«Il senso del video non è da ravvisare nel contenuto, bensì nella scelta, nel taglio e nella
sequenza delle immagini, quasi da zapping casuale e da blob improvvisato (con sovrapposizione di musica rap italiana oppositiva sull’audio). Con l’enfasi surreale per la prima guerra in diretta, le varie reti trasmettono immagini e parole che si ripetono e si inseguono in una sorta di girandola commerciale (come quando su canali diversi a distanza di qualche secondo viene trasmessa la stessa pubblicità). Nello stesso tempo, lo spettatore si sposta da una rete all’altra, creando il proprio montaggio interiore e svuotandone il contenuto ed il contesto. Così, il montaggio del video diventa anche un non montaggio e lo spettatore stesso il regista. È un video legato ai linguaggi di comunicazione dell’architettura e alla cultura della semiotica (dal post-moderno, al pensiero debole e agli scritti di Eco, allora imperversanti nel mondo accademico), che poco prima aveva fatto il suo ingresso anche nell’insegnamento della disciplina. Già allora il mondo delle “in-certezze” stava per essere sostituito dal mondo delle immagini e anche la comunicazione dell’architettura (e l’introduzione della progettazione con il Cad) non solo ne stavano modificando la visione collettiva, ma ne influenzavano anche l’ideazione e la realizzazione, cioè il pensiero ed il prodotto. In seguito, la potenza suggestiva dei media (dai budget spesi per le azioni immateriali di accompagnamento, alle archistar in TV, ai rendering, alle installazioni, agli happening eccetera) avrebbe determinato un impoverimento del vero mestiere di architetto» (P. M. Giraudo, dichiarazione inedita).