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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Avanzi di galera
Italia, 1954, 35mm, 89', B/N

Altri titoli: Jailbirds, Repris de justice, Escoria de presidio, In den Klauen der Vergangenheit

Regia
Vittorio Cottafavi

Soggetto
Giuseppe Mangione, Siro Angeli, Giliola Falluto

Sceneggiatura
Giuseppe Mangione, Siro Angeli, Giliola Falluto

Fotografia
Arturo Gallea

Operatore
Armando Nannuzzi

Musica originale
Giovanni Fusco

Montaggio
Loris Bellero

Scenografia
Alamanno Lowley

Arredamento
Schubert

Aiuto regia
Carla Ragionieri

Interpreti
Richard Basehart (dott. Stefano Luprandi), Eddie Constantine (Franco Cesari), Walter Chiari (Giuseppe Rasi), Valentina Cortese (la moglie di Luprandi), Arnoldo Foà (il capo), Flora Lillo (la moglie di Cesari), Antonella Lualdi (l’infermiera Giovanna), Franca Gandolfi, Gil Delamare, Nico Pepe, Nino Marchetti, Gino Bramieri, Ernesto Sabbatini, Gino Bramieri, Ernesto Sabbatini, Emma Baron, Nella Bartoli

Direttore di produzione
stripslashes(Vieri Bigazzi)

Produttore esecutivo
stripslashes(Giorgio Venturini)

Produzione
Giorgio Venturini per Venturini Film

Distribuzione
Venturini

Note

Nulla Osta n. 17.198 del 1.9.1954, 2582 metri.

Adattamento: Vittorio Cottafavi; dialoghi: Mario Acerini; segretario di produzione: Arrigo Peri.

Il film ebbe uno scarso successo di pubblico, e fu poi rieditato nel 1964. 





Sinossi
Tre detenuti vengono dimessi dal carcere: sono Stefano Luprandi, che ha causato la morte di un paziente, Giuseppe Rasi, condannato ingiustamente per appropriazione indebita, e Franco Cesari, rapinatore. Una volta uscito, Stefano perde del tutto la fiducia in se stesso: nonostante la moglie lo ami, lui vuole lasciarla. Ma la donna subisce un grave incidente, egli la opera, la salva e riacquista fiducia nella vita. Giuseppe, che si è sempre dichiarato innocente, viene liberato in anticipo per buona condotta, ma trova dappertutto incomprensione. Giovanna, una giovane infermiera, ha fiducia in lui e col suo amore lo salva da una vita sbandata. I complici di Franco lo aspettano per sapere dove ha nascosto l’oro rubato, ma lui tace. Rivela ogni cosa ad Anna, un’amica, che si reca alla polizia dove scopre che il bottino è già stato da tempo ritrovato. Ma Franco non lo sa e cerca di recuperarlo; viene raggiunto contemporaneamente dai complici e da Anna. Ha luogo una sparatoria: Anna e Franco muoiono.



Dichiarazioni

«Sfortunatamente era un film a episodi e io non sapevo ancora come essere più secco, più conciso in ciò che andavo realizzando. Se avessi avuto maggiore esperienza, se avessi riflettuto di più, sarei stato più preciso a riguardo della storia, e più improvvisatore nella direzione degli attori» (V. Cottafavi, in B. Tavernier, Entretien avec Vittorio Cottafavi, “Positif”, nn. 100-101, dicembre 1968-gennaio 1969.

«Avanzi di galera è un film nato male, il titolo stesso non era invitante, attori non di grosso nome, Eddie Constantine avreb­be potuto funzionare sul mercato francese, ma la sua parte era quella del poveraccio, non dell'eroe. Il tema di fondo, tuttavia, è sempre lo stesso: Walter Chiari facendosi giustizia da sé di­venta un colpevole, ma in realtà è una vittima; Eddie Constan­tine invece non è una vittima ma viene ugualmente punito dal destino perché il luogo dove aveva nascosto il tesoro non esiste più. Il film è un po' troppo magniloquente, ma l'ho girato con piacere, come tutti del resto, se no non li faccio» (V. Cottafavi, in L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito. Giorgio Venturini alla FERT (1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).






