Visto censura n. 16.523 del 1.11.1921
Alcune fonti dell’epoca attribuivano erroneamente la regia a Mario Almirante.
«Gennaro Righelli è decisamente un mago cinematografico: ha saputo rendere viva e palpitante quella “marcia funebre” che risponde al titolo di Il Viaggio; fatica improba, erculea, giacché essa è una buona e forte novella, ma una cattiva, desolante trama per film... [...] Il Viaggio è una novella eminentemente psicologica, e Maria Jacobini riesce a dare la psicologia (quella vera, intendiamoci, non quella cinematografica) su lo schermo. Dai suoi occhi, dal suo viso, dal suo atteggiamento, pur costretto dalla parte ad una uniformità esasperante, emana una vita interna di dolore, di lagrime non piante, d’angoscia, di disperazione, di disgusto; di gioia spasimante, di terrore rassegnato; tutte le gamme di un accordo solo, di un tema profondo, di pochissime note, variate all’infinito. Ella non fa niente, in tutto il lavoro, se togliamo il gesto terribilmente semplice di uccidersi, ma riempie di sé ogni quadro, anche quando non è in scena. Il suo martirio interiore, la sua lenta agonia pervadono tutto lo svolgimento, incombono su ogni episodio, gravano su tutti i momenti dell’azione, tanta è la forza di suggestione che vi si sprigiona dalla sua maschera semi-immobile; meglio di così non poteva penetrare l’anima del personaggio pirandelliano e comunicarla al pubblico» (“La Vita Cinematografica”, n. 6, 30.3.1923).
«La messa in scena, se bene dignitosa, non è delle migliori di Gennaro Righelli. Talvolta gli sfugge il senso della misura, tal’altra diventa superficiale e in molti punti si risente l’improvvisazione. Una messa in scena di abilità certo, ma scarsamente sentita. Mi pare che le figure e il loro dramma stesso, specialmente nella sua significazione, non siano stati intimamente penetrati abbastanza e abbastanza compresi. Forse si è voluto trascurare lo spirito della novella e attenersi agli elementi puramente drammatici o di contrasto; perciò non abbiamo che il dramma nella sua cruda e opprimente materialità. La sottigliezza psicologica della novella, il pathos dei personaggi, la concitazione passionale, la forza di sintesi, sono state sostituite da un arido verismo scenico cinematografico. [...] L’interpretazione è ancora la miglior cosa del film. Per accostarsi maggiormente al personaggio, Maria Jacobini non esita a sacrificare la sua bellezza. Però, come il Righelli nella messa in scena, così ella non riesce da principio ad una perfetta realizzazione del personaggio. C’è forse troppo atteggiamento esteriore, composizione fisica di figura, che non totale rappresentazione del personaggio. Noi vediamo un’Adriana stanca, rassegnata, malaticcia, tagliata fuori del mondo; vediamo il suo contrasto col marito, ma non la sua ammirazione per il cognato; insomma, sotto la maschera della sua persona negletta e dimessa, il fuoco che cova nel fondo dell’animo, noi non lo intravediamo; né i suoi atteggiamenti ce lo lasciano trasparire. Pure, per un’interprete somma, questo contrasto di intimità fuggevoli, appena intraviste, come baleni, e di esteriorità tranquilla e pacata; la manifestazione del suo intimo turbamento inafferrabile, che per altro giustifica la sua colpa, come la colpa giustifica la morte, non erano un bel cimento?» (Bombance, “La Rivista Cinematografica”, n. 8, 25.4.1923).
«La visione di questo bel film ci ha procurato un vero godimento intellettuale per la finezza del soggetto – tratto da un lavoro di Pirandello – e per la magnificenza dell’edizione. In verità non troviamo alcunché da criticare, poi che tutto ci è parso perfetto. Un film che può essere definito espressione purissima di autentica arte italiana, e si spiega quando si ricordi che autore è Pirandello, direttore Gennaro Righelli, interpreti Maria Jacobini, A. Cassini, Carlo Benetti. Maria Jacobini ch’è, forse, oggi la nostra attrice migliore, è stata un’Adriana Braggi palpitante di sentimentalità dolorosa. Ha interpretato la sua parte badando con preziosa scrupolosità ai particolari minimi. E questi dettagli noi abbiamo notato con sincera soddisfazione, ne citiamo uno piccolissimo, ma di una veridicità innegabile: quando il medico le dice di scoprirsi ella si sbottona la camicetta con la mano tremante, precisamente come un’ammalata timorosa può fare. E tu Alfonso Cassini perché sei scomparso dal mondo lasciando un vuoto ch’è incolmabile? Quale scienziato preciso sia stato tu ne Il viaggio l’han constatato gli spettatori del “Salone Margherita”» (A. Bruno, “La Rivista Cinematografica”, n. 5, 10.3.1924).
«Film passionale, di buona concezione, tratto da una novella di L. Pirandello. Interessante riproduzione della vita e dell’ambiente siciliano, di cui la Jacobini, nella veste di giovane vedova, sa ritrarre un carattere spiccato con grande espressione e verismo. Molto interessante il viaggio attraverso il continente, fra le meraviglie incantate dei migliori luoghi; ma il lavoro finisce tragicamente, per cui diventa troppo grigio, dopo tutto il bel sole di Napoli. Ottima e di buon effetto la messa in scena del Righelli. Nitida la fotografia» (O. Parenti, “La Rivista Cinematografica”, n. 7, 10.4.1924).