Regia Gianni Vernuccio
Soggetto Vittorio Metz, Marcello Marchesi
Sceneggiatura Vittorio Metz, Marcello Marchesi
Fotografia Arturo Gallea
Operatore Armando Nannuzzi
Musica originale Giovanni Fusco
Suono Giovanni Canavero
Montaggio Loris Bellero
Scenografia Giancarlo Bartolini Salimbeni
Arredamento Giancarlo Bartolini Salimbeni
Aiuto regia Carla Ragionieri
Interpreti Tito Gobbi (baritono Tito Robbi/il pazzo), Isa Barzizza (fidanzata di Robbi), Gino Bechi (l'avvocato), Fiorella Mari (figlia di Robbi), Franca Marzi (governante Franca), Adolfo Geri (avvocato Gino Bolla), Anna Arena, Alberto Collo, Loretta Lanciani
Direttore di produzione stripslashes(Vieri Bigazzi)
Produzione Giorgio Venturini per Produzione Venturini
Distribuzione Venturini
Note Visto censura 15590 del 5.12.1953; 2645 metri. Incasso: 185.500.000 lre.
Il regista Gianni Vernuccio si firma nei titoli del film con lo pseudonimo di Werner John. Canzoni: Dino Olivieri; organizzatore generale: Giampaolo Bigazzi.
Gli interni sono stati girati negli studi della FERT di Torino.
Sinossi
Il baritono Tito Robbi è perseguitato da un pazzo, che gli assomiglia in modo impressionante e sembra deciso ad ucciderlo. Il cantante viene sfiorato da un proiettile durante una rappresentazione al Teatro dell'opera. Inoltre, il baritono è alle prese anche con problemi familiari: vedovo, vorrebbe sposare una giovane donna per dare una madre alla figlioletta Fiorella, ma la governante Franca, desiderosa di farsi sposare da lui, lo ostacola. Quando il pazzo s'introduce in casa di Robbi, viene scambiato per il cantante, cosicché, di conseguenza, il cantante viene preso per il pazzo e condotto in manicomio; qui Robbi, cantando, chiarisce l'equivoco. La polizia cerca di catturare il pazzo, il quale, a sua volta, tenta di rapire Fiorella.
Dichiarazioni
«A Torino Venturini era riuscito a impiantare una macchina molto funzionale. Con il suo gruppo (li chiamavano la Repubblica di Firenze, perché c’era Vieri Bigazzi, l’assistente di Gianni Bigazzi, Venturini stesso, qualche tecnico fiorentino) lavorava sempre su due teatri in parallelo, ad esempio quando io facevo Canzoni a due voci, dall'altra parte c'era Milestone con La vedova X. Erano sempre film a basso costo, ma fatti con un certo stile, e dunque la cosa più importante era la precisione e il rispetto dei piani di lavorazione […] [Canzoni a due voci] era un film molto originale, la sceneggiatura era di Metz e Marchesi, ma la adattavo io nel corso delle riprese. Ho fatto anche io il montaggio, del resto ho sempre avuto una particolare predilezione per il montaggio, perché il film nasce in moviola, durante le riprese si gira tutto ciò che è possibile, ma il film prende davvero forma solo in montaggio ». (G. Vernuccio, in L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito. Giorgio Venturini alla Fert (1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
«L'insulsa trama serve da pretesto alla esibizione canora dei due noti artisti» ("Segnalazioni Cinematografiche", Vol. XXXIV, 1953), Tito Gobbi e Gino Bechi, in quegli anni in pieno esercizio sia in teatro sia al cinema e già sullo schermo insieme in Follie per l’opera (1948) di Mario Costa.
«Canzoni a due voci, che fin dal titolo richiama il Fuga a due voci di Carlo Ludovico Bragaglia, interpretato proprio dal Gino Bechi trionfante degli anni ’40, parte dunque in ottobre e in tre-quattro settimane si conclude la lavorazione. Interni, piuttosto poveri, alla FERT. Molte riprese al Teatro Carignano per le scene d’opera o dietro le quinte, gli esterni in città specialmente in una villa della Crocetta. […] la saggezza di Vernuccio si rivela sul set anche nella difficile opera di mediazione tra i due baritoni, rivali nella vita, o almeno naturali concorrenti. […] Gobbi è più cordiale, espansivo, […] mentre Gino Bechi è un po’ più sostenuto […] alla fine del film i due saranno senz’altro buoni amici, e della loro conclamata rivalità si potranno avvalere solo gli uffici stampa e i settimanali rosa. […] Purtroppo Canzoni a due voci giunge, nonostante l’onestà della operazione, nettamente fuori tempo, per più ragioni. […] I cantanti lirici come protagonisti di film musicali hanno esaurito il loro compito. I nuovi indiscussi idoli del pubblico popolare sono i cantanti di musica leggera e su di loro si organizzano (e si improvvisano) le nuove imprese cinematografiche. […] Anche nei momenti di maggior fulgore, i vari Gigli, Lugo, Tagliavini, Bechi reggevano sulle gracili spalle (drammatiche) un intero film solo a condizione di poter contare su una o più canzoni di successo, o su una o più canzoni che diventano subito un successo perché facilmente orecchiabili e quindi ritornano fino alla nausea nei programmi radio» (L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito, Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
Scheda a cura di Davide Larocca
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