Regia Luciano Emmer
Soggetto Luciano Emmer
Sceneggiatura Luciano Emmer
Fotografia Bruno Cascio
Musica originale Stelvio Cipriani
Suono Marco Grillo
Montaggio Adriano Tagliavia
Effetti speciali Tiberio Angeloni
Scenografia Emita Frigato, Yvetta Kotcheva
Costumi Innocenza Coiro
Trucco Nilo Iacoponi
Aiuto regia Katia Franco, Didier Borgnis
Interpreti Sabrina Ferilli (Stefania - Elena - Stella), Olivier Pages (Bernard), Valérie Kaprisky (Iris), Eloise Eonnet (Avril), James Thiérrée (Enrico), Giancarlo Giannini (David), Thomas Cambe (Paul), Veronique Glesener (infermiera), Jerry Libardi (dj), Alain Holtgen (giornalista), Cathy Toublanc (stripteaseuse - infermiera - travestito), Eric Domeniconne (poliziotto), Vincent Pugliese (Coneierge), Gwendolyne Meunier (prostituta), Florent Saumgerten (maitre hotel)
Casting Jorgelina Pochintesta, Gianfranco Cazzola, Valeria Katina, Veronique Glaziou
Direttore di produzione Marco Pistoleri
Ispettore di produzione Stefano Canzio, Enrico De Lotto, Massimo Lentini (Torino), Claude Lodovichy, Eric Egon, Cristophe Marson (Lussemburgo), Jrome Boussier (Parigi)
Produttore esecutivo Roberto Bessi
Produzione Antonio Guadalupi e Roberto Bessi per Buskin Film, Factory
Distribuzione Columbia Tristars Film Italia
Note 2500 metri.
Testi della voce della radio: Mariano D’Angelo; assistenti operatori: Giovanni Angeloni, Patrizio Luigi Ciangola; aiuti operatori: Claudio Grifalconi, Carlo Dilani, Giuseppe Pagliardini; operatori della seconda unità: Angelo Santovito, Elio Bisignani; video control: Alias Gallione; fotografi di scena: Daniele Musso (Torino), Octavio Tapia (Lussemburgo); microfonista: Alfredo Petti; assistenti al montaggio: Francesca Bracci, Magda Noeli Valvo; assistente alla scenografia: Fabrizio Serralunga; pittore di scena: Giorgio Barullo; assistenti costumisti; Maria Laura Artini, Maria Rosaria Simioli; sarte: Carmela Tammaro, Filomena Monterisi e Giuseppina Dosa; parrucchiere: Enzo Cera; segretaria di edizione: Isabella Guio; coordinatore di edizione: Francesco Di Giorgio; organizzazione generale delle riprese: François Enginger, con la collaborazione di Elisabetta Sgarbi e Gwenaelle Simon; segretarie di produzione: Maura Guida, Francesca Di Marco (Torino), Paola Neves (Parigi); assistenti di produzione: Fabrice Annichiarico, Hussein Rhedoo; contributo alla produzione: MiBAC, Gentleman Film (Luxemburg).
Film realizzato con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte.
Locations: Torino (corso Grosseto, pasticceria Cauda in piazza Gran Madre), Parigi.
Teatri di posa di Telecittà a San Giusto Canavese (TO).
Premio "Francesco Pasinetti" (SNGCI) al Festival del Cinema di Venezia 2003.
Sinossi
Tre episodi: 1. A Parigi Elena si getta nella Senna sotto gli occhi di Bernard, un vagabondo, che la soccorre; i due trascorrono insieme una notte piacevole ed Elena recupera forza e ottimismo. 2. Il giorno del suo compleanno Stefania, una dattilografa divorziata che vive alla periferia di Torino, non riesce ad essere allegra: benché vivace e piena di risorse, sente la solitudine (i figli hanno ormai lasciato la casa). 3. Il pagliaccio e mangiafuoco Diabolique non può iniziare il suo spettacolo nel suo minuscolo circo perché stordito dall’alcol; la sua compagna, Stella, cerca di farlo rinvenire.
