Altri titoli: Le masque de fer; Der Geheimnisvolle Gefangene
Regia Richard Pottier, Giorgio Rivalta
Soggetto dal romanzo omonimo di Alexandre Dumas padre
Sceneggiatura Dominique Vincent, Jacques Viot
Fotografia Arturo Gallea
Operatore Antonio Gasperini
Musica originale Ezio Carabella
Montaggio Loris Bellero
Scenografia Giancarlo Bartolini Salimbeni
Costumi Giancarlo Bartolini Salimbeni
Interpreti Pierre Cressoy (Enrico e Luigi XIV), Andrée Debar (Elisabetta), Armando Francioli (Roland), Nerio Bernardi (Saint-Maur), Luigi Tosi (Carcan), Xenia Valderi (Rosa), Olga Solbelli (regina Anna d’Austria), Miranda Campa, Sergio Bergonzelli, Adolfo Geri, Marcello Giorda
Direttore di produzione stripslashes(Vieri Bigazzi)
Produzione Giorgio Venturini per Venturini Produzioni Films
Note Nulla Osta n. 16.628 del 25.6.1954; 2.203 metri.
Sottotitolo: La maschera di ferro.
Il film è stato girato in due diverse versioni linguistiche. Il regista della versione francese è Richard Pottier, quello della versione italiana è Giorgio Rivalta (pseudonimo del produttore Giorgio Venturini).
Organizzatore generale: Giampaolo Bigazzi.
Prima proiezione pubblica: 29.7.1954
Il film è stato girato aTorino con pellicola Ferraniacolor.
Sinossi
Enrico è il fratello di Luigi XIV, ma ignora le vicende della sua nascita. Inaspettatamente arrestato dalle milizie reali, viene imprigionato e costretto a portare una maschera di ferro per nascondere la straordinaria somiglianza con il blasonato fratello. La regina madre, affranta dal dolore, cerca di farlo liberare, ma muore. Elisabeth, figlia del padrino di Enrico, riesce a liberare il ragazzo, in modo che questi possa incontrare il fratello, cosa che accade nelle Fiandre. Luigi XIV chiede a Enrico di comprendere i motivi delle ragioni di stato che hanno portato alla sua prigionia. Dopo una breve periodo trascorso nuovamente in carcere, Enrico viene liberato: vivrà la sua vita lontano dalla Francia.
Dichiarazioni
«Ai miei tempi capo operatore era Gallea, con cui ho lavorato moltissimo. Era un grande personaggio, ha anche vinto premi, nastri d'argento, era un grande direttore della fotografia. Sono stato anche assistente di Massimo Dallamano, con cui ho fatto due film a colori e allora Gallea mi volle con lui per il suo primo film a colori, Il prigioniero del re con Pierre Cressoy nel 1954. Avevamo ricostruito il Castello del Valentino dentro la FERT, per incendiarlo. Faceva talmente freddo che Gallea negli esterni si beccò un inizio di congelamento ai piedi. Dallamano oltre ad essere un grande direttore della fotografia, aveva il senso della messa in scena cinematografica, basti pensare che faceva i controcampi senza spostare la macchina da presa, semplicemente rivoltando la scena, in modo che quello che era ultimo diventava primo, attori, comparse, ecc., e la scena andava bene. Con lui lavoravamo in Ferraniacolor, una pellicola stupenda, ho conservato delle fotografie che sono rimaste inalterate dopo oltre quarant'anni» (A. Gasperini, in L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito. Giorgio Venturini alla FERT (1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
«Il prigioniero del re è il film grandioso su cui Venturini affida un bel mazzo di speranze, fondate sullo sforzo produttivo in un momento di difficili vicende organizzative, finanziarie e tecniche. Ma il soggetto francese – dal romanzo di Dumas padre - ispirato alla Maschera di ferro, garantisce un buon apporto di Vachsberg. Il regista innanzitutto, Richard Pottier. Non si creda infatti al coregista italiano: Giorgio Rivalta è in realtà lo pseudonimo di Venturini, ed è inserito per evidenti ragioni di nazionalizzazione del film. E poi gli attori: Pierre Cressoy è stato Giuseppe Verdi di Matarazzo, un miliardo di incasso con lire del ’53. André Debar è stata la bionda Porzia de Il Mercante di Venezia, ed ha lavorato con Rossellini nei Sette peccati capitali; e inoltre il bravo Armando Francioli. Intorno tutti i migliori comprimari e tenici. Luigi Tosi e Nerio Bernardi, fra i primi; Gallea, Carabella, Bartolini Salimbeni, i Bigazzi, fra i secondi. Non ho più rivisto il film dal ’54. Ne conservo vagamente il ricordo di alcune scenografie sontuose. E Vieri Bigazzi mi conferma un’impresa significativa. Il Palazzo Reale (o il castello del Valentino) fu ricostruito alla Fert per l’incendio finale. Non un modellino, dunque, ma una bella costruzione. Ormai milione più, milione meno, l’avventura e il turbine del ’54 torinese di Venturini erano in pieno rigoglio. Purtroppo l’accavallarsi delle difficoltà impedì la riutilizzazione dei materiali per un film gemello. Il risultato fu buono, 270 milioni, ma essendo venuto meno il recupero di una parte di costi, anche Il prigioniero del re, diede il suo contributo alle disgrazie» (L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito: Giorgio Venturini alla Fert 1952-1957, Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
«Si sono messi in due a fare un film che il solo aiuto regista sarebbe stato in grado di condurre a termine. [...] Non si può pretendere molto da un film di questo genere, ma questa volta le banalità sono troppe e troppo lunghi i piagnistei sulla triste sorte del re, sia con maschera che senza» (vice, “l’Unità”, 29.6.1955).
«La ragione di stato fa commettere ingiustizie, ma non giunge qui a conseguenze estreme. L’amor materno e il dolore della Regina, la condotta umana del Re, la generosità di chi sacrifica la vita per aiutare il prigioniero, sono gli elementi positivi del film. Una scena di tentata seduzione e uno scontro alla spada inducono a riservarne la visione agli adulti. La vicenda [...] non è condotta in modo da destare molto interesse. Discreto il colore» (“Segnalazioni Cinematografiche”, vol. XXXVI, 1954).
Scheda a cura di Valeria Borello
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