|
Lungometraggi |
|
Hanno cambiato faccia
Italia, 1971, 35mm, 97', Colore
Altri titoli: They Have Changed Their Face, They've Changed Faces
Regia Corrado Farina
Soggetto Corrado Farina
Sceneggiatura Giulio Berruti, Corrado Farina
Fotografia Aiace Parolin
Musica originale Amedeo Tommasi
Montaggio Giulio Berruti
Interpreti Giuliano Disperati (Alberto Valle), Adolfo Celi (Giovanni Nosferatu), Geraldine Hooper (Corinna), Francesca Modigliani (Laura), Rosalba Bongiovanni, Pio Buscaglione, Salvatore Cantagalli
Produzione Filmsettanta
Note Girato in Eastmancolor, Panoramico; vietato ai minori di 18 anni.
Premio Pardo d’Oro al Festival di Locarno 1971.
Sinossi
Un giovane impiegato, Alberto Valle, viene invitato nella villa del ricco ingegner Nosferatu che gli offre un importante ruolo dirigenziale alle sue dipendenze. Una ragazza hippy, Laura, cerca inutilmente di trattenere l’ambizioso yuppie, il quale scopre che il magnate, come un moderno vampiro, con le armi del capitalismo, del consumismo e della tecnologia, rende schiavi gli esseri umani.
Dichiarazioni
«Hanno cambiato faccia, il mio primo lungometraggio […]. Se fu girato a Torino e dintorni, ciò fu dovuto in parte al fatto che si trattava di una versione moderna della storia di Dracula, e che quindi mi servivano paesaggi montani e nebbiosi e le montagne della Val di Susa erano quanto di più vicino ai Carpazi ci fosse a portata di mano; ma molto di più al fatto che i soldi a disposizione erano ridicolmente pochi e a Torino giocavo in casa, avendo la possibilità di sfruttare amici e case di amici, senza guardare troppo per il stile in quanto a verosimiglianza e rigore. Un esempio fra i tanti: nessuno scenografo, per spericolato che fosse, avrebbe mai pensato di abbinare, per la villa dell’ingegner Nosferatu, il parco e gli esterni di una villa settecentesca in quel di Chieri e gli interni modernissimi di una villa in collina costruita pochi anni prima dall’architetto Zanuso: cosa che probabilmente lasciò perplessi alcuni spettatori, ma ancor prima di loro il protagonista del film che a un certo punto dice pressappoco: “Che strano… ambienti così moderni in una villa così antica…”, tanto per permettere alla segretaria dell’ingegnere vampiro di ribattere: “Noi non facciamo nessuna differenza fra presente e passato…” e dare un minimo di giustificazione logica a una scelta dettata esclusivamente da ragioni produttive assai terraterra» (C. Farina, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono, a cura, Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001)..
Autore di numerosi film pubblicitari, documentari e programmi culturali televisivi, Corrado Farina nella sua opera d’esordio richiama esplicitamente un archetipo cinematografico, quello del vampiro, senza peraltro voler fare un film di genere. L’idea del regista è che i vampiri esistono ancora, nella società neocapitalistica, travestiti da ricchi uomini d’affari e potenti finanzieri, e che succhiano da chi cade in loro potere, anziché il sangue come in passato, gli impulsi vitali, la tensione all’autonomia e alla libertà, il piacere dell’immaginazione. «Il mostro di Farina non solo ha cambiato faccia, ha perduto i lunghi denti atti a mordere le vene jugulari, ed ha smesso il classico mantello, ma si è anche perfettamente sistemato in una villa piemontese di nobile e settecentesco aspetto esterno e di modernissima struttura interna, piena com’è di macchine sapienti e di cervelli elettronici: ordigni infernali, però, che servono al moderno Nosferatu – tra l’altro immortale – per consolidare su tutti quel terribile, assolutistico potere nel quale egli si identifica» (A. Valdata, “La Stampa”, 12.5.1971).
L’idea dello sfruttatore che succhia il sangue come un vampiro non è nuova: già scrisse «con trasparente ironia Voltaire in un proprio racconto rivolto al fenomeno del "vampirismo", che al suo tempo nelle due città di Londra e Parigi v\'erano sì speculatori e strozzini e affaristi che succhiavano il sangue del popolo, e in pieno giorno, ma non erano certo morti. benché indubbiamente "corrotti". "Le vere sanguisughe non abitavano nei cimiteri, ma in palazzi assai confortevoli"» (P. Zanotto, “Rivista del Cinematografo”, giugno 1971). Ma nel finale emerge una chiave di lettura attualissima: il film reca il suggello di una frase presa da L’uomo a una dimensione di Herbert Marcuse: «il terrore di oggi si chiama tecnologia». Così tutta la storia “vampiresca” pare essere, in qualche modo, una messa in scena fantastica che vuole dimostrare la correttezza di tale affermazione.
