Regista Lodovico Gasparini
Soggetto dal libro “Il campione e il bandito” di Marco Ventura
Sceneggiatura Andrea Purgatori, Debora Alessi
Suono Mirko Guerra
Costumi Valter Azzini
Trucco Martina Cossu
Casting Rossella Chiovetta
Ispettore di produzione Alberto Carmignani, Arianna Trono
Scenografia Lino Germano
Direttore di produzione Walter Mancini
Interpreti Beppe Fiorello (Sante Pollastri), Simone Gandolfo (Costante Girardengo), Raffaella Rea (Mela), Sarah Maestri (Agostina), Giuseppe Lo Console (Maciste), Anna Ferruzzo (madre di Sante), Alfredo Pea (padre di Sante), Gaetano Aronica (padre di Costante), Ettore D'Alessandro (Mario), Paolo Pierobon (Biagio Cavanna), Antonio Della Mura (Sante bambino), Leonardo Caneva (Costante bambino), Duccio Camerini (merciaio), Vincenzo Peluso (Peotta), Isabella Tabarini (Concetta)
Produzione Mario Rossini per Red Film, Monica Paolini per Raifiction
Note Miniserie televisiva in due puntate di 100’ l’una trasmessa da RaiUno il 4 e il 5 ottobre in primetime alle ore 21,10. Audience della prima puntata: 7.081.000 telespettatori e uno share del 25.69; audience della seconda puntata: 7.042.000 telespettatori e uno share del 25,17.
Assistente al trucco: Katia Lentini; parrucchiera: Francesco Pegoretti, Francesca Latella; altri interpreti: Daniela De Pellegrin (madre di Costante), Patrizia Spadaro (madre di Agostina), Loredana Fichera (madre di Maciste), Pierre Lucat (Pellissier), Fabien Lucciarini, Gianni Bissaca, Rodolf Toneatto, Augusto Fornari, Daniele Monterosi, Luciano Miele, Valerio Colangelo, Dario Costa, Emanuele Arrigazzi, Federico Grassi; segretaria di edizione: Maria Bisognin; location manager: Emanuela Minoli; organizzatore generale: Gianni Mariani.
Miniserie televisiva realizzata con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
Locations: Museo ferroviario di Savigliano (CN), Carcere di Saluzzo (CN), Borgo Carnalese di Villastellone (TO), Carmagnola (TO), Cumiana (TO), Torino.
Sinossi
L’italia degli anni Venti è il paese della bicicletta, metafora di un mondo nuovo che si affranca dalla miseria. Costante Girardengo e Sante Pollastri, due ragazzi di Novi Ligure come tanti, vivono le loro giornate puntando sui pedali, faticando e sbuffando per far girare le due rote sulle strade sterrate delle campagne nebbiose del Nord. Girardengo continua a lottare in sella alla sua bici, pedala e vince. In pochi anni diventa per tutti il Campionissimo. Sulle due ruote, invece, Sante toglie ai ricchi per dare ai poveri e spara ai lampioni per farsi il buio alle spalle. Nel malfamato Borgo delle Lavandaie lo considerano una specie di benefattore, malgrado gli arresti, le condanne, la latitanza in Francia a Parigi, divenuta patria degli emigrati anarchici. In pochi anni diventa per tutti il Bandito Numero Uno. Percorsi totalmenti diversi. Ma un filo invisibile e misterioso li lega per sempre e li costringe a ritrovarsi a Parigi, alla vigilia della più grande gara ciclistica di tutti i tempi.
Dichiarazioni
«Oggi uno come Pollastri sarebbe considerato un’icona. I mascalzponi piacciono sempre. Come dice mio fratello Rosario, in quest’epoca se uccidi qualcuno al massimo finisci qualche sera a Porta a Porta […] la caccia a Pollastri divenne un fatto politico, Mussolini voleva che lo pigliassero perché esportava un’immagine negativa del nostro Paese. […] Il mio è un personaggio caldo, carnale, Pollastri non ha scelto di fareil criminale, è la vita che gli ha armato la mano, ed è come se accettasse la condanna con amarezza» (B. Fiorello, “La Stampa”, 6.5.2010).
