Il pranzo della domenica è il ritratto di una famiglia borghese di cui fanno parte, tra gli altri, un avvocato matrimonialista titolare dello studio legale lasciatogli dal defunto suocero, che rischia di perdere la moglie a causa della sua costante infedeltà; un giornalista che seguita a perdere posti di lavoro per il suo estremismo ideologico ed una donna che continua a cadere vittima di crisi depressive. Sono toccati, insomma, alcuni degli aspetti più visibili dell’attuale costume italiano: i fallimenti coniugali, il conflitto tra ideali e bisogni, le patologie da mal di vivere.
I dialoghi sono piacevoli, il ritmo scorrevole, gli interpreti spigliati; la caratterizzazione romana – frequentissima nei film dei Vanzina – è marcata. Pure, il film offre una gita a Torino, grazie ad un torneo di canottaggio che si svolge sul Po e a cui l’avvocato partecipa - ovviamente, in compagnia della segretaria -, vincendolo; per il legale è il pretesto per una scappatella con la propria collaboratrice, per lo spettatore l’occasione per ammirare il parco del Valentino e intravedere, in uno scorcio, la chiesa del Monte dei Cappuccini.
«Con Il pranzo della domenica i fratelli Vanzina (Carlo regista, Enrico e Carlo soggettisti e sceneggiatori) cambiano tono: realizzano una commedia più sentimentale che comica, un film corale sulla famiglia […] un quadro della borghesia romana contemporanea, con lo sguardo disincantato, saggio e indulgente della maturità. […] Un racconto che, più che analizzare fenomeni sociali o psicologici, allinea fatti e comportamenti con la pacatezza di Un medico in famiglia. […] Galatea Ranzi assicura finalmente al nostro cinema un’attrice non soltanto bella e brava, ma estremamente elegante: lo era già in Acqua e sale di Teresa Villaverde portando jeans e magliette, qui dove interpreta la direttrice del negozio romano di Armani è assai raffinata. […] Insieme con Torino (sede d’una gara di canottaggio sul fiume), Venezia mèta d’un secondo viaggio di nozze) e l’Umbria (dove Elena Sofia Ricci si rifugia per sottrarsi un poco alle fatiche della casa e dei quattro figli), Roma è lo sfondo della storia» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 30.4.2003).
Per cercare di inserirsi in uno dei più gloriosi filoni del nostro cinema, Carlo Vanzina «si abbandona alla suggestione evocatrice di pezzi di storia della commedia all'italiana, da Una vita difficile a C'eravamo tanto amati, da Speriamo che sia femmina a La famiglia, ma secondo un “impasto” di oggi e originale. […] Tutto a meraviglia? No. Vanzina ha paura di prendersi interi responsabilità e meriti. Sfiora la pienezza del risultato ma, per timidezza e autocensura, non lo afferra stretto. Il bicchiere è insomma mezzo pieno (o mezzo vuoto)» (P. D'Agostini, “la Repubblica”, 3.5.2003).
Peraltro oggi la commedia all’italiana non è più proponibile come quarant’anni fa. Sono cambiate le condizioni sociali del nostro Paese, sono cambiati i nostri sogni, i nostri ideali, sono cambiati (grazie soprattutto alla televisione) i gusti del pubblico, le sue abitudini percettive. «Orgogliosi eredi del “cinema di papà”, i fratelli Vanzina hanno trovato una loro chiave narrativa nella pacata ironia con cui raccontano i piccoli misfatti della vita contemporanea. Siparietti più o meno simpatici di una romanità diventata quasi “categoria dello spirito”. […] Trenta, quarant'anni fa il cinema degli Steno e degli Emmer riceveva senso da un panorama cinematografico meno compromesso. Oggi - piaccia o no - la fiction tivù ha fagocitato quegli spazi, lasciando al cinema poche alternative, che sicuramente non passano per questa strada» (P. Mereghetti, “Io Donna”, 10.5.2003).
Il pranzo della domenica, dunque, è un buon esempio di come oggi si può fare – si fa – commedia in Italia. «Piacevole, col gusto dell'appunto social-modaiolo, il film ricama con un sospetto di autobiografia collettiva e di classe sulle nostre contraddizioni affettive, anche se il gusto della battuta aggiornatissima registra sì usi e costumi dell'italiano medio, ma blocca un po' la partitura. Anche perché l'equidistanza conclamata degli autori, una battuta sul Berlusca e una su Bertinotti, impedisce che si faccia vera satira e si alzi il tiro poetico su fattori umani. Che sono però ben individuati, anche se con una ricerca da stereotipo tv da domenica sera […] Cast eccellente, la De Rossi e la Sofia Ricci non sono più interscambiabili, Galatea Ranzi è brava e elegante, Ghini se la spassa amaramente» (M. Porro, “Corriere della Sera”, 3.5.2003).