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Lungometraggi |
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È più facile per un cammello...
Italia/Francia, 2004, 35mm, 110', Colore
Altri titoli: Il est plus facile pour un chameau…, It's Easier for a Camel...
Regia Valeria Bruni Tedeschi
Soggetto Noemie Lvovsky, Agnes De Sacy, Valeria Bruni Tedeschi
Sceneggiatura Noemie Lvovsky, Agnes De Sacy,, Valeria Bruni Tedeschi
Fotografia Jeanne Lapoirie
Suono François Waledisch
Montaggio Anne Weil
Scenografia Emmanuelle Duplay
Costumi Claire Fraisse
Trucco Maria Johansson
Aiuto regia Agnès Astrup
Interpreti Valeria Bruni Tedeschi (Federica), Chiara Mastroianni (Bianca, sua sorella), Jean-Hugues Anglade (Pierre), Denis Podalydès (Philippe), Roberto Herlitzka (padre), Marysa Borini (madre), Lambert Wilson (Aurelio, fratello di Federica), Nicolas Briancon (regista), Karine Silla (Céline), Chloé Mons (Amélie), Emmanuelle Devos (moglie di Philippe), Pascal Bongard (prete), Yvan Attal (uomo nel parco), Alma Samel (Federica bambina), Uta Samel (Bianca bambina)
Casting Yann Coridian
Produttore esecutivo Sylvain Monod
Produzione Paulo Branco, Mimmo Calopresti, Marizio Antonimi per Interlinea, Gémini Films
Distribuzione Mikado
Note Titoli di lavorazione: Mois aussi je suis comuniste, Le paradis sur terre, Au royaume des cieux; suono Dolby Digital; assistente al montaggio: Barbara Bascou, Thomas Coulombeix, Christine Maffre, Anne-Cécile Vergnaud; coreografa: Marie-Agnès Gillot; parrucchiera: Marie-Thérèse Lebeau; altri interpreti: Victor Nebbiolo (Aurelio bambino), Laurent Grévill (medico), Eva Ionesco (maschera), Helena Sadowska (insegnante di danza), Helene de Saint-Père (donna al cinema), Pierre-Olivier De Mattei (uomo al cinema), Gérard Buffart (portinaio), Souzan Chirazi (avvocato), Roland Romanelli, Maglie Woch; segretaria di produzione: Caroline Steff.
Premi: Prix Louis Delluc 2003 per il Miglior Film; premio come Migliore Attrice e come Migliore Regista Esordiente al Tribeca Film Festival 2003; Premio FIPRESCI all’Ankara Flying Broom International Women's Film Festival 2004,
Film realizzato con il csostegno di Film Commission Torino Piemonte.
Sinossi
Federica è ricca e insoddisfatta: la sua ricchezza le pesa e non riesce a costruire un rapporto intenso con nessuno (il suo fidanzato Pierre vorrebbe creare con lei una famiglia, l’ex amante Philippe ricompare all’improvviso). La famiglia è fonte di continui litigi; il padre, che ha con la protagonista un rapporto particolarmente profondo, muore. Federica trova conforto nell’immaginazione.
Dichiarazioni
«La mia vita è cominciata in questa città. La mia infanzia è popolata di immagini, di suoni di odori, di gente di Torino. Ho scritto le prime scene del mio film sette anni fa. Federica, il personaggio principale, era in crisi, in cerca di qualcosa, come paralizzata nella sua vita di donna. Ma un po’ antipatica. Quando ho fatto leggere il mio lavoro a Noémie Lvovsky, amica e regista, lei mi ha detto: “Bello, ma perché non vai a guardare un po’ nella sua infanzia, nell’infanzia del personaggio?” Ed ecco che tante altre scene sono nate, come da sole, come se aspettassero solo di avere il diritto di esistere, di emergere. Tutte a Torino. Scene in esterno. A Piazza Vittorio, quando a Carnevale arrivava il Luna Park, o per le strade della Crocetta, nella chiesa, in un altro quartiere della città, eccetera… E scene in interni, giochi, dialoghi tra bambini. Ma sempre a Torino, con la città lì fuori. E il personaggio di Federica, come per incanto, è diventato più interessante e più commovente, come quando scopri una parte dell’infanzia di una persona, e la persona ti diventa improvvisamente familiare» (V. Bruni Tedeschi, “TorinoSette”, supplemento de “La Stampa”, novembre 2003).
Dopo alcune buone interpretazioni in film italiani e francesi, Valeria Bruni Tedeschi esordisce come regista con questo film che ha avuto un percorso finanziario molto accidentato, ma ha ottenuto numerosi riconoscimenti in festival internazionali.