«Per me i ciclisti di allora, Girardengo e anche Coppi, somigliavano agli eroi dell’antica Grecia, erano gli unici in grado di risolvere le sorti di un Paese. […] Costante andava in bici come se zappasse, con la stessa fatica. Allora si facevano tappe di 20 ore, su strade sterrate, si partiva di notte e si arrivava la notte dopo, le biciclette pesavano 10-12 chili, non due e mezzo come adesso» (S. Gandolfo, “La Stampa”, 6.5.2010).
«La produzione, realizzata interamente a Torino e dintorni con il sostegno della Film Commission Torino e Piemonte, ha avuto più di 1000 comparse e stunt e si è servita di effetti speciali e digitali, anche per ottenere un'accurata ricostruzione d'epoca, degli anni 1910/1940. Per ambientare al meglio le scene descritte sono state scelte delle location tra le più suggestive, individuando quelle che si rifacevano a degli ambienti di Parigi dell'epoca e in qualche caso abbiamo trovato dei luoghi dove non si era mai girato per i quali per la prima volta hanno dato autorizzazioni speciali espressamente per questa miniserie. La scelta scenografica è stata complicata anche perché non c'erano vaste testimonianze visive o di repertorio ma solo foto dell'epoca. La scelta del cast, tutta italiana, i costumi molto appropriati, il trucco e le parrucche che hanno impegnato moltissimo personale con faticose giornate di lavoro e di preparazione per le innumerevoli presenze tra attori e comparse ogni giorno sul set, hanno contribuito alla messa in scena di queste due puntate. Durante la lavorazione particolarmente suggestive sono state le riprese con i treni a vapore dell'epoca, messi a disposizione da Trenitalia. Le scene hanno come sfondo uno dei paesaggi più suggestivi della Toscana, la Val D'Orcia dove ancora esiste una linea non elettrificata. Sarebbe importante, a mio avviso, che una storia di questo genere possa avere un respiro internazionale, circolando nei festival e nelle rassegne cinematografiche» (M. Rossini, www.laleggendadelbanditoedelcampione.rai.it/dl/portali/site/articolo/ContentItem-14fce490-5dd9-49e9-a109-9240788d9dd7).
«Fughe, sparatorie, inseguimenti. E poi, per Sante, l'amore turbolento con la donna del destino, mentre Costante “a un certo punto mette la testa a posto perché capisce che vuole soprattutto correre”. Un film che è un po' Butch Cassidy e un po' Bonnie & Clyde, un genere che in tv si vede di rado […]. Torino […] è diventata una Parigi perfetta, tutta bistrot ed eleganti boutique. Si sente, nei film […], l'odore acre di quell'Italia depressa, quando “la gente aveva due paia di scarpe e due vestiti e andava avanti così per anni”. Si vedono i bambini con i carretti carichi di carbone, i mulini, le feste di paese. Non a caso Girardengo “mantenne sempre la sua goffaggine, anche quando era diventato ricco”. Il momento della verità arriva alla fine della storia, a Parigi, nel giorno in cui la polizia sta per mettere le mani su Pollastri e Girardengo sta per battere l'avversario francese di un'intera carriera. Per una volta ancora i due amici corrono insieme, anche se le direzioni sono diverse: “Vai Girardengo - canta De Gregori - non si vede più Sante, e dietro a quella curva è sempre pin distante...» (F. Caprara, “La Stampa”, 6.5.2010).