«Suddiviso in tre episodi, basato su un soggetto di Giuseppe Mangione elaborato con Cottafavi, sul tema dell’inserimento nella società di coloro che sono usciti di prigione, il film si presta, da un lato, ad evidenziare in tre storie esemplari, emblematiche, un problema ricco di risvolti drammatici e sociali, dall’altro a sperimentare, in tre contesti drammaturgicamente differenti, un diverso impianto tecnico-formale. I risultati furono, per molti aspetti, deludenti, o almeno inferiori alle aspettative, ma l’esperimento conteneva degli spunti interessanti e rientrava in quel contesto generale di individuazione di alcuni nodi umani e sociali della vita contemporanea, da affrontare sotto il profilo morale, che continuava ad essere il centro degli interessi Cottafavi» (G. Rondolino, Vittorio Cottafavi, Bologna, Cappelli, 1980).

Nei tre episodi l’attenzione di Cottafavi è concentrata sul “dopo”, sulla fatica del reinserimento non solo nella società, ma negli stessi ambienti familiari, nei nuclei affettivi nei quali gli ex reclusi non riescono più a riconoscersi. Pur lavorando su personaggi piuttosto unidimensionali, Cottafavi sa individuare gli elementi salienti del loro dramma, confermando quella visione dell’uomo e della società che proveniva, probabilmente, dalla sua educazione cattolica; anche il tema della redenzione e della perdizione dei personaggi è da individuarsi nella ricerca religiosa dell’autore. Pur pagando l’inesperienza nel racconto breve e rinunciando ad elementi spettacolari, Cottafavi si rivela degno della grande considerazione che negli anni Sessanta/Settanta gli è stata tributata dai giovani critici dei “Cahiers du Cinéma”.

In particolare nel primo episodio il regista ci offre una delle dimostrazioni migliori di quella che Gianni Rondolino chiama «concezione fenomenologica» della messa in scena. Lo nota bene Adriano Aprà: «Sulla base di un intrigo abbastanza rozzo e di dialoghi superficiali Cottafavi è riuscito a dar forma ad una regia che restituisce agli aspetti melodrammatici della vicenda il loro valore di verità: le situazioni-limite, registrate con vigorosa lucidità, risultano come momenti in cui i personaggi si esprimono con la maggiore intensità possibile, in cui non hanno più nulla da nascondere a se stessi e agli spettatori. Per apprezzare quest’episodio è necessario fare attenzione al rapporto che corre fra la macchina da presa e i movimenti dei personaggi, cioè alla “mise en scène”. Le inquadrature sono quasi sempre dei piani-sequenza, i piani intervengono solo per motivi pratici, il montaggio è ridotto al minimo e sostituito da un uso intelligente della profondità di campo che permette di porre in rilievo, attraverso il rapporto spaziale dei corpi, i rapporti fra i personaggi. Cottafavi cerca inoltre di spogliare il più possibile l’inquadratura da ciò che è inutile ai fini espressivi, così da permettere allo spettatore di vedere solo ciò che conta, di notare solo ciò che deve essere notato: questo vale tanto per le scenografie quanto per i gesti e per i movimenti degli attori. In tal modo ciò che viene messo in rilievo sono i volti, gli sguardi, i contatti dei corpi. In questo clima ogni gesto acquista il suo peso determinante, e dunque ogni gesto sbagliato. Si tratta di un metodo di regia coraggioso e pericoloso» (A. Aprà, Avanzi di galera, in "Filmcritica", nn. 143-144, aprile 1964).

