Regia Giovacchino Forzano
Soggetto Giovacchino Forzano, dal dramma omonimo di Giovacchino Forzano e Benito Mussolini
Sceneggiatura Giovacchino Forzano
Fotografia Ubaldo Arata, Mario Albertelli, Reimar Kuntze, Augusto Tiezzi, Giovanni Vitrotti
Musica originale Antonio Cantù
Suono Carlo Gambacciano, Mario Peragallo
Montaggio Giacinto Solito
Scenografia Antonio Valente, Celestino Magliolo
Costumi Antonio Valente, Celestino Magliolo
Trucco Roberto Pasetti, Francesco Mauceri
Interpreti Corrado Racca (Camillo Benso, Conte di Cavour), Annibale Betrone (Vittorio Emanuele II), Enzo Biliotti (Napoleone III), Pia Torriani (principessa Clotilde di Savoia), Giulio Donadio (Castelli), Alberto Collo (il canonico Gazzelli, confessore di casa Savoia), Giulio Oppi (il marchese Virago di Vische), Ernesto Marini (Margotti), Gustavo Conforti, Vasco Brambilla, Felice Minotti, Nino Bellini, Edoardo Biraghi, Celio Bucchi, Valentino Bruchi
Ispettore di produzione Pietro Cocco, Tamburini
Produzione Forzano Film
Note Nulla Osta n. 18.141 de 3.1.1934; 2.824 metri.
Collaborazione al montaggio: Mario Bonotti; assistenti alla regia: Pietro Cocco, Tamburini; altri interpreti: Isora Cardinali, Guido De Monticelli, Maria Denis, Luigi Erminio D’Olivo, Carlo Duse, Oreste Fares, Mario Ferrari, Luigi Lampugnani, Giulio Paoli, Guido Preti, Renato Toffone, Edoardo Toniolo, Egle Arista, Angelo Bassanelli, Roberto Pasetti, A. Amedei, V. Bassi, Odon Berlioz, M. Calavolo, A. Conte, M. Lamari, F. Miniati; segretario di edizione: Marcello Simoni.
Gli interni sono stati girati negli studi FERT di Torino
Locations torinesi: Palazzo Madama, Teatro Regio, Palazzo Reale.
Sinossi
Villafranca ricostruisce le vicende storiche legate alla fine della Seconda Guerra di Indipendenza: dalla seduta del Parlamento subalpino del 10 gennaio 1858, fino alla pace di Villafranca, meglio fino al «colloquio i Monzambano tra Vittorio Emanuele II e Cavour, quando, nella notte dopo l’11 luglio ’59, fu comunicata dal Re al grande ministro, copia dei preliminari di pace stipulati tra l‘Imperatore dei Francesi e Francesco Giuseppe» (R. Simoni, “Corriere della Sera”, 16.12.1921).
«Altri comincerà a parlare di questo film subito affrontandone l’importanza e il significato. Ci sia invece concesso di subito dire ai nostri lettori subalpini che con Villafranca torna sullo schermo una protagonista che per lunghi anni vi appare da dominatrice: Torino. Ma allora, ai tempi eroici della nostra cinematografia, il Valentino per lo più si prestava a esser il Bois o il Prater, o il Tiergarten; innumerevoli drammi di cappa e spada furono gli ospiti del Borgo medievale; e lo spettatore rivedeva compiaciuto quegli sfondi a lui familiare andarsene per il mondo, sia pure truccati a quel modo. Con Villafranca Torino è Torino: la vecchia Torino dei tempi preindustriali, la piccola e possente capitale, la Torino del Risorgimento. Di quando la città si spingeva soltanto fino ai ghiaietti del Po, al lontano Valentino, alla nuovissima piazza Vittorio; di quando erano appena apparsi i primi fanali a gas, i portici erano ancora selciati di ciottoli, da poco esisteva un “Embarcadero per la Strada Ferrata” e Sua Maestà, aprendo le udienze del mattino, di solito le apriva con un “Qu’est-ce qu’on dit au café Florio?”. Sfondi a noi cari, nelle luci d’una vecchia stampa non ancora antica, vie e piazze e profili di colli, e svettare di monti. O non c’è forse, nel quadro della partenza dei volontari, persino un dolcissimo e assai fotogenico Monte dei Cappuccini? Grazie, sor Giovacchino, d’aver pensato anche a quello. Le grandi figure rievocate da questo dramma fanno balzare il periodo più eroico e leggendario del nostro Risorgimento; e soltanto con il loro apparire determinano entusiasmo e commozione. La vicenda del film è soprattutto compresa fra il 10 gennaio e l’11 luglio del 1859. Dalla storica seduta del Pralamento subalpino con la quale s’apriva la nuova legislatura e