Regia Baldassarre Negroni
Soggetto dall’opera teatrale Jean le cocher: drame en cinq actes, pre?ce?de? d'un prologue en deux tableaux di Joseph Bouchardy
Sceneggiatura Baldassarre Negroni
Fotografia Ubaldo Arata
Scenografia Domenico Gaido, Giulio Lombardozzi
Costumi Domenico Gaido
Interpreti Bartolomeo Pagano (Gian Claudio Thibaut, il vetturale), Rina De Liguoro (Genovieffa Thibaut, sua moglie), Mimì Dovia (Giovanna Thibaut), Celio Bucchi (Colonnello Rouger), Alex Bernard (Pietruccio), Manlio Mannozzi (Capitano Enrico Rouger), Oreste Grandi (Morel), Umberto Casilini (Lodovico, Conte d’Arezzo), Guido Brignone (il parroco di S. Martino), Carlo Valenzi (Napoleone), Felice Minotti, Andrea Milano
Produzione S.A. Pittaluga, Torino
Note Visto censura n. 23.762 del 1.10.1927; 2.499 metri.
In alcune fonti il personaggio Genovieffa viene indicato come Genoveffa, Pietruccio come Petruccio o Piltruccio; il cognome del vetturale viene indicato come Thibaut, Thiband o Thibauth.
Copia conservata presso: Cineteca Italiana (Milano).
Le didascalie, la trama e la scheda di noleggio del film sono conservate presso il Museo Nazionale del Cinema di Torino.
Il testo di Joseph Bouchardy è stato adattato per il cinema altre due volte: nel 1916 da Leopoldo Carlucci per la Milano Films; nel 1954 da Guido Brignone per la Produzione Alberto Manca. Entrambe le versioni si intitolano Il vetturale del Moncenisio.
Sinossi
San Martino, 1796. Durante una bufera, il vetturale Gian Claudio Thibaut soccorre un uomo e lo ospita nella sua casa, situata sul versante francese del Moncenisio. Lo sconosciuto è in realtà il Colonnello Rouger, incaricato di consegnare documenti di vitale importanza a Napoleone, che ha appena sconfitto gli Austriaci a Montenotte, e chiede l’aiuto di Gian Claudio per valicare il Moncenisio; i due vengono però spiati dal Conte di Arezzo, che ha invano tentato di convincere la moglie del vetturale, Genovieffa, ad abbandonare il marito per andare a vivere con il ricco e altolocato nonno, il Duca Loredano. Avendo delle mire sulla donna, il Conte denuncia agli Austriaci Gian Claudio e Rouger, facendoli arrestare. Mentre Rouger viene fucilato, il vetturale riesce a salvarsi ma la notizia della sua morte arriva prima di lui e l’uomo assiste alla partenza della moglie, costretta a raggiungere il nonno per prendersi cura della figlia Giovanna. Parigi, 1813. Dopo aver fatto carriera nell’esercito napoleonico, Gian Claudio si è ritirato e lavora come fiaccheraio con il nome di Giovanni. Avendo salvato dall’annegamento una ragazza, la cura amorevolmente per poi scoprire che si tratta della figlia Giovanna, ormai cresciuta e fidanzata con il Capitano Enrico Rouger. Il Conte di Arezzo, diventato il suo patrigno, ha cercato di ucciderla per impedire che le nozze tra i due giovani rivelino i debiti di gioco contratti dal nobile, pagati grazie alla dote della sua pupilla. Credendola morta, il Conte acconsente allo sposalizio ma, al ricomparire di Giovanna, tenta un’ultima azione malvagia; viene infine neutralizzato, dopo alterne vicende, grazie all’azione congiunta di Gian Claudio ed Enrico ed entrambi possono riabbracciare la donna che amano.
«Sui difficili impervi passi del Moncenisio, mentre si “giravano” alcune scene de “Il vetturale del Moncenisio”, il nuovo film che il Conte Baldassarre Negroni mette in scena per la Pittaluga, si verificò un incidente che poteva avere tragiche conseguenze. Mentre si svolgevano queste scene, uno degli attori, che rappresentavano la parte dei nemici in agguato, ad un tratto sentì franare la terra sotto i suoi piedi e precipitò lungo la paurosa china. A stento riuscì ad afferrarsi ad un albero ed a restare sospeso sul burrone spalancato sotto di lui. Il disgraziato, a cui le forze cominciavano a venir meno, sarebbe certamente perito, se Maciste, noncurante del pericolo, non si fosse slanciato in suo aiuto, mentre tutti gli attori, rabbrividendo, assistevano alla lotta con la morte dei due uomini sospesi sul baratro, senza avere la possibilità di soccorrerli. E quando Maciste, dopo inaudite fatiche, trasse in salvo il compagno di lavoro, tutti i presenti alla terrificante scena scoppiarono in applausi all’indirizzo del valoroso attore, che aveva saputo dare una prova di coraggio e di forza, tanto più ammirevole in quanto che fuori della finzione scenica» (“Il cinema italiano”, a. IV, n. 12, 15.6.1927).