Dichiarazioni
«La scelta del nome della pellicola, dell’accostamento dell’acqua e del fuoco, è del tutto casuale, non risponde ad alcun messaggio intrinseco da esternare. È semplicemente il frutto di un’evocazione, di un’immagine che da anni continuava ad ispirarmi. Negli anni ’90, infatti, girai un cortometraggio sulla città di Foggia. L’acqua ed il fuoco sono i due simboli raffigurati sullo stendardo di questa città e la cosa è tornata a rimbombarmi nella mente mentre ero occupato con questo progetto. La scelta di Sabrina, invece è stata viscerale, puro istinto. I miei film hanno successo 50 anni dopo la loro uscita. Sono il regista “postumo” per eccellenza. Ma stavolta ho una sensazione diversa. […] L’inquadratura con cui si chiude la pellicola, un intenso primo piano della Ferilli, mette in evidenza una capacità di immedesimazione coraggiosa e disperata mai vista in nessuno degli altri attori con cui ho lavorato in ben 60 anni di carriera» (L. Emmer, http://redazone.romaone.it)
«Ho notato che sul set di Emmer sono tutti molto attenti al loro lavoro. Ma allo stesso tempo non sono soffocati in uno schema, in una direzione. C’è spazio per una sorta di improvvisazione, si possono suggerire le cose. Luciano non è una persona che parla moltissimo sulla scena, va piuttosto a correggere il tiro. […] Luciano ha molta energia sul set. Lo trovo davvero molto vigile, per nulla rilassato, non proprio disinvolto, direi: vede tutto, è molto attento. Allo stesso tempo capita che si diverta, ma sa governare il set, ha polso. Avrei voluto non lasciare il set. […] I personaggi di Emmer non si piangono addosso. Si percepisce che cercano sempre di spiccare il volo. Anche se le loro ali sono invischiate nel petrolio, cercano comunque di decollare» (V. Kaprisky, in S. Francia di Celle, E. Ghezzi (a cura), mister(o) Emmer. L’attenta distrazione, Torino Film Festival, 2004).
Nelle diverse cornici di Torino, Parigi e Bruxelles, il film propone tre ritratti di donne indipendenti tra loro, ma legate da un’identica condizione di solitudine e dalla loro capacità di reagire, di non darsi per vinte, di voler vivere dignitosamente nonostante le difficoltà. Luciano Emmer, uno dei grandi registi del cinema italiano, che esordì nel 1950 con Domenica d‘agosto ed ha realizzato in tanti anni di attività lungometraggi, cortometraggi, documentari, short pubblicitari di notevole valore, ripropone lo schema drammaturgico in base al quale ha sempre impostato i suoi film a soggetto: un insieme di vicende “piccole”, semplici, apparentemente banali, i cui protagonisti appartengono a classi sociali di modestissima levatura, ma dimostrano di possedere grande umanità e coraggio. Anche L’acqua…il fuoco è, in questo senso, un film lieve, “fragile”, privo di scene madri, di sviluppi narrativi sorprendenti, di momenti capaci di comunicare al pubblico forti emozioni. Anche qui, come consuetudine del regista, i personaggi femminili sono quelli al centro della messincena, perché più sensibili, più responsabili, più consapevoli di sé rispetto ai personaggi maschili. I problemi esistenziali delle tre donne interpretate da Sabrina Ferilli sono poco esplicitati, per nulla spiegati con gli strumenti della psicologia e della psicoanalisi, ma emergono poco alla volta, man mano che lo spettatore vede l’attrice muoversi, agire, parlare nell’ambito della sua quotidianità.
