Visto censura n. 19.832 del 31.8.1924, 1.680 metri.
L’attore Amleto Novelli morì prematuramente durante la lavorazione del film, a soli 38 anni.
«Il bel lavoro scritto e messo in scena da Mario Camerini per la Pittaluga-Fert ha occupato attivamente in queste ultime settimane gli artisti che lo interpretano: la Diomira Jacobini e la Rita d’Harcourt, Amleto Novelli, Franz Sala, Giuseppe Brignone ed Armando Pouget. Le gentili scene che riproduciamo in questa pagina furono girate sulla Riviera Ligure, e mostrano in tutta la loro leggiadria la vivace nidiata di bambini che rappresentano i veri pulcini del magnifico lavoro» (“Films Pittaluga”, a. II, n. 13, 15.4.1924).
«Dramma di piccoli ma più di grandi. Le correlazioni che intercorrono fra le due categorie, i rapporti spirituali se hanno il loro incentivo nella classe minore, le anime adulte ne ricevono forti rifrazioni così da trasportare in un piano più elevato il diapason della concezione. La fanciulla sfuggita alle insidie di uno zio non sappiamo se vizioso o schiettamente innamorato, sperduta fra la gelida campagna e salvata dai piccoli orfani concentra in sé tanta passionalità e vibrazioni psichiche da giustificare la nostra prima affermazione. Ed è perciò che si elegge non solo a maestra ma madre amorevole dei piccoli e ad essi dedica la sua vita dolorosa traendo non solo motivo di conforto e gioia, ma alimento alla sua anima appassionata. E vuoI bene ai bimbi, tanto bene che non vuole e non può abbandonarli anche quando un nuovo affetto entra prepotentemente nel suo cuore, anche quando è presa di un intenso amore per un giovane conte vedovo ammiratore delle sue virtù che silenziosamente l'adora. E non esita a rifiutare la sua mano. Ma come se il destino vigilasse sui due innamorati gli avvenimenti che proseguono conchiudono il loro sogno ricongiungendoli nel perfetto amore e nella unione dei piccoli. Si raggiunge questo con scene originali che illustrano maggiormente l'animo della fanciulla. Un intrico abilmente ordito da un nemico del conte è per riuscire a trafugare la figlia di quest'ultimo affidata alla fanciulla. Ma i pulcini si svegliano nella notte, sentono rumore e come una nidiata sorpresa dal falco corrono in camiciola dalla loro mammina. Questa si alza e intraprende una lotta a corpo a corpo colla trafugatrice. È ferita, calpestata ma la bimba è salva. E al ritorno del conte la voce concorde dei piccoli invita entrambi a congiungersi nel bacio d'amore che consente a loro di rimanere per sempre uniti. Scena vigorosa, di alta sentimentalità e potente suggestione perchè ad essa contribuiscono non solo la visione esteriore, agile, raccolta in ritmi e linee spiccate ma pure una accensione di pathos vibrante che pervade l'anima dei personaggi. Ma quale preparazione, quanta genialità di invenzione quale pittura di tipi e caratteri precorre la conclusione. La vita nella casa signorile dello zio, la fuga, l'umiltà della sua parte di educatrice, la serata pirotecnica, l'incontro col conte, il primo sorgere dell'amore, il ritorno presso lo zio moribondo, la villa al mare coi suoi bimbi e via via episodi di maggiore e minore entità gettano sprazzi vivi di luce, colore di vita, brividi, di sensazioni. E tutto questo complesso di umanità nuova che emerge a fiotti è racchiuso in una eccellente cornice tecnica in cui i valori scenici, la mobilità, l'euritmica o aritmica, la plasticità degli uomini e delle cose hanno una loro prerogativa degna di apprezzamento. Gli interpreti hanno disimpegnato con nobiltà il loro compito. La Jacobini ha profuso tutta la sua sensibilità di donna e di artista in accenti vivi di umanità e di passione, il Novelli misurato e composto ha sempre conservato una linea stilistica ammirevole raggiungendo significazioni preclare mentre tutti gli altri furono larghi e generosi di virtuosità particolari» (Gulliver, “La Rivista Cinematografica”, a. VI, n. 6, 30.3.1925).
Camerini «si trasferisce alla Fert-Pittaluga di Torino, dove realizza quattro film, dei quali solo il primo, La casa dei pulcini (1924), prosegue la tendenza “d'autore” del precedente; il dépliant edito per l'occasione dalla casa (con testo in italiano, francese, inglese e tedesco) lo presenta come “commedia sentimentale di Mario Camerini, direzione artistica dell'autore”. [...] La scena in cui il conte dichiara l'amore alla ragazza fu l'ultima che avrebbe dovuto essere girata con l'attore Amleto Novelli; che però prima di farlo fu colpito da encefalite letargica e poco dopo morì. Il modo in cui Camerini riuscì a occultare la morte rivela parecchio sulla sua concezione classica del cinema; come egli testimonia e come conferma una foto deI dépliant, la scena fu girata in modo da inquadrare di spalle tre bambine con l'istitutore che guardano oltre una vetrata non trasparente in fondo campo, dietro cui si vedono le ombre di un uomo e una donna che si prendono le mani e si abbracciano. La critica accolse con favore questo finale, senza sapere che fu girato così per poter sostituire Novelli con una controfigura: il che anticipa molti equivoci critici sul cinema cameriniano, accettato favorevolmente solo in quanto si riteneva rinviasse a un personale universo poetico, ma ignorato come cinema prodotto dal genere e produttore di genere. Quella scena realizzava (occultando una di quelle scollature che solo il caso, e in primo luogo la morte, introdurrà nel classicismo cameriniano) l'ossessione del melodramma di riunire il maggior numero di personaggi in un'unica inquadratura. Se Novelli non fosse morto forse le bambine (già riunite in un abbraccio all'istitutore) guarderebbero i due in un'altra inquadratura, li unirebbe cioè il montaggio, o forse non ci sarebbe stato bisogno di inquadrare i due mentre sono guardati. Ma la presenza di un altro corpo, come quello della controfigura, benché non identificato, rappresentava una caduta troppo netta dalla fiction, sì da richiedere il recupero nell'inquadratura di altri personaggi legittimamente incarnati [...]. Il finale oggi invisibile di La casa dei pulcini è una delle tappe storiche del melodramma cinematografico italiano. Ne troviamo anche altre nella produzione di Camerini, benché in apparenza essa si sottragga alla subalternità al genere: la stessa definizione critica di «commedia sentimentale» o «comico sentimentale» tenderà a risolvere la contraddizione tra due generi sempre intrecciati, commedia e melodramma, nell'unitarietà dell'opera, nella poetica d'autore» (S. Grmek Germani, Mario Camerini, Firenze, La Nuova Italia, 1980).