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Lungometraggi |
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Testadura
Italia, 1983, 16mm, 90', Colore
Regia Daniele Segre
Soggetto Daniele Segre, Rossana Lavarino
Sceneggiatura Daniele Segre, Rossana Lavarino
Fotografia Ali Reza Movahed
Musica originale Ciro Buttari
Montaggio Maristella Bassi Mangiarotti
Interpreti Rossana Lavarino (Rossana), Daniele Segre (Daniele), Massimo Aymone (Massimo), Paola Poncino (Paola), Sonia D’Ambrosio (Sonia), Danilo Giolmo (Danilo), Gino Buttari (Gino)
Produttore esecutivo Mario Alessio
Produzione I Cammelli, Augusta Audiovisivi
Sinossi
Primo lungometraggio di finzione di Segre sulla realtà di un microcosmo giovanile fatto di scelte ostinate, di quotidianità faticose e di complicati rapporti interpersonali. Protagonista è «Rossana, una ragazza d'oggi come tante protagoniste di una vicenda come tante in un'assolata Torino all'inizio dell'estate. Rossana è giovane, sola, innamorata della vita. Ha una figlia, Gaia, di sei mesi dalla quale non vuole separarsi nonostante le difficoltà di mantenerla senza la presenza di un padre che pensi a entrambe. Allora, un giorno, decide di partire per il Costarica, di cambiare la sua esistenza, di tuffarsi in quel sogno che, in pratica, sembra esserle negato. Saluta tutti gli amici, a ciascuno esalta la sua scelta di descrive le sue speranze; da ciascuno riceve consigli, confessioni, gesti d'affetto o d'indifferenza. Ma la partenza per il Costarica è un sogno che non si potrà mai realizzare e quindi, dopo un lungo silenzio, Rossana ricomincia a camminare per la sua città, un po' più triste, un po' più sola» (A. R., “Il Tirreno”, 12.6.1986).
Dichiarazioni
«Non è stato facile. Mi son trovato a dover fare i conti con un diverso modo di far muovere la macchina, con l'esigenza di raccontare. Credevo di sapere quasi tutto quello che c'è da sapere, invece no. Ogni giorno c'era un problema nuovo e diverso. Non ho dormito notti intere per l'angoscia. Pensare alle esperienze altrui ti aiuta come stimolo, ma poi ti ritrovi solo a dover decidere dove piazzare la cinepresa. Ho fatto molti errori, che ti condizionano anche sul piano economico. Per esempio. decidendo di lavorare a Torino con gente di Torino. È una forma di idealismo costosa: qui le attrezzature, per esempio, costano il 40% in più che a Roma, perché non c'è mercato. D'altra parte, amo la città, anche nei suoi aspetti negativi. Mi stimola la sua dimensione intellettuale, l'entusiasmo per le cose nuove dimostrato negli ultimi tempi. È la dimostrazione che niente è impassibile, se veramente ci credi. Una questione di fede» (D. Segre, “La Gazzetta del Popolo”, 23.1.1983).
«Ho messo su una mia casa di produzione, I cammelli, in cui ho investito i soldi guadagnati lavorando per la Rai - ho tatto tredici lungometraggi dal 1976 ad oggi - il cui motto è "O sei un cammello o muori per strada". Il film mi è costato in tutto cento. milioni e ora, quando verrà proiettato, aspetto il responso del pubblico perché dalla sua riuscita dipenderà in gran parte il mio futuro...» (D. Segre, “Il Messaggero”, 31.7.1983).
«Testadura rappresenta un periodo preciso, anche storico della mia vita e di persone che vivono in città, che hanno vissuto il tempo delle parole, non dei fatti, dove si registra una dimensione di annullamento, dove il bisogno di essere protagonisti si smarrisce nei sogni che non si realizzano. Tutti i personaggi, tranne me e Rossana che parte, sono lì posteggiati seduti, fermi immobili è la fotografia di un momento che ci è appartenuto» (D. Segre, “La Gazzetta di Reggio”, 21.10.1984).
«Dice che senza i riconoscimenti ottenuti al Festival Cinema Giovani di Torino, non sarebbe riuscito a fare Testadura, il suo primo incontro con il cinema narrativo dopo le esperienze documentarie (più di una dozzina. nell'arco di cinque-sei anni) che pure gli hanno conferito una discreta notorietà. C'è da credergli, anche se testa dura Daniele Segre lo è veramente, e all'opera prima di fiction ci sarebbe comunque arrivