Altri titoli: Like Fossils
Regia Luca Pastore
Soggetto Maurizio Pellegrini
Sceneggiatura Maurizio Pellegrini
Fotografia Luca Pron
Operatore Raffaella Paisio
Musica originale Raggio Anti-Morte
Montaggio Claudio Staniscia
Direttore di produzione stripslashes(Beppe Anderi)
Produzione Elena Filippini e Stefano Tealdi per Stefilm, Logovideo, Videoastolfosullaluna
Note
Post produzione: Medialogos; coproduzione: Rai Sat in collaborazione con Regione Piemonte. Consulenza e ricerche storiche di MArcello Vaudano, Simonetta Vella, Aurora Zedda.
Il materiale d'archivio presente nel documentario è tratto da: Fabbrica Drapperie Lora Totino (1913) per gentile concessione del DocBi (Centro per la documentazione e tutela della cultura Biellese), Stabilimenti tessili Zegna (1939), Le opere assistenziali del Lanificio Fratelli Zegna (1940) per gentile concessione del Lanificio Ermenegildo Zegna, Peregrinatio Mariae (1949) per gentile concessione dell’Amministrazione Santuario N.S. di Oropa.
Locations: Biella, Valle del Torrente Cervo, Valle di Mosso Santa Maria.
Premio Andrea Pazienza a Luca Pastore “per l’uso inventivo e originale delle immagini e della grafica” (Premio del Documentario Italiano Libero Bizzarri 2001).
Sinossi
«Biella. La più grande ed impressionante area industriale tessile in Italia è ora una sbalorditiva concentrazione di edifici vuoti e strutture industriali abbandonate. Sfuggite in modo fortuito alla demolizione, evitate dal recente sviluppo urbano e rimosse dalla memoria collettiva, questi relitti architettonici sono parte del paesaggio, come fossili cristallizzati nel tempo. Architettura e ricordi sono portati sullo schermo in un ostile visuale emozionante. Un tentativo di trovare una soluzione tra cancellare le tracce del passato e mantenere vivi gli sforzi della generazione che impegnò la propria vita per un futuro migliore attraverso il lavoro» ( www.stefilm.it).
Dichiarazioni
«Un documentario senza interviste o voci umane può sembrare un paradosso. Ma d’altronde i protagonisti di questo film sono muti. Enormi scatoloni vuoti, silenziosi ma assordanti nel continuo rimbalzo degli echi di voci, rumori e suoni che li hanno abitati. Abbiamo dapprima cercato di raccontare le storie di coloro che hanno vissuto e sopratutto lavorato nelle vecchie fabbriche, selezionando e incollando decine di interviste, quasi a comporre un coro-colonna sonora che narrava storie di lavoro, esperienze umane del passato e del presente che si erano svolte in quei grandi e freddi contenitori. Ma, appunto, quelli che dovevano essere i protagonisti del film, gli edifici, diventavano così la scena, l’involucro delle storie degli operai e operaie che li avevano vissuti come casa o più spesso prigione. Abbiamo quindi cambiato strada, tentando di trovare un modo meno “razionale” per raccontare il vissuto delle fabbriche stesse, attraverso un coinvolgimento emotivo dello spettatore, cercando di rendere le sensazioni che si provano camminando in un lanificio abbandonato conoscendone il vissuto umano. Il senso di abbandono, di vuoto, di vestigia monumentale, di freddo, di sterilità, di assenza di vita; la sensazione di percorrere un luogo che per qualcuno è stato molto importante, cercando di coglierne una traccia; l’osservazione dei segni che indicano una trasformazione di quegli spazi, una nuova funzione, magari marginale e nascosta ma solo apparentemente inutile. Il colore livido, la ricostruzione quasi cubista delle fabbriche cercando di renderne la dimensione mentale e surreale, da castello incantato e lugubre a un tempo, in un gioco di scatole-immagini che contengono parti di scatole-edifici; il rumore dei telai, vera voce dei giganti di cemento quando erano ancora vivi, che ritorna come un refrain in mezzo a musiche fatte spesso di rumori, di acqua che sgocciola all’interno e scorre all’esterno, di cinguettii che indicano un riappropriarsi da parte della natura di tutto quello spazio vuoto. Le immagini della città, di coloro che la abitano, delle nuove fabbriche e di quelli che ci lavorano in mezzo allo stesso rumore che rimane nelle orecchie e nel cervello anche all’interno di una fabbrica ormai rudere. La musica è la vera voce fuori campo che accompagna lo spettatore, commento costante e irrazionale al viaggio, insieme ad alcune brevi frasi scritte che diventano sintetici suggerimenti, quasi titoli di capitoli non approfonditi in modo didascalico ma esclusivamente sul piano emotivo. E poi due brevi scorci di realtà viva, con le persone al supermercato che per un attimo, in modo fuggevole e “televisivamente” sbrigativo, tentano di dare un senso ai fossili del passato» (L. Pastore, nel pressbook della Produzione, 2001).
«Un viaggio, sospeso tra memoria e presente, tra le fabbriche abbandonate della Provincia di Biella, culla dell’industria laniera italiana. Fabbriche e ciminiere diroccate, case e villaggi operai, uomini e macchine diventano gli elementi di un paesaggio desolato e surreale, dove gli edifici acquistano un rilievo monumentale, reso ancor più evidente dai segni del tempo e dell’abbandono, e i volti degli operai evocano un passato industriale ricco di vicende umane e sociali. Nella provinciadi Biella […] è davvero considerevole la concentrazione di edifici industriali dismessi. Rimossi dalla memoria collettiva, emarginati dal recente sviluppo urbanistico, casualmente scampati all’abbattimento, questi resti architettonici sono parte di un paesaggio dove il vecchio si confonde con il nuovo e dove fabbriche e ciminiere si stagliano all’orizzonte come chiese e campanili. […] Questo documentario, lungi dal tracciare una ricostruzione storica o una catalogazione dei reperti archeologici del territorio, costituisce un percorso visivo che riscopre la valenza estetica e storica di un patrimonio spesso trascurato, o semplicemente ritenuto “brutto”, inutile e fonte di problemi. Lo sguardo è straniante: nell’abbandono, nell’osservazione di architetture vuote, di forme essenziali l’occhio scorge la fabbrica in prospettive via via differenti: rifugio per emarginati, monumento della memoria, cattedrale pagana, scheletro abbandonato “tra il nulla e il nulla”, retaggio materiale e spirituale di una civiltà. […] Gli scheletri delle fabbriche regalano una personalità a una città altrimenti anonima, ma non le tolgono un senso di cupezza, di grigiore, che pare riflettersi nei volti dei suoi abitanti ed esprimersi in chiusura, disagio, emarginazione. E oltre quegli spazi urbani, nelle valli sempre più spopolate, quegli scheletri sembrano sprofondare in una “no man’s land”, dove la terra seppellisce i detriti di una civiltà e ritorna padrona dello spazio e del tempo» (M. Pellegrini, nel pressbook della Produzione, 2001).
Scheda a cura di Franco Prono
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