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Lungometraggi |
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Bianco, rosso e Verdone
Italia, 1981, 35mm, 116', Colore
Regia Carlo Verdone
Soggetto Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone
Sceneggiatura Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Carlo Verdone
Fotografia Luciano Tovoli
Operatore Giuseppe Tinelli
Musica originale Ennio Morricone
Montaggio Nino Baragli
Scenografia Carlo Simi
Arredamento Carlo Gervasi
Aiuto regia Albino Cocco
Interpreti Carlo Verdone (Pasquale, Furio, Mimmo), Irina Sanpiter (Magda), Elena Fabrizi (nonna di Mimmo), Angelo Infanti (playboy), Milena Vukotic (prostituta), Mario Brega (“il principe”), Andrea Aureli, Elisabeth Weiner, Anna Alessandra Arlorio, Vittori Zarfati, Giovanni Brusatori, Guido Monti
Ispettore di produzione Marco Mattia Megretti
Produttore esecutivo Sergio Leone
Produzione Medusa
Note Assistente operatore: Franco Sterpa; supervisione: Sergio Leone.
Sinossi
Cinque elettori devono raggiungere i propri seggi di appartenenza. Dalla Germania, Pasquale, immigrato estremamente taciturno, parte per Matera. Da Torino, Magda e Furio (persona logorroica e pignola) si dirigono verso la capitale. A Roma va anche Mimmo, ragazzo ingenuo e impacciato, giunto a Verona per prelevare la nonna. Pasquale, appena entrato in Italia, subisce una lunga serie di furti. Magda, costretta a fermarsi dapprima per una foratura e poi per un incidente provocato da Furio, è corteggiata da un uomo incontrato lungo la strada, con cui fugge una volta giunta davanti al seggio, in quanto non più in grado di sopportare l’estenuante marito. Mimmo e la nonna tentano invano di aiutare un camionista, che teme un arresto credendosi, a torto, responsabile della morte di Furio nell’incidente provocato da quest’ultimo; il loro viaggio termina con la morte della nonna nella cabina elettorale.
Dichiarazioni
«in Bianco, rosso e verdone quel marito petulante, che è stato interpretato con un'accentuazione dei tic, con un comportamento ossessivo, discende da quella forma mentale maniacale che aveva Leopoldo Trieste ne Lo sceicco bianco, quando per esempio all'arrivo in albergo durante il viaggio di nozze dice alla moglie: “Ore 11 visita al Quirinale, ore 11,45 incontro con i parenti, ore 15 Cappella Sistina, ore 16 un altro appuntamento, ore 22 letto, domani ore 9 appuntamento a Piazza San Pietro...”» (C. Verdone, in Alberto Castellano, Intervista a Carlo Verdone, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996).
Animato da una spirito scanzonato inconfondibilmente romanesco e nello stesso tempo mai volgare, Carlo Verdone miscela in Bianco, rosso e verdone grottesco e malinconia, offrendo una carrellata di macchiette che possiedono una notevole consistenza umana.
Apprezzato dalla critica per la sua originale carica di comicità, giudicato da alcuni addirittura una parodia di Easy Rider, il film si avvale della supervisione di Sergio Leone e della scenografia di Carlo Simi, che con il maestro dello spaghetti-western aveva lavorato in C’era una volta il West, nella “Trilogia del dollaro” e tre anni dopo avrebbe realizzato C‘era una volta in America.
Il rapporto tra Verdone e Leone fu burrascoso. Il regista ricorda alcuni episodi accaduti durante la lavorazione: «Durante il montaggio di Bianco, rosso e verdone Leone mi disse di togliere una scena che io non volevo eliminare. Era la scena dell'emigrante, lui diceva: “Taglia, che la gente si rompe i ciglioni”, io dicevo di no e lui: “Domani la devi levà, io domani ritorno”, e io: “Sì, sì”, poi dissi al montatore: “Lascia così, che ce frega”. Invece lui di notte andò a controllare il montaggio e siccome non avevo tagliato la scena, il giorno dopo mi diede un calcio nel culo, veramente forte. Fu la seconda umiliazione e mi disse: “Quando dico una cosa va fatta”. Ci fu un'altra situazione particolare per me molto imbarazzante. Si creò con Sergio un po' di tensione, anche se ero più sicuro e sopportavo meglio la sua presenza. C'era una scena nel film in cui il nipote della sora Lella, Mimmo - quello con gli occhi erranti nel vuoto -, si ferma in un motel per via della nonna che non si sente bene. Questo tizio passa la serata con una prostituta, che pur di guadagnare diecimila lire tenta di sedurlo. La donna doveva togliersi le mutande e far vedere a questo ragazzotto così candido il “triangolane” nero attraverso una vasca di pesci. Sergio voleva vedere se l'attrice aveva sotto un “triangolo” abbastanza nero. Io per la verità mi vergognavo di vedere quella parte dell'attrice e lui mi diceva: “Ma che cazzo dici! Non sai fare il regista”. Allora la chiamò, andarono dietro il teatro e lui le chiese di calarsi la mutanda per vedere se riusciva a creare l'effetto voluto. Dopo un poco Sergio ritornò da me e mi disse: “Questa non ha un cazzo davanti! Bisogna trovare una donna con 'na' pelliccia!”. Dissi quindi a dei collaboratori di andare a cercare due o tre mignotte. Una volta trovate, le fece sfilare dietro la vasca per vedere quale “triangolo” fosse più adatto. Alla fine ne scelse una e mi disse: “Tu il regista non lo puoi fare”. Ebbi una vergogna! Quando poi fu scelta una di queste prostitute, non so se era una prostituta o una comparsa, la mandò dal parrucchiere dicendo a quest'ultimo: “Aho, Enzo, daglie un colpo de spazzola, deve esse vaporosa!”» (C. Verdone, in A. Castellano, Intervista a Carlo Verdone, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1996).
La produzione non approvò subito la presenza nel cast di Elena Fabrizi, la “sora Lella”, benché la sorella del grande Aldo avesse già incontrato un certo successo grazie ad una rubrica condotta su Radio Lazio, nella quale elargiva agli ascoltatori consigli di vario tipo: Medusa aveva paura, in particolare, che la Fabrizi venisse associata al ristorante che possedeva nel centro di Roma; Verdone, però, riuscì ad imporla tra gli interpreti (guadagnandosi il suo affetto) e la “sora Lella” divenne uno dei personaggi più graditi al pubblico, grazie alla sua ingenuità e al suo intercalare diventato tormentone al pari di tanti altri Leitmotiv di mattatori televisivi.
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