«La morte di Abdellah è il pretesto per descrivere il presente di una città e una società dove si parla ancora di discriminazione, di diritti negati e abusi, dove si sostiene, facendo leva su sentimenti razzisti, l’uguaglianza immigrato/criminale. Un oggi in cui per molti non è possibile ottenere condizioni di vita che permettano un’esistenza libera e dignitosa» (Armando Ceste, www.torinofilmfest.org).
«La storia di Abdellah risale a tre anni fa; ieri, dunque: un episodio talmente vicino che camminando per i Murazzi sulla riva del Po, a Torino, si sentono ancora le urla di Abdellah che annega. [...] Un lavoro, quello di Armando Ceste, il regista, che è una vera e propria denuncia nei confronti dell’intolleranza. Cinquantasei minuti in cui è ricostruita non solo la scena dell’omicidio di Abdellah, ma anche quella di Khalid, un altro marocchino morto annegato sempre ai Murazzi, due anni prima. [...] La camera entra in quello che è stato definito il "lager" di corso Brunelleschi, meglio conosciuto come "Centro di detenzione temporanea per immigrati". Ceste intervista la gente del posto per cercare di capire il perché delle loro preoccupazioni nel vivere a stretto contatto con "l’altro". Dunque il suo è, in un certo senso, uno sguardo pasoliniano sui mille volti di una città, fatta di strati sociali disposti in ordine di importanza. Non risparmia attacchi politici mediante un singolare montaggio dal quale emergono satire nei confronti di slogan come: "Tolleranza zero" o "Città più sicure". La storia di Abdellah e Khalid permette a Ceste di dar vita ad un quadro neo-realistico della vita di città, di affrontare il problema dell’immigrazione partendo proprio dalla base: l’incomunicabilità fra diversi» (www.cinemavvenire.it).
«L\'allusione al capolavoro di Visconti non deve lasciar perplessi: il parallelo con i famigerati nostri emigranti [...], sulle cui rimesse si fondò parte del boom economico e ai quali la sinistra ha voluto regalare il voto, quei famosi italiani lontani su cui spesso i fasci piangono commossi, si trovarono nelle stesse situazioni di questi poveri maghrebini che ai Murazzi vengono picchiati, vilipesi, ammanettati e scaraventati nel fiume. Annegati con l\'intenzione di uccidere. Anche in questo caso basterebbero le immagini senza la recitazione di Beppe Rosso, che confrontato con la passione intensa degli stralci in arabo risulta ridimensionato enormemente. Però il rigore della ricerca fatta di articoli giornalistici e citazione degli atti giudiziari non viene inficiato dal piglio alla Santoro ("Andiamo a vedere") che defluisce dagli atteggiamenti inquisitori. Inchieste che rischierebbero di riportare al livello freddo e rigoroso del danese la percezione della realtà, laddove invece si tratta di sangue e forti pressioni emotive, sono ribaltati dagli efficacissimi inserti audio di Freddy Giuliani e Steve Morino (mitici caini dell\'etere torinese dai 97,6 di Radioflash), le canzoni dei 99 posse che chiudono dopo aver aperto il video, eccellenti perché poco cattedratiche le analisi di Younis Tawfik e Don Luigi Ciotti, due altri faziosi che animano il video, movimentato anche da inserti estemporanei di recite di ragazzini, ricostruzioni del fatto principale. L\'omicidio di un emigrante per ragioni di ignobile razzismo indotto dalle campagne xenofobe dei media. Purtroppo la recitazione e la lunga verbosa tirata di Rosso ad un tavolo di ristorante - ovviamente etnico - inficiano le denuncie tratte dai verbali: "… il delitto privo di movente... lasciar deliberatamente annegare un uomo...", finiscono con il perdere efficacia. O comunque a diluirsi in denunce molto meglio impostate, quali le condizioni di sopravvivenza, le violenze subite, l\'atteggiamento di chiusura di persone con spiccato accento meridionale (e che dovrebbero ricordarsi le umiliazioni patite al momento della loro emigrazione, accortamente montata nelle immagini in modo da alternare i documenti attuali a sfocate immagini in bianco e nero che sembrano provenire da secoli fa) che si sommano ai casi di protervia piemontese: riprese con grande efficacia in modo da evidenziare la furia, l\'incapacità di confrontarsi dovuta all\'accecamento da media nelle interviste davanti al lager di corso Brunelleschi. Per fortuna di Armando Ceste la dabbenaggine dei civich (vigili urbani nel vernacolo locale) è tale che riescono a farsi riprendere mentre arrestano un venditore armato di menta - e non è gergale per definire qualche stupefacente sostanza - regolarmente importata con tanto di fatture; e questi riescono anche a esercitare il loro rude potere sull\'operatore, oscurandolo. E qui si evidenzia la splendida faziosità, l\'incredibile capacità sinaptica del regista torinese, che alla manna piovuta dal cielo con le fattezze delle uniformi degli sbirri unisce l\'immagine riassuntiva e commentativa. Campeggia in tutto il suo fulgore un manifesto di quelli che ci stanno rovinando il paesaggio con la loro grafica da \'48: "Un impegno preciso: città più sicure grandangoli inquietanti e la ricompone nella sua integrità» (www.cinemah.com/reporter/torino/2000).