L’autrice racconta una vicenda che è profondamente autobiografia “in senso emozionale”, in quanto dolori, affetti, incertezze, delusioni, che appartengono a lei e alle persone che le sono vicine vengono vissuti dalla protagonista Federica (interpretata dalla stessa Valeria Bruni Tedeschi) e dai personaggi che compongono la sua famiglia: il padre (moribondo in ospedale), la madre (interpretata dalla vera madre di Valeria, la pianista Marysa Borini), un fratello e una sorella.
Alberto Bruni Tedeschi, padre di Valeria, scomparso una decina d’anni fa, era un importante industriale piemontese, collezionista d’arte, musicista, a lungo Sovrintendente del Teatro Regio di Torino; durante gli “anni di piombo” si trasferì con la famiglia a Parigi per non rischiare rapimenti e attentati. Nel film assistiamo agli ultimi giorni di vita del padre della protagonista, in un ospedale della capitale francese, e alle diverse reazioni che ognuno dei familiari ha di fronte a questo tragico evento.
Seguiamo le peregrinazioni di Federica tra Parigi e Torino, tra il presente ed i ricordi del passato, scoprendo i suoi complicati rapporti affettivi, le peripezie sentimentali, le crisi, le angosce, la ricerca della fede. Ella sente pesare su di sé «il rimorso di essere ricchi in un mondo di miseria e infelicità; l‘esperienza dell’esilio, sia pur di gente altolocata costretta a lasciare l’Italia per paura dei rapimenti nei primi anni ‘70; e una nostalgia del passato espressa attraverso la rievocazione di ricordi infantili che la regista ha voluto fossero girati nella natia Torino» (A. Levantesi, “La Stampa”, 19.6.2004). «La singolarità del film della Bruni Tedeschi è di essere uno dei pochi film degli ultimi tempi a parlare seriamente di classi sociali. Solo che non lo fa, come sarebbe logico pensare, parlando dei poveri, bensì dei ricchi» (E. Morreale, “Cineforum”, n. 437, 2004).
È più facile per un cammello… mostra la paura di diventare adulti e di portare a compimento la formazione della propria personalità, mostra il modo in cui la fragilità umana viene messa a tacere mediante strategie convulse come lo shopping selvaggio alternato alla confessione in chiesa. Questo esempio di «cinema-teatro elegantemente ed aristocraticamente borghese» costituisce una «riflessione morale ed etica sull'uso virtuoso del denaro, non cerca l'alibi dell'agiatezza: l'autrice nella personale reinterpretazione, senza reticenze, di una one woman show si concede, senza sospetti, nella prevedibile sovrapposizione tra realismo ed artificio, verità e menzogna, costruendo una via originale per un viaggio nel peccato» (D. Barone, “Vivilcinema”, n. 111, 2004).
Il film soffre della quantità eccessiva di temi, motivi, suggestioni che la regista esordiente mette in scena, ma non si può non apprezzare la sottile ironia che domina tutta l’opera e alcuni suggestivi momenti onirici e surreali che dimostrano «la compatibilità fra la commedia caustica e la fantasticheria malinconica» (R. Nepoti, “la Repubblica”, 19.6.2004).
Con molta intelligenza l’autrice centra tutta la messinscena sul registro dell’ironia, «infierisce senza pietà su personaggi tutti mediocri. E soprattutto, nega spietatamente ogni forma di “presa di coscienza” ai suoi personaggi, il che implica la negazione di un processo narrativo lineare e di facile identificazione per lo spettatore. […] L’operazione era rischiosissima forse soprattutto per il proprio narcisismo. Ma invece le parti migliori del film partono proprio da lì, da una esasperazione del narcisismo in direzione della crudeltà. […] I momenti migliori sono i confronti familiari, con l’atroce personaggio della madre e la figura della sorella, tracciata con rara perfidia: una frustrata isterica e in fondo conformista, con assurde velleità artistiche […]. Particolarmente feroce poi il ritratto del fratello, idiota senza appello, senza nemmeno il conforto della nevrosi» (E. Morreale, Op. cit.).
La figura del padre pare tanto centrale all’interno della famiglia quanto passiva, semplice oggetto dell’amore della figlia sul suo letto di morte; la protagonista infine non consente allo spettatore alcuna possibilità di identificarsi con lei in quanto svela non solo inquietudini, insoddisfazioni e nevrosi, ma risvolti meschini, egoistici, antipatici. In tal modo lo spettatore stesso viene stimolato a mettersi in discussione, a confrontarsi con l’ironica tragedia a cui ha assistito.
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