«La mia idea di Cocktail Berlino è stata innanzitutto quella di bloccare alcuni gesti, alcune frasi, alcuni momenti, in un flusso di immagini che cercano di documentare una ricerca di qualche cosa di indefinito in una delle poche metropoli internazionali: Berlino. Per fare questo abbiamo pensato di non utilizzare il fermo immagine, ma di inserire tra le immagini in movimento diapositive scattate proprio durante le riprese. Lo “scarto” che si viene a creare in questo caso è ancora maggiore... muta il linguaggio espressivo, l’angolazione, il colore, l’inquadratura, insomma, il tipo di informazione. In questo cuneo, introdotto in qualche cosa che reputo vicino al documentario, abbiamo aggiunto, non usando la voce fuori campo, ormai poco efficace, ma la parola scritta direttamente sull’immagine, che scorre su di essa o semplicemente appare... La storia che raccontiamo è semplicissima: rimaniamo due settimane a Berlino, nel luglio del 1984. Perché siamo capitati proprio lì, cosa facciamo, cosa vogliamo, non si può proprio dire. Quotidiano, gesti, sensazioni, oggetti si fissano sulla memoria del nastro: pause, rumori, movimenti, situazioni a Berlino. Alla ricerca di un ambiente ideale, rimane il ricordo; e ciò che l’attualità cancella viene riproposto con l’immagine in un viaggio nel quale momenti non vissuti si rivelano, attimi di vita si colorano di nuove emozioni. Rivivere e non ripetersi; l’esperienza si lega al tempo con un filo. Berlino. il senso di una forza superiore si carica del proprio peso nel rapporto con la realtà, lo scontro con essa e l’intuizione di cogliere la diversità. Parole e niente più... il ritmo della terra, il pulsare di una nota in tono basso, la fotografia. Armonia di oggetti sconvolti, nella città in cui si respira piacevole la tensione urbana rotta da un senso di normale pazzia, molto distante dalla rigida fisicità dello studio televisivo. Immagini, rumori, musica...» (R. Damiani, M. Feno, in S. Della Casa, a cura, Spazio Aperto, 2° Festival Internazionale Cinema Giovani, 1984).