«Alfredo Binda, Learco Guerra, Costante Girardengo sono campioni di una società di poveri contadini, che ha bisogno di figure in cui riconoscersi, non più eroi di guerra ma eroi di pace, eroi dell' immaginario della storia quotidiana: rappresentano modelli di un doppio riconoscimento identitario. All'interno, con il nascente fascismo, all'esterno con il lacerante fenomeno dell'immigrazione. Per questo, su di loro, sono fiorite molte leggende. La storia dell'incontro fra Girardengo e il ricercato Sante Pollastri al vélodrome di Parigi è vera o falsa? Da piccolo, l'ho sentita raccontare molte volte: i due, che si conoscevano dall'infanzia, e dalla comune frequentazione con il massaggiatore Biagio Cavanna, si incontrarono nel 1927 durante una sei giorni nella capitale francese. La vicenda, già raccontata in una celebre canzone di Francesco De Gregori, è diventata una miniserie in due puntate […]. Le fiction storiche, oltre che sulla recitazione (bravo come al solito Beppe Fiorello) si fondano sui dettagli, perché solo dalla cura maniacale del dettaglio può scaturire la forza evocativa. Qui invece ci sono interi tratti ferroviari solcati da sbuffanti locomotive e non si vede una sola traversina (come si fa a ricostruire gli anni 20 senza la traversina?); i due corrono su strade asfaltate e solo quando sono in primo piano si vede la strada sporcata dal terriccio. A Novi Ligure, nelle osterie, il quartino o il mezzolitro non si chiamavano certo “caraffa” (quando senti una cosa simile, Girardengo che chiede una caraffa di vino, ti crolla tutta la magia del racconto)» (A. Grasso, “Corriere della Sera”, 8.10.2010).
«[…] Beppe Fiorello […] con Novi Ligure c'entra pochino ma è da tempo il numero uno nelle miniserie per la tv. Che restano miniserie per la tv: nel caso di Girardengo-Pollastri-La leggenda del Bandito e del Campione, gran successo su RaiUno, aveva poi il problema di una vicenda romanzata a mille nei decenni, in cui la verità s'è persa da quel dì. L'onesto lavoro di regista e autori è diventato un mezzo percorso a ostacoli più per non dire quello e non azzardare quell'altro. “E già si racconta che qualcuno ha tradito” dice con più efficacia la canzone di De Gregori, evocando e basta. Meglio la canzone, e meglio le cronache scritte e tramandate, dove leggi che il commissario che arrestò Pollastri a Parigi è quello che ha ispirato Simenon. E via evocando, e immaginando, nella Leggenda» (A. Dipollina, “il Venerdì da Repubblica”, 7.10.2010).
«La fiction, che racconta l’amicizia tra il ciclista Costante Girardengo e il bandito Sante Pollastri, si trascina con sè delle polemiche. La nipote del famoso campione, Costanza Girardengo, è preoccupata che venga infangata la figura del nonno: “Temo che si voglia tracciare una figura un po’ diversa da quello che è stato mio nonno. Nella fiction ci sono degli episodi, a quanto ho letto (e vorrei essere smentita), che non sono reali e che nello stesso tempo sono molto gravi. Non permetterò che la memoria di mio nonno venga infangata” . E ha aggiunto: “Leggendo l’intervista di Beppe Fiorello apprendo che il nonno avrebbe dato addirittura una copertura a Pollastri per espatriare in Francia: una cosa grave! In un altro articolo leggo che c’era una donna in comune fra i due. Lo stesso Marco Ventura, nel suo libro ha scritto un capitolo intitolato Il campione e il suo angelo ovvero la storia di mio nonno e mia nonna che è una storia d’altri tempi. E poi l’amicizia tra i due. Le pedalate insieme, i giochi da ragazzi non sono mai esistiti, anche perché quando mio nonno già vinceva gare importanti l’altro era ancora un bambino” . A queste polemiche ha risposto Fabrizio Del Noce: “La storia non è incentrata sul bandito in quanto tale o sulla violenza in quanto tale, è incentrata sull’amicizia di due persone che né l’una né l’altra rinnega e che contribuisce a fare di Girardengo un bel personaggio. Mi rendo conto di quanto sia difficile oggi, a distanza di tantissimi anni, parlare di queste persone, figuriamoci cosa si direbbe se facessimo una fiction su personaggi contemporanei. Pollastri un bandito era e un bandito resta nella fiction”» ( http://magazine.excite.it/il-bandito-e-il-campione-la-fiction-delle-polemiche-N53961.html).
