Altri titoli: Le Bourreau de Venise
Regia Gian Paolo Callegari
Soggetto Gian Paolo Callegari
Sceneggiatura Gian Paolo Callegari, Vittoriano Petrilli, Celso Maria Garatti, Giuseppe Mangione
Fotografia Massimo Dallamano
Operatore Ugo Nudi
Musica originale Ezio Carabella
Suono Raffaele Del Monte
Montaggio Loris Bellero
Scenografia Giancarlo Bartolini Salimbeni
Costumi Maud Strudthoff
Aiuto regia Luciano Sacripanti
Interpreti Armando Francioli (Bragadin), Massimo Serato (Orsenigo), Franca Marzi (Nicla Banich), Maria Grazia Francia, Giorgio Albertazzi (Giuliano), Luigi Tosi (Banich, il capo dei ribelli dalmati), Amparo Rivelles (donna Diamante Orsenigo), Roberto Risso (il Tintoretto), Nerio Bernardi (il doge), Enzo Fiermonte, Fiorella Ferrero, Nico Pepe, LinaToccafondi
Direttore di produzione Leopoldo Imperiali
Produzione Giorgio Venturini per Venturini Produzione
Note Nulla Osta n. 13.653 del 10.2.1953; 2.400 metri.
Supervisione: Vittorio Cottafavi; fotografo di scena: Raffaele Del Monte; organizzatore generale: Giampaolo Bigazzi
Prima proiezione pubblica: 10.2.1953.
Gli interni del film sono stati girati negli Studi FERT di Torino.
Sinossi
Orsenigo, comandante della flotta della Serenissima, trama contro il potere del Doge. Rientrato a Venezia dopo aver condotto un’azione contro i ribelli della Dalmazia, scopre che il Doge è assente e ne approfitta per cercare di assumere il potere della città. Fedele al Doge è invece Bragadin, giovane ufficiale innamorato di Nicla, la figlia del capo dei ribelli dalmati. Orsenigo chiede e ottiene la condanna a morte del capo dei ribelli e l’assegnazione di Nicla quale sua schiava. Bragadin si oppone con tutte le sue forze scatenando una rivolta. Il Doge, richiamato da un messaggio di Bragadin, fa ritorno a Venezia e punisce i ribelli.
Dichiarazioni
«Nel Cavaliere di Maison Rouge volevo far vedere la striscia di sangue lasciata dietro di sé dalla Rivoluzione Francese. Le vittorie rivoluzionarie sono sempre paradossali e questi paradossi possiamo metterli in risalto proprio attraverso l'ironia, il divertimento, il gioco. Come ne I piombi di Venezia, dove c'è un personaggio come il Tintoretto, estroso e folle, con l'amante che gli rompe le tele in testa... Naturalmente la critica dell'epoca non lasciava alcuno spazio per questo genere di cinema» (V. Cottafavi, in L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito. Giorgio Venturini alla FERT (1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
«Venturini si affezionava alle persone, chiamava gli stessi attori anche quando non c'entravano niente, però poi ci faceva lavorare, soprattutto perché spesso impostava la produzione di due film contemporaneamente. Nel Mercante di Venezia e nei Piombi di Venezia lavoravo tra Torino e Venezia e sono rimasto in piedi per quattro giorni di seguito, cadendo poi addormentato per quarantotto ore di fila. Sono film che non ho mai più rivisto. E li ricordo sempre con un po' di rabbia dentro. Non che Venturini cercasse intenzionalmente di sabotarli, ma quando servivano venti comparse, lui era costretto, per problemi reali, a metterne a disposizione soltanto dieci. E poi erano film d'evasione girati in un periodo in cui sembrava si dovessero fare soltanto film piuttosto impegnati» (A. Francioli, in L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito. Giorgio Venturini alla FERT (1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
«I Piombi di Venezia è il film gemello del Mercante di Venezia e viene affidato a Gian Paolo Callegari, giunto dopo l‘esordio dell’anno precedente in Eran trecento che non aveva corrisposto alle attese di una parte della critica che aspettava Callegari dopo il buon esordio come scrittore. Un suo dramma Cristo ha ucciso era stato infatti premiato a Venezia con il Premio Nazionale del Teatro. E soprattutto dopo ventitrè sceneggiature e otto aiuto-regie, era interessante vedere alla prova Callegari che lavorava sulle convenzioni del film di genere, in particolare lo storico. Convenzioni che si evidenziano in certi luoghi comuni formali difficili da superare, cari ai produttori e forse graditi al pubblico, inconsciamente. Ma era proprio in questi tratti particolari (abbigliamento, per esempio; modi espressivi; linguaggio ecc.) che invece si poteva intervenire, secondo Callegari non rivoluzionando ma correggendo certe storture. Sarebbe oltremodo interessante poter giudicare dalle immagini il lavoro e l’applicazione pratica di questi principi qualificanti e molto degni, ma [...] I Piombi di Venezia è un’altra delle pellicole scomparse nel buio dei maceri [...]. Armando Francioli ricorda un periodo faticosissimo di esterni a Venezia per Il Mercante di Venezia ed interni a Torino per I Piombi di Venezia, girando di giorno e viaggiando di notte fra le due città, fino al momento del collasso e ventiquattro ore filate di sonno in albergo: “Tutti mi credevano morto”» (L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito: Giorgio Venturini alla Fert 1952-1957, Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
«Malgrado il trionfo finale dell’innocenza, la violenza di alcuni episodi, alcune scene sconvenienti, l’esibizione di nudità, l’inopportuna presentazione di un personaggio travestito da prete, fanno ritenere sconsigliabile la visione del film» (“Segnalazioni Cinematografiche”, Vol. XXXIII, dispensa n. 13, 1953).
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