Visto censura n. 13.741 del 1.12.1918 (secondo alcune fonti: 1.10.1918)
Supervisione artistica: Piero Fosco [Giovanni Pastrone].
Distribuito in Spagna e proiettato in Olanda con buon successo di pubblico.
Il nome del personaggio Cantagnac viene trascritto, in alcuni testi, Cartenac.
«L’immane conflitto in cui si dibattono le sorti dell’Europa e – forse – del mondo, conferisce a La moglie di Claudio, un significato di angosciosa attualità. Nel dramma, così denso di pensiero, la facile critica non vide, a tutta prima, che della “letteratura teatrale”, cioè l’esitazione di un artista preso dalla vaghezza di ritrarre un tipo di femmina pervertita e morbosa. Ed, invece, dal dramma di A. Dumas, che – scritto nel 1873, quasi all’indomani dell’anno terribile – era un vero monito, oggi si sprigiona un senso d’impressionante profezia. Alessandro Dumas aveva essenzialmente voluto lanciare un grido d’allarme contro la sottile insidia del nemico, contro la lenta infiltrazione dello spionaggio e del tradimento. [...] Dall’agosto 1914, i dipartimenti invasi della Francia, il Belgio, la Russia e... qualche altro paese di nostra conoscenza, ne sanno qualche cosa. A Pina Menichelli – tormentata da un’inquieta, assillante ricerca delle interpretazioni artistiche più significative – ha sorriso l’arduo cimento di portare sulla scena la varia, strana, demoniaca figura di Cesarina. E l’ “Itala” ha rivendicato i diritti per la riduzione cinematografica, già da tempo acquisiti, del dramma dall’impeto travolgente. [...] Piero Fosco – a cui non è sfuggita veruna delle più intime bellezze del dramma di Dumas – vigila l’ “insenatura”, affidata a un vero artista: Gero Zambuto. Il che significa la più sicura garanzia di successo» (“La Vita Cinematografica”, n. speciale, dicembre 1917).
«Il vecchio e romantico dramma di Alessandro Dumas, La moglie di Claudio, dramma più cerebrale che umano, tessuto di falsità e di artifici, tornato quasi d’attualità con la guerra europea, per il fervore patriottico che infiamma una parte dei suoi personaggi e per la requisitoria contro lo spionaggio tedesco ai danni delle altre nazioni, ai danni di chi lavora per un altro ideale, è stato portato anche esso sullo schermo per opera dell’Itala-film; ma, a dire il vero, non ebbe favorevoli accoglienze [...]. L’artificiosità onde il dramma è costruito e dominato, artificiosità apparsa anche sulla scena, si scopre per intero e si accentua nel film, il cui svolgimento assume un’andatura monotona, uniforme, lenta, che lascia una impressione di pesantezza e di unilateralità. Ma a ciò non è estranea l’interpretazione di Pina Menichelli: veramente è inesatto dire interpretazione, poiché si tratta di una materiale raffigurazione del personaggio. Pina Menichelli eseguisce, infatti, la parte di Cesarina Ruper, ma non interpreta il personaggio. Interpretare significa rendere, in una totale rappresentazione d’anima e di corpo, un personaggio qualunque. Così le grandi attrici creano le parti cui il loro nome e la loro impronta restano indissolubilmente legate [sic]. Malgrado il personaggio s’addicesse mirabilmente al suo temperamento, ella ha preferito cedere alla smania di continuo esibizionismo che infierisce come la febbre spagnuola in ogni nostra diva, e posare in troppi primi piani senza significato, anzi che animare con arte sapiente e plasmare il vero carattere di Cesarina Ruper. Creatura sensuale e voluttuosa, avida di piaceri e di lusso, priva d’ogni sentimento, insensibile ad ogni affetto, volubile, perversa e raffinata, amante d’avventure e di intrighi, anima complessa e complicata, divorata dalle più torbide passioni, offriva alla capacità di una attrice, all’intelligenza di essa, il mezzo di farne una creazione artistica indimenticabile, ove l’attrice avesse ritenuto non superfluo uno studio meditato e sottile del carattere. Come le altre dive sue colleghe, Pina Menichelli si ritiene ormai dispensata dallo studiare; è persuasa che basti il suo nome e il suo sorriso, e perciò non fa che ripetersi continuamente e ripetere certi atteggiamenti suoi caratteristici e meno sinceri. Su una tale strada, non tarderà molto a divenire la più insincera e artefatta attrice muta. L’artista non può, né deve, fossilizzarsi in forme stereotipate. Deve continuamente rinnovarsi. E la più grande virtù dell’artista vero è la ricerca incessante della naturalezza e della verità. Ora, le nostre attrici sembrano dedicarsi alla ricerca assidua dell’opposto. Studiate nel passo, manierate nel gesto, contorte nei movimenti del corpo, ricercate in ogni altra espressione del volto, hanno giurato odio irriconciliabile con tutto ciò ch’è naturalezza e verità, e non s’avvedono dei loro errori. Così le annebbia il fumo dell’incenso prezzolato e l’ebbrezza dei passati trionfi, da non vedere l’abisso aperto ai loro piedi. Per ciò Pina Menichelli ha falsato il carattere di Cesarina Ruper, rendendolo, in rapporto al personaggio, con un’interpretazione mediocrissima e biasimevole» (Bertoldo, “La Vita Cinematografica”, n. 1, 7.1.1919)
«Questa [Pina Menichelli] ci è apparsa in un nuovo ruolo, più adatto alle sue possibilità artistiche, e che le permettono di dare vita ad un lavoro che, forse, è il migliore della Menichelli. La moglie di Claudio è la donna frivola, facile agli amori, che semina intorno a sé il dolore e la rovina, ma che pure ha i suoi scatti di femminilità pretta e sincera: questo tipo di donna è reso magistralmente dalla Menichelli sì nella mimica, che nello sguardo e, specie, per la grande mobilità della maschera, anche da un istante all’altro, secondo il pensiero cui la nuova espressione risponde. Parecchie scene sono di una drammaticità impressionante: quando il marito le annunzia la morte del figlio, l’indifferenza della madre risulta quasi naturale e mette maggiormente in rilievo il giusto orrore dal quale il marito è assalito. [...] ed ancora quando subito dopo essa implora l’affetto del marito e l’implora tanto efficacemente che egli, quasi vinto, sta per baciarla... Ma no, rammenta la madre snaturata e la respinge. [...] Nel momento di sgomento dei due, un colpo parte e la moglie di Claudio cade, come solo lei sa cadere e resta a terra con quegli occhi verso il pubblico, quegli occhi ove tante cose si leggono e che vi lasciano come sotto un incubo. Ma anche qui, come per altri lavori, gli ipercritici assumeranno che in qualche momento (ad esempio innanzi a Rebecca) la Menichelli esagera. Roba vecchia ormai: questi piccolissimi nei di un temperamento esuberante, non hanno forza di inficiare una rappresentazione che mette la Menichelli fra le artiste di eccezione. Ma vi ha dell’altro che concorre ad affermare in modo assoluto questo bel lavoro dell’ «Itala Film»: in altri lavori l’arte della Menichelli oscura quella minore dei collaboratori. Nella Moglie di Claudio no. Bello il lavoro per l’eccellente rappresentazione della Menichelli, bello per l’eccellente rappresentazione degli altri artisti, tutti bravi, tutti a posto e bene affiatati» (E. Ruffo Marra, “La Rivista Cinematografica”, n. 13, 10.7.1923).