Premio Filmmaker 1982; Premio Gazzetta del Mezzogiorno al Festival Cinema e Mezzogiorno d'Europa di Lecce 1982.
«La televisione trasmetterà solo una parte di questo film che dura 38 minuti. Girato in poche ore nell'appartamento di un personaggio che non si è espresso pubblicamente in prima persona, uno spacciatore di droghe pesanti. Non esprime commenti e risulta tanto crudo da non averne bisogno. Una stanza spoglia, un corpo con !a testa fuori campo, una voce che inventa delle canzoni, spiega perché il mondo della droga è un mondo da dimenticare e parla dei piccoli meccanismi non sentendosi all'altezza di spiegare quelli del mercato internazionale. Con lucidità traccia una mappa, parla della sfera del grosso spaccio (i rispettabilissimi) quelli che non guardano in faccia nessuno, ma badano solo ai soldi, la seconda sfera, meno rispettabile, quella degli ex detenuti che sanno farsi rispettare. E infine i piccoli spacciatori, che si .fanno e che per comprare devono anche vendere. Oltre a questo ci sono quelli che non hanno più fiducia, quelli distrutti .che te ne fanno di tutti i colori, il proletariato della droga. Mentre viene fatta questa analisi mai distaccata, la camera segue i movimenti in cucina, luogo privilegiato di molti film del giovani regista torinese. Questa volta non ci si scambiano confidenze sulla vita, si aspetta che la siringa abbia finito di bollire» (S. Silvestri, “il manifesto”, 16.6.1983).
«La personalità di spicco, fra i torinesi. e, in assoluto, tra tutti i registi presenti a Bellaria, ci è parsa quella di Daniele Segre [...] il lavoro presentato fuori competizione, Ritratto di un piccolo spacciatore, è di grande interesse. In uno spoglio interno di periferia, la telecamera registra le esibizioni del protagonista, un piccolo trafficante di “roba”, sempre ripreso dal collo in giù, che, con una torrenzialità dovuta solo in parte ai cocktail di eroina e cocaina, recita con il corpo e le braccia, perfino con la sigaretta accesa, risponde al telefono, riceve ospiti-clienti, improvvisa musica e parole di una canzone su droga ed esistenza, accumula con caotica lucidità aforismi di filosofia spicciola. A prescindere dall'impatto emotivo, dal “dato” reale, siamo ormai al di là della soglia dell'autorappresentazione, in quanto l'attore in quel momento schiaccia il personaggio, come in American boy, un mediometraggio di Martin Scorsese straordinario e analogo nella diversità, che pure il regista ci ha assicurato di ignorare del tutto» (P. Vecchi, “Cineforum”, 2.9.1984).
«[...] proprio il film che Segre gira nel 1982, Ritratto di un piccolo spacciatore, annuncia il primo grosso scarto da una norma documentaria consolidata. Difatti, come annuncia il titolo, è soprattutto un ritratto di un essere umano a cui paradossalmente manca un volto. Il che sembrerebbe una negazione legata a motivi di sicurezza per lo spacciatore ma è invece una scelta estetica, od anche etica, che spesso in Segre è un qualcosa abbastanza vicino all'estetica. Per circa 40 minuti la macchina segue non tanto i preparativi - che potrebbero essere il succo, lo shock del film - all'ennesimo "buco" audiovisivo, quanto le storie e la storia del piccolo spacciatore, la sua filosofia esistenziale, gli arredi della casa, il suo delirio sociopolitico neanche tanto fuori dai binari, le canzoni di Guccini cantate per mostrare la lucidità dopo il buco, le invettive contro il mercato della droga, la sua serenità (apparente?), il contrasto tra l'immaginario terroristico, melodrammatico, del pianeta drogati e quella semplicità di modelli visivi autenticamente realisti, e dunque quasi provocatori, visto che sfidano il modo comune di osservare certi fatti. Finché, con un procedimento di sostituzione quasi naturale, anche quel volto negato viene assegnato dagli spettatori a loro osservazioni extracinematografiche» (G. Olla, in A. Floris, a cura, Daniele Segre - Il cinema con la realtà, Editrice CUEC, Cagliari, 1997).