«Gli esterni principali del superfilm sono stati girati sul Moncenisio e riproducono quadri di alta montagna, pittoreschi e suggestivi, di naturale bellezza. In questi meravigliosi quadri alpini si inquadra gran parte dell’azione, si svolgono scene di intensa drammaticità: tra le più importanti sono: la ritirata dell’esercito austriaco battuto dal Generale Bonaparte; l’incontro di Gian Claudio Thibant [sic], il vetturale e del colonnello Rouger in una notte d’impressionante tormenta; una antica diligenza che ribalta e precipita con i viaggiatori e i cavalli, in un profondo burrone» (“Cine-gazzettino”, a. II, n. 41, 8.10.1927).
«“Il Cinema italiano”, giornale dei cinematografisti indipendenti scrive: “È un romanzo popolare, ricco di movimento, denso di fatti e di personaggi, che si svolge ai tempi del generale Bonaparte, ed ha per protagonista un bonario e gigantesco eroe delle battaglie napoleoniche: uno di quei romanzi di sicuro successo. […] I nostri attori dimostrano in questo film ancora una volta la loro singolare naturalezza nel rappresentare i personaggi storici negl’impaccianti costumi dell’epoca. Complessivamente il film dimostra che i più seri tentativi di ripresa sono attuati negli stabilimenti di Torino. Ove si agisce ammaestrati dall’esperienza e con la chiara visione della importante battaglia impegnata. E non si tentano […] salti nel buio che danneggerebbero la causa della rinascita, pregiudicandola definitivamente» (“Cine-gazzettino”, a. II, supplemento al n. 43, 27.10.1927).
«Nella nostra edizione straordinaria uscita giovedì scorso, con il più lusinghiero gradimento del pubblico, riporteremo [sic] i primi entusiastici giudizi della stampa italiana per il nuovo colosso italiano della Produzione Pittaluga. Tutti i critici, anche quelli più severi, sono concordi nel riconoscere che Il vetturale del Moncenisio rappresenta la più alta e più bella espressione della nostra arte e della nostra tecnica cinematografica e sono prodighi di plausi e di elogi a tutti gli artefici del Medica. Particolarmente apprezzata l’opera di Baldassarre Negroni che ebbe la direzione artistica del film e quella di Ubaldo Arata che è riuscito ne Il vetturale del Moncenisio a dare un meraviglioso saggio di perfezione tecnica della cinematografia. La stampa è pure concorde nell’esaltare l’interpretazione di Maciste (Bartolomeo Pagano), di Rina De Liguoro e di tutti gli altri artisti che prendono parte nel magnifico lavoro» (“Cine-gazzettino”, a. II, n. 44, 29.10.1927).
«Siamo di fronte ad un nuovo film di produzione italiana, che se dal lato dell’esecuzione denota uno sforzo indubbiamente ammirevole e riuscito, ci sembra poco felice per la scelta del soggetto, e più ancora per lo sviluppo di esso, condotto con alquanta prolissità. Non cadremo noi nello stesso difetto raccontando il romanzesco intreccio, attraverso cui il vetturale del Moncenisio, Gian Claudio Thibaut, ritenuto fucilato dagli austriaci che lo avevano catturato insieme ad un colonnello francese (siamo nell’epoca napoleonica) il quale aveva domandato il suo aiuto per varcare di nascosto le linee nemiche, e compiere la missione, affidatagli dal Governo di Parigi, di recare dei piani a Napoleone, ritrova in tragiche circostanze la moglie e la figlia, e riedifica la loro felicità distrutta. Le vicende di quest’uomo, il cui carattere forte e generoso risalta efficacemente attraverso l’interpretazione sobria ma espressiva di Bartolomeo Pagano (il noto Maciste), riescono ad avvincere, pur nella lamentata prolissità, l’attenzione di chi assiste al loro svolgimento; con qualche taglio opportuno l’azione riuscirebbe certamente ancor più interessante» (“La Rivista del Cinematografo”, a. I, n. 1, gennaio 1928).
Scheda a cura di Azzurra Camoglio
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