Visto censura n. 14.315 del 1.6.1919; 1.900 metri.
Una copia restaurata del film della durata di 98 minuti (35mm, 1.799 m) è stata proiettata nel 2001 al Festival del Cinema Ritrovato di Bologna, con didascalie in spagnolo e accompagnamento al pianoforte del Maestro Gabriel Thibaudeau (velocità: 16 f/s). Provenienza: Filmoteca de la UNAM (Ciudad de México).
«La Maschera e il volto – dell’Itala – al Modernissimo di Roma. Luigi Chiarelli, Luciano Doria, Augusto Genina, l’Itala con Italia Almirante-Manzini e il Rossi-Pianelli, un vero stato maggiore di artisti, intorno ad una commedia che ha trovato nel pubblico accoglienze trionfali. La commedia o grottesco di Luigi Chiarelli, era troppo nota e troppo cerebrale per essere un facile soggetto: lo sceneggiatore, l’inscenatore, e gli attori avevano un rude compito da assolvere; ma la prova è stata felicemente superata. Ridotto l’elemento grottesco a semplice rappresentazione visiva, e cioè allo alternarsi ingegnoso e parsimonioso di scene serie con scene comiche; lasciata alla commedia la sua integrale tessitura, ma alleggerita del dialogo e quindi delle scene di humour che costituivano a teatro la parte più gustosa e felice del grottesco, il Doria ha opportunamente presentato al pubblico un rifacimento del lavoro, in cui dalla situazione centrale, che tanto ha fatto ridere le platee di tutta Italia, scaturiscono scene di serio e talvolta patetico interesse, tenendosi con la mano molto leggiera nel colorire, i quadri, le scene, le persone di quel grottesco, che a teatro è la fortuna della commedia, e che sullo schermo poteva essere la sua rovina. Insomma la trascrizione cinematografica si allontana dallo spirito informatore dell’originale e dalla sua forma verbale di tanto quanto era necessario, e cioè di tanto quanto il film è diverso dalla rappresentazione teatrale. E di questa, che può sembrare una deformazione della commedia, io sento di dare grande lode al Doria, al Genina ed allo stesso Chiarelli, se l’ha consentita e se vi ha collaborato. L’esecuzione di questo film è degna della grande casa torinese. La figura di Savina Grazia è mirabilmente sintetizzata, più che espressa, dal gioco scenico – breve e suggestivo – e dalla potenza plastica dell’Almirante Manzini: qualche suo atteggiamento, qualche suo sguardo restano indimenticabili. Il Rossi Pianelli ha resa con la consueta bravura e con coscienza d’artista il personaggio difficile e complesso di Paolo Grazia. A teatro Paolo Grazia – come attore – ha le risorse della parola – dialogo e voce – per esprimere il suo curioso dramma tra patetico e ridicolo: sullo schermo Paolo Grazia, non avendo che il gesto e l’espressione fisionomica, è riuscito convincente ed umano, nonostante la sua disavventura coniugale e quel curioso perdono alla infedele che ritorna pentita ed obliosa nella sua casa. Egregiamente gli altri attori; il Piergiovanni garbatamente caricaturale, e quei vari tipi di mariti e di amanti che si aggirano come corifei intorno a Paolo Grazia. Lussuosa la scenografia, interni di un mirabile gusto e di una stupefacente evidenza; scene di lago, di giardino, quadri all’aria libera felicemente resi, con la più viva prospettiva e con un senso pittorico della luce e dell’aria, che raramente si trova nelle riproduzioni fotografiche degli esterni. La fotografia perfetta. Un lavoro insomma senza peccato» (A. Spada, “Film”, a. VI, n. 38, 5.12.1919).