Nel cast dei bravi attori italiani e francesi scelti da Emmer spicca Giancarlo Giannini, che qui pare superare se stesso offrendo un esempio della sua eccezionale bravura nel ruolo del clown giocoliere che appare nel terzo episodio: la sua maschera dolente ci fa intuire l’angoscia, la disperazione di un uomo alcolizzato che non è riuscito ad uscire dal proprio doloroso passato, ma è ancora capace di profondo affetto e tenerezza. Non poche perplessità ha invece suscitato tra i critici l’interpretazione data dalla Ferilli, la quale si impegna con grande sincerità, ma rimane sempre piuttosto uguale a se stessa, dimostrando molti limiti sia nell’uso del corpo, sia in quello della voce. Ma anche lei appare meritevole di elogio (Emmer nella sua dichiarazione ricorda il bel primo piano finale dell’attrice) per l’intensità e a convinzione di cui dà prova nell’ultimo episodio che è senz’altro il migliore dei tre: «(fuoco batte acqua due a uno). Ecco, facciamoli pure i distinguo, dobbiamo farli: ho il sospetto che alcuni siano rimasti infastiditi dal primo, abbiano male sopportato il secondo e […] la cattiva predisposizione abbia nuociuto al terzo episodio, giudicato sbrigativamente. Si tratta invece di un risultato convincente, soprattutto per l’ambientazione, quella dei piccoli circhi familiari in cui i membri del gruppo fanno tutto, l’acrobata, il pagliaccio, il macchinista, quello che fa il giro col piattello, e così via. Tutto sommato, insomma, un esito inuguale ma degno comunque di attenzione e di rispetto, anche perché, in un panorama giustamente aperto alle giovani leve, la presenza di un veterano ci sta bene, è un segno di continuità» (E. Comuzio, “Cineforum”, n. 429, 2003).
Uno dei critici cinematografici che negli ultimi anni è stato più vicino ad Emmer, realizzando anche con lui qualche produzione televisiva, è Enrico Grezzi, il quale trova che esista una continuità tra i bellissimi documentari sull’arte che il regista ha realizzato più di quarant’anni fa ed i lavori degli anni Duemila: «Come mostrano insieme le prime elementari inventate estrapolazioni giottesche e gli ennesimi “ultimi film” elementari fin dai titoli (l’acqua, il fuoco, l’aura…), non si tratta mai di “pittura” come arte di passaggio e di anticipazione, garanzia d genealogia nobilitante o di dannazione dei nessi. Se mai, è una commedia dell’arte; e il cinema – immagine insieme rappresa e liquida (sta forse a chi lo ri-guarda la chance di rendere un istante di presente imprevisto o maivisto al già visto previsto o presceneggiato e stravisto) – è trasparenza sospesa tra i teatrini dell’illusione di vita (anche dell’arte stessa) e la costituzione architettonica implacabilmente materiale» (E. Ghezzi, in S. Francia di Celle, E. Ghezzi (a cura), mister(o) Emmer. L’attenta distrazione, Torino Film Festival, 2004).
«Ci fu un periodo negli anni Cinquanta in cui Luciano Emmer veniva definito, insieme ad Antonio Pietrangeli, “il regista delle donne”. […] ha rivisto in Sabrina Ferilli l'interprete ideale cui affidare il suo nuovo trittico al femminile. Storie di donne forti ma tradite e maltrattate dalla vita, i tre episodi di L'acqua... il fuoco sarebbero sulla carta perfetti per un'interprete di temperamento come la Ferilli. Sulla carta appunto. L'artificiosità della messa in scena stride sin dal primo episodio con il presunto realismo del racconto. Gli innaturali monologhi di Stefania che scandiscono questa storia di quotidiana desolazione sono solo la prima nota stonata del film. La faccenda si complica con le grottesche entrate/uscite dell'amica snob Valerie, l'incontro con un idraulico dall'accento francese e il goffo scippo del ragazzo in bicicletta. Quanto basta per azzerare la spontaneità della Ferilli e lasciarla sperduta in balia degli eventi. Come benzina sul fuoco irrompe l'episodio successivo con una Ferilli versione Nouvelle Vague, con basco alla parigina, impegnata a farsi salvare e a redimere un fascinoso clochard sulle rive della Senna. L'incendio sembra affievolirsi nel capitolo belga del trittico, in cui la strenua lotta per la stabilità della protagonista è resa con forza dalla Ferilli, sostenuta da un bravo Gíannini con gli occhi bistrati da clown. La visione d'insieme resta però desolante, spenta come la fotografia smorta di Bruno Cascio» (F. Zippel, “Film” n. 70, luglio-agosto 2004).
Scheda a cura di Azzurra Camoglio
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