In piena bufera sessantottina, l’impeto ideologico che spinge il regista a mettere in scena in modo fantastico le tesi del filosofo marxista non rende peraltro il film una fredda dimostrazione intellettualistica, soprattutto grazie a una sottile ironia che non lesina note piacevolmente grottesche (come le utilitarie Fiat che, come lupi, fanno la guardia all’esterno della villa di Nosferatu vagando incessantemente nel parco). Nuoce all’efficacia spettacolare del film, invece, la ristrettezza dei mezzi con cui esso è stato realizzato. Costituendo una cooperativa con alcuni amici e colleghi, Farina ha dovuto girare in tempi molto stretti e con grande economia tra Torino e la Valle di Susa.
Il film non si presenta dunque come la semplice ambientazione contemporanea di un vecchio mito letterario e cinematografico, bensì come la trasfigurazione fantastica di alcuni elementi avveniristici, negativi, disumanizzanti della nostra vita, del nostro lavoro, del nostro ruolo nella società. I luoghi comuni, le formule abituali dei film di genere ci sono tutti, e non mancano numerose citazioni dai “classici” di Murnau e di Dreyer, che vengono però utilizzate come chiavi di lettura di un discorso ideologicamente orientato, e non per provocare e coinvolgere emotivamente lo spettatore, ma per farlo riflettere.
Il protagonista, Alberto Valle, è un giovane ambizioso, desideroso di iniziare una carriera che gli può dare ricchezza e potere, perciò non ascolta le sollecitazioni di Laura, la ragazza hippy che cerca di strapparlo al conformismo esistenziale verso cui è avviato. Poco per volta, però, alcuni aspetti inquietanti emergono dai comportamenti dell’altero e raffinato Nosferatu, che vive con una bellissima e misteriosa segretaria in una villa settecentesca dotata di tutte le più moderne risorse tecnologiche. Così l’ospite cerca di fuggire e di uccidere il padrone di casa, ma ogni tentativo di ribellione è inutile, perché viene assorbito dal “sistema”: Laura è ormai ridotta a un automa senz’anima e Alberto si rassegna a ridursi schiavo volontario del potere.
Tutta la vicenda, insomma, è una metafora fin troppo chiara di alcuni aspetti allarmanti del mondo in cui viviamo, dove soffriamo dei profondi condizionamenti che la grande industria esercita sui suoi “sudditi” riducendoli a complici. Il vampiro, oggi, è il padrone, l’uomo potente che controlla ogni cosa e sfrutta senza pietà tutte le persone di cui azzera i valori umani, le vittime dei “morsi” si “integrano” perfettamente nell’orrore quotidiano del capitalismo.
Corrado Farina si rivela abilissimo nel riuscire a «costruire il suo film in maniera tale che nessuno degli argomenti da lui trattati prenda il sopravvento e lo spettatore sia costretto, sotto l\'apparenza del facile divertissement, ad entrare in contatto con realtà ben definite della società contemporanea: tecnologia, pubblicità e vampirismo appaiono e scompaiono nell\'alternarsi delle sequenze o addirittura all\'interno di una sola (esemplare in proposito quella ossessiva dei guardiani motorizzati che unifica tutti e tre gli aspetti) e danno all\'opera quel tono di unico magma di fantasia e di simbolo, di reale e di irreale, di racconto avvincente o di nota critica che costituisce il suo carattere peculiare e il suo pregio migliore» (Federico Carnazzi, “Cineforum”, ottobre/dicembre 1972).
L’unico elemento espressivo che può rendere accettabile e piacevole l’operazione fantastica messa in scena da Farina è l’ironia, e fortunatamente il regista dimostra di possederne a sufficienza, e di saperla utilizzare in modo raffinato. «È merito di Farina non aver volto l\'intera vicenda al simbolo e alla satira e di aver tentato invece con intelligenza il piano arduo dell\'umorismo nero, quello di certo Poe, di Ambrose Bierce, dello Stevenson della Cassa sbagliata. L\'attacco del film è ad esempio pienamente iscritto nella tradizione del film dell\'orrore, con un gradualismo di scoperte che da un iniziale universo "normale" (la Torino di oggi) procede verso la rarefazione del reale e l\'apertura di più ingressi ad un favolistico regno dell\'arcano, del misterioso, del magico. […] Nella seconda parte, e in pratica da quando Nosferatu riunisce i suoi collaboratori, la sterzata verso l\'umorismo è più netta e da luogo a sequenze assai gustose, ad esempio l\'immaginario Carosello televisivo che il vampiro fa realizzare per persuadere la gente a consumare lo LSD, acquistabile ormai nei supermercati come un qualunque prodotto alimentare. Siamo di fronte ad un film in apparenza solo divertente e spettacolare ed in verità complesso, strutturato a più piani intersecantisi, dove la colta citazione di classici della storia del cinema si alterna alla parodia televisiva, la suspense avventurosa alla riflessione sociologica, il racconto di fatti al simbolo delle idee» (E. G. Laura, “Il Veltro”, aprile 1971).
Scheda a cura di Franco Prono
|
Collegamenti
|
|
|
|
segnalibro |
|
|
|
|
|