«Il Campione in fuga dagli avversari, il Bandito in fuga dalla legge, questa fu la loro vita, la leggenda li vuole amici come fratelli, ma divisi dal destino. In realtà le cose non stavano proprio così: Costante Girardengo nacque a Novi Ligure nel 1893. Anche Sante Pollastri nacque a Novi Ligure, ma sei anni dopo, nel 1899. Quella dei due amici d’infanzia che a un certo punto prendono due strade completamente diverse è una licenza poetica, vista la differenza d’età. Pollastri è ancora adolescente quando, nel 1913, Girardengo è in sella su e giù per la Penisola per onorare il suo primo Giro d’Italia. Bisogna però precisare che, anche se non erano amici, è vero che Bandito e Campione si conoscevano: avevano un amico comune, il massaggiatore-preparatore Biagio Cavanna, e ad ogni modo erano compaesani. Ma come è cominciato tutto questo? Come si faceva, nella piccola Novi Ligure di allora, a diventare grandissimi ciclisti o pericolosi banditi? Un motivo c’era, ed era molto semplice: la fame. Miseria vera, dell’Italia del primo Novecento, di lavoro duro e mal retribuito, in fabbrica o nei campi; di famiglie numerose e di troppe bocche da sfamare. Se qualche via d’uscita c’era, era stretta e non c’era spazio per tutti. Chi poteva, ci si buttava disperatamente, ma il prezzo da pagare, in ogni caso, era duro. Si capisce di cosa stiamo parlando: qualcuno aveva l’incoscienza, il pelo sullo stomaco, o anche il coraggio di darsi alla malavita. Chi invece era così fortunato da avere fiato e forza a sufficienza, cercava di salire sul carrozzone del (relativamente) nuovo sport che appassionava gli italiani: il ciclismo» (P. Bertuccio, "Il Giornale", 3.9.2005).
«La notorietà della storia si deve certamente alla canzone del 1993 Il bandito e il campione scritta e musicata da Luigi Grechi, nome d'arte del fratello del più noto Francesco De Gregori, e portata al successo nello stesso anno dallo stesso De Gregori» (http://canali.kataweb.it/kataweb-guardaconme/2010/10/01/titolo-articolo-11/)
«È l’immaginario in quanto tale l’aspetto maggiormente preponderante in questa miniserie trasmessa da Rai Uno, probabilmente non diversamente da quanto di solito accade per la fiction italiana più generalista, emblema di quella grande scatola magica – o, forse, più un Vaso di Pandora senza fondo – che sa avverare i desideri, uno schermo con gli anni divenuto sempre più sottile e, insieme, sempre più capiente. Perché un prodotto semplicemente medio come La leggenda del bandito e del campione diviene l’emblema di un intero modo di fare televisione, alquanto vecchio e molto caro alle nostre latitudini, la cui unica volontà è quella di perseverare sulla strada di preservare solamente se stessa e la visione che del mondo vuol portare alla ribalta. Cosa che, in questo caso particolare, è principalmente dovuto alla figura di Giuseppe Fiorello, spesso ormai - almeno per quanto riguarda il prodotto di finzione televisiva – più un personaggio in quanto tale (ossia da considerarsi al di là delle sue capacità recitative), che si avvicina tanto a una moderna forma di divismo che non presenta alcuna divinità da adorare, poiché è caratterizzato da un disegno realizzato seguendo il contorno di un minimalistico basso profilo. Eppure quel personaggio, in quanto mera figura, è più forte di tutto e di tutti, divenendo egli stesso una cifra stilistica, capace come è di illuminare ma, allo stesso tempo, di oscurare tutto quello che lo circonda, grazie all’ombra che proietta. Un’icona che, se utilizzata in maniera superficiale, può diventare un mezzo per l’autocelebrazione della televisione generalista, condotta fino al perdurare nel tempo di una situazione e di una condizione uguali solamente a loro stesse, fondamento di quella che rimane come l’ultimo esempio, nella nostra penisola, di una realtà dell’audiovisivo di stampo ancora realmente industriale» (M. Di Cesare, www.close-up.it/spip.php?article6217).
Scheda a cura di Franco Prono
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