Mentre l’inverno si manifesta con neve e gelo, i paesini delle alte valli cuneesi, popolati ormai solo da pochi nuclei familiari, vivono, nel raccoglimento delle loro austere tradizioni alpine, la liturgia del Natale. I pastori, discesi dagli alpeggi, annunciano idealmente la buona novella con canti provenzali di spontanea ingenuità. Al loro richiamo rispondono tutti con gioia, mentre sono intenti a secolari mestieri di una società contadina che il tempo sta inevitabilmente corrodendo. Al vecchio telaio, al forno, al lavatoio di pietra, nella stalla, nelle baite, nel laboratorio artigiano, nella piccola scuola, uomini, donne, bambini, ragazzi, ragazze, vecchi eseguono gesti millenari, vivono attimi importanti di una quotidianità diversa, antica e anche il loro parlare, la  loro lingua – il patois provenzale – nobile di origini e di letteratura, è espressione di una dignitosa, forte, dolente minorità.