Nulla Osta n. 31.937 del 11.8.1943; 2.312 metri.
Film realizzato negli stabilimenti FERT di Torino.
«Questo film realizzato a Torino è veramente un sottoprodotto cinematografico: povero d’intreccio, di sceneggiatura, di tecnica [...] Piuttosto che ostinarsi a produrre coserelle scialbe come questa, sarebbe preferibile quel dignitoso silenzio in cui il carattere piemontese [...] sa rifugiarsi» (L.O., “Il Messaggero”, 11.12.1943).
«[...] nulla da meravigliarsi se questo film pensato, progettato e realizzato da persone serie ha l’aria di essere un elogio al furto [...] una regia piatta e incolore ci rivela tutte le pecche dell’inesperienza e non solleva le sorti del film. Gli attori, assai poco convinti delle loro parti, hanno snocciolato tutto d’un fiato un dialogo infiorato perfino di aforismi del tipo: “Una cordata di montagna è come il matrimonio, ci si lega per tutta la vita”. [...] Elisabetta Simor ha qualche momento felice: Macbeth ha ucciso il sonno – dice il poeta – ma questo film lo fa resuscitare» (J. Rizza, “Il Giornale d’Italia”, 13.12.1943).
«Come ha spiegato Lorenzo Ventavoli con un saggio nel volume Officina torinese edito da Lindau, la comunità ungherese ha avuto una grande importanza nel mondo del cinema torinese tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta. Erano come noto anni di autarchia, quando i prodotti americani non arrivavano sui nostri schermi a vantaggio dei film prodotti nei paesi alleati, soprattutto la Germania di Hitler. Ma anche l’Ungheria esercitava un grande fascino, intesa come terra immaginaria di grande lusso ed eleganza mitteleuropea dove era possibile ambientare commedie sofisticate che dovevano cancellare il ricordo di quelle hollywoodiane. Attori e registi ungheresi a Torino erano numerosi, anche se qualche volta si cercava di mimetizzare le loro origini. È il caso della coppia composta da Erzsi Simon e Kasroly Kovacs, marito e moglie nella vita e spesso insieme sullo schermo. Nei titoli di testa di Due cuori, prodotto dalla Dora Film di Domenico Valinotti e girato negli stabilimenti della Fert di corso Lombardia, i due sono presentati come Elisabetta Simon e Carlo Covacs, simulando quindi un’italianità che era loro estranea» (S. Della Casa, “La Stampa – TorinoSette”, 5.3.2010).