integrazione”, ha detto ieri all'incontro di presentazione al Circolo dei Lettori Ahmed Hafiene, l'attore tunisino nel ruolo di Khalid, il personaggio che fa partire la storia. Una volta liberato, i due agenti - Duccio interpretato da Ennio Fantastichini, che pensa la decisione giudiziaria sia stata un errore; e Eugenio, ovvero Paolo Briguglia, il collega più giovane invece convinto del clima di sospetto dovuto all'll settembre - si mettono sulle sue tracce. “In fondo siamo tre persone in fuga, ciascuna dalla sua storia personale” racconta Fantastichini. “Differentemente da quanto pensa la politica italiana, credo che tutte le etnie vadano aiutate. È una storia che ci riguarda geneticamente, e la conclusione del film in fondo non dà risposte ai dubbi da cui parte”. Lascia un finale aperto Campogiani, “perché non vuole essere un racconto morale, e resta il dubbio se davvero lo straniero abbia avuto dei contatti con una cellula terrorista. Non si sa chi dei due poliziotti avesse visto giusto”, racconta il regista, che ha girato per lo più a Torino e una parte in Tunisia. “Ho trascorso due mesi a Torino, uno per questo film e uno per gli interni de Il mostro di Firenze” dice Fantastichini, e non fa mistero di quanto si sia sentito a casa: “Mi trasferirei immediatamente: qui si sente un clima di gentilezza, Roma invece è piena di persone arrabbiate. Architettonicamente Torino è splendida» (T. Platzer, “La Stampa”, 18.11.2009).
«Il film dell' esordiente Campogiani cerca il punto di equilibrio che consenta di trattare secondo modalità semplici e comunicative la tematica calda dell' immigrazione, dell'incontro con le culture di radice musulmana, dell'ossessione che le identifica con i pericoli terroristici. Semplifica molto, ma con un esito rispettabile. Un tunisino già integrato a Torino e ingiustamente coinvolto in sospetti di collateralità stringe un intenso legame con due poliziotti italiani [...]. Ma ci sono ragioni purtroppo al di sopra delle loro buone volontà: l' integrazione dovrà ancora attendere e molto» (P. D’Agostini, “la Repubblica”, 28.11.2009).
«Minchia signor tenente, cantava Giorgio Faletti. Con La cosa giusta, regia di Marco Campogiani, il buddy movie all'italiana si arricchisce di una placida coppia di poliziotti che ricorda le retoriche iconografie del calendario dei carabinieri. L'anziano e scafato Duccio, il Danny Glover della situazione, è Ennio Fantastichini immortalato nella storica espressione stravolta alla Fantaschini; Eugenio, l'Arma letale del caso, è il giovane Paolo Briguglia, ritratto nella solita espressione con musetto aggrottato alla Briguglia. Duccio smadonna, s'incazzicchia, ma è sempre tanto comprensivo; Eugenio studente studioso, legge Repubblica e tenta di finire l'università. [...] La cosa giusta è la sagra del luogo comune sull'immigrato e del politicamente corretto dei caratteri in scena. Non c'è un'increspatura, una complicazione, una devianza (se non il bureau della polizia, unico depositario di malvagità) tra le pieghe del racconto che riecheggia lontanamente il caso Abu Omar: l'immigrato dà solo consigli di buon senso, Duccio fa gaffe su gaffe, Eugenio getta continuamente acqua sul fuoco. Se non fosse che ad un certo punto sbuca perfino una pistola, sembrerebbe una innocua e anonima commedia sulla (fallita) integrazione razziale. Invece è un film italiano con la solita piatta linearità concettuale, timoroso e recalcitrante ad uscire dagli schemi di vendita dei grandi circuiti commerciali: una bella panoramica aerea sulla mèta esotica [...] che si visita, una bella musichetta conciliante (Duccio accetta l'invito a cena di Khalid e signora, sorride e parte la sinfonia di un irriconoscibile Theo Teardo), un ritmo da stira e ammira per casalinghe (un'inquadratura la vedo, una no perché do il colpetto col ferro) e un finale fintamente rabbuiato, giusto per dire che i buoni lo prendono sempre in quel posto. Ma davvero la drammaturgia in Italia è a simili livelli? Speranzosi, come sempre, attendiamo smentite» (D. Turrini, “Liberazione”, 27.11.2009).
«Due poliziotti diversissimi. [...] In mezzo Khalid (il bravo attore tunisino che, dopo La giusta distanza di Mazzacurati, è ingabbiato in questi ruoli) uscito dal carcere e in attesa dell'appello per aver ospitato dei terroristi. Il regista, autore anche della sceneggiatura, naviga tra due film, con i luoghi comuni dei due poliziotti che ai poli estremi si attraggono e con l'attuale storia dell'arabo a cui non riesce a infondere la giusta dose di civile indignazione» (P. Armocida, “Il Giornale, 27.11.2009).
«Nel film [...] La cosa giusta, primo lungometraggio del quarantenne Marco Campogiani, si rispecchiano la difficoltà di interpretare la confusa realtà contemporanea e le incertezze dell’etica presente. [...] Fra Torino e Tunisi, il film è ben pensato e ben recitato, interessante» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 17.11.2009).
Scheda a cura di Franco Prono
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