che doveva udire, pronunciate da Vittorio Emanuele II, quelle parole dense di presagio e di destino: “Non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti d’Italia si leva verso di noi” alla pace di Villafranca, determinata dall’atteggiamento della Prussia nei confronti della Francia, primi rintocchi dell’ora di Sédan. [...] Villafranca non vuole infatti ricorrere soltanto a valori cinematografici puri, dà il massimo rilievo ai dialogati e alla battuta, ne fa sovente l'elemento predominante, che è un'altra sana, vasta, importante opera di esaltazione nazionale, dal Forzano compiuta con una lena dall'ampio respiro. [...] II rievocare momenti della nostra più recente e gloriosa storia è compito altissimo; e un film che a questo compito s'ispirasse doveva essere tenuto in toni volutamente popolari, in un'atmosfera leggendaria e familiare insieme. [...] La cura e lo scrupolo dedicati alla messinscena di Villafranca sano davvero esemplari, soprattutto per quel che riguarda ambienti e sfondi. Interni del Palazzo Reale di Torino e del Palazzo Madama, del Regio e del Teatro alla Scala, ripresi sul luogo, con grande dispendio di tempo, di energie, di mezzi. Gli scanni della Camera dei deputati, qui ricostruiti nell’aula di Palazzo Madama, sono gli stessi che ne vennero tolti qualche anno fa per essere posti nel nostro Museo del Risorgimento. Gli interni dell’abitazione del conte di Cavour ricostruiti con gli stessi arredi, con gli stessi mobili, fra i quali troneggia la storica scrivania intarsiata. L’obiettivo che si sposta per i saloni del Palazzo Reale ci fa assistere a una serie d’interni assai rari da scorgere in qualsiasi film, dall’Armeria alla sala del Trono, specialmente nella sequenza che accompagna la principessa Clotide alla preghiera. L’uscita del conte, in carrozza, per recarsi a palazzo, ha il sapore d’una stampa dell’epoca; e il lungo “carrello” aereo, alla balaustra del palco reale, per l’ambiente nel quale procede, per il momento che vuole ricordare, è davvero memorabile negli annali del nostro cinema. Villafranca è stato interpretato dagli stessi attori che già rappresentarono lodevolmente il dramma alla ribalta: il Betrone, il Racca, la Torniai, ai quali si sono aggiunti il Biliotti e il Donadio; il film interrompe finalmente la serie delle melense commediole che pareva dovessero essere quasi un monopolio della nostra cinematografia; ed è anche, tecnicamente, un'impresa che impensierirebbe qualsiasi agguerrito e potente produttore. Non dimentichiamo infatti che è questo soltanto il secondo film del Forzano, giunto al cinema da pochissimo, costretto, per così dire, a farsi una sua diretta esperienza pagando ogni giorno di persona. Sfondo ammirevole; e monito a quanti da noi cincischiano il loro filmetto stiracchiando un’anemica sceneggiatura con qualche sgambetto e con qualche cantatina, pur di giungere ai sospirati settanta minuti di proiezione» (M. Gromo, “La Stampa”, 20.1.1934).
«Apparentemente se c’era un caso che giustificava la trasposizione letterale sullo schermo di un’opera di teatro era questo, in cui non soltanto la concatenazione delle vicende, ma le battute stesse del dialogo erano dettate dalla storia. Pure, anche nei limiti prefissi, siamo convinti che sarebbe stato possibile dare a questa vasta e pittoresca materia una maggiore elaborazione cinematografica. Nell’intento di arrivare a questa elaborazione, Forzano ha avuto la lodevolissima cura di andare a girare i più significativi episodi del dramma sul loro sfondo autentico. [...] Purtroppo vi ha collocato personaggi presi tali quali dal palcoscenico, con gli stessi gesti, le stesse inflessioni, si direbbe le stesse truccature; e il contrasto della convenzione scenica sovrapposta al dettaglio reale, non fa che far sentire più vivo l’artificio di quella» (F., Sacchi, “Corriere della Sera”, 20.1.1934).
Scheda a cura di Valeria Borello
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