«Cottafavi […] lascia la parola ai volti, ai gesti, agli sfondi: qui un memorabile interno povero - le piastrelle intorno al lavandino, le prese del­la luce, la lampadina che pende dal soffitto, il letto da cui scen­de, col palpito della pelle bianca al limite delle calze nere, una donna che ha accolto con amore e con desiderio l'uomo uscito di prigione. […] Cottafavi sembra lavorare in simbiosi con Gallea e Fusco. L'u­no appronta una luce nitida, la solita, che negli interni sfrutta il chiaroscuro, e nell'esterno, specialmente nel finale, illumina la grande scena della corsa attraverso i ghiaioni del fiume (sia­mo sul Po a Carignano) e poi la morte di Constantine colpito e lentamente reclinato nell'acqua; va sotto il corpo, poi la testa e infine la mano che impugna l'ormai inutile rivoltella; un ramo a sinistra, un tronco biforcuto a destra inquadrano questo com­miato silenzioso (siamo in una bialera dietro Corso Lombardia). Fusco, dalla musica battente che contrappunta il clima di su­spence dello scontro in Piazza Carlo Alberto (portici), moltipli­ca gli effetti durante la fuga, sottolineando e accentuando il rit­mo con il solo suono di un tamburo e aggiungendo infine un flauto disperato. È un episodio compatto, sobrio, che ruota intorno al muso spavaldo di Constantine, alla flessuosa bellezza di Flo­ra Lillo, ad uno scarno Arnoldo Foà; che usa le case povere e gli scorci del cuore vecchio di Torino, Piazza Quattro Marzo, la ferrovia Ciriè-Lanzo, Via Garibaldi per lo sfondo urbano; che narra la storia di un duro e i suoi ultimi giorni di vita. Volti, strade, destino: come non scorgervi le stigmate del noir, ameri­cano o francese, anni '40? L'episodio di Walter Chiari è più, come dire?, all'acqua di rose. La coppia giovane svolazza tra le ritrosie della ragazza, le audacie del giovane, la musoneria dei vecchi (quando appare sulla soglia il padre si può avere un tuffo di malinconia: è Arturo Gallea in persona, che ci affida un saluto); il traditore è un giovanissi­mo smagrito Gino Bramieri. Gli sfondi sono le case popolari della dignitosa classe operaia torinese; poi Piazza Benefica, una sala corse, Corso Moncalieri, poche auto per le strade, circolano gli ultimi “tamagnôn”, le ragazze ostentano fianchi solenni, il tram arriva, con stupore, tre minuti in ritardo al capolinea... Ma Vernuccio mi rivela un segreto. C'era molta fretta e pochi soldi, si doveva consegnare il film quasi di corsa, e così, per accelerare, Cottafavi lavora con Gallea ai primi due episodi, men­tre lui con Nannuzzi completa il terzo, quello di Walter Chiari appunto. E ricorda che sul set arrivava Modugno richiamato dal caschetto bruno di Flora Gandolfi, impegnata per qualche posa.Ecco, Avanzi di galera è ancora in attesa di una riscoperta che discenda però da una visione del film e non dal sentito dire. C'è da cancellare quella sorta di condanna rimediata, ancor prima dell'uscita, da un giudizio sommario di “Cinema Nuovo” che infatti raccoglie “sotto la comoda e commerciale formula del ro­manzo d'appendice Sinfonia d'amore, Graziella, Piccola santa, Avanzi di galera, Canzone d'amore... una ventina di film capaci da soli di esprimere un perentorio giudizio”» (L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito. Giorgio Venturini alla FERT (1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
 
«Corne  testimonia Paolo Micalizzi nel suo documentato volume Là dove scende il fiume (Aska editore), il grande regista Vittorio Cottafavi ha incrociato per ben due volte nella sua carriera il fiume Po, per film girati in Piemonte. Come molti sanno, negli Anni 50 Cottafavi soggiornò a lungo a Torino perché era uno dei registi di punta della Fert, lo storico stabilimento di corso Lombardia. Uno dei suoi film più belli, Avanzi di galera, realizzato nel 1954, prevede una scena molto importante girata sui ghiaioni del Po presso Carignano. Si vede un uomo correre e poi, colpito, lentamente reclinare nell'acqua fino a scomparire mentre la macchina da presa inquadra una pistola impugnata dalla sua mano. Quell'uomo è il protagonista del film, Eddie Constantine, che poi diventerà famoso per i suoi ruoli d'azione, e che annovera nel suo curriculum anche un film con Jean-Lue Godard e uno con Wim Wenders. La storia del film racconta tre detenuti che vengono lasciati liberi: uno si riscatterà della sua colpa, un altro riuscirà grazie alla moglie a dimostrare la propria innocenza, il terzo (lo stesso Constantine) sarà vittima dei suoi complici di una volta. Da notare che il detenuto innocente è interpretato da Walter Chiari, che avrà a sua volta più tardi una brutta avventura giudiziaria» (S. Della Casa, “La Stampa-TorinoSette”, 28.1.2011).
 
«Il primo e il terzo episodio giungono a conclusioni positive. Il secondo episodio comprende scene di violenza ed una scena in casa di Anna, che dà risalto alla relazione illecita tra lei e Franco. Queste sequenze ed alcune scene relative ad operazioni chirurgiche nel primo episodio impongono riserve. Per adulti di piena maturità morale» (Centro Cattolico Cinematografico, VoL. XXXVI, Dispensa 18, 1954).


Scheda a cura di
Matteo Pollone

Persone / Istituzioni
Vittorio Cottafavi
Giuseppe Mangione
Arturo Gallea
Armando Nannuzzi
Giovanni Fusco
Giorgio Venturini
Richard Basehart
Walter Chiari
Valentina Cortese
Arnoldo Foà
Antonella Lualdi
Nico Pepe
Vieri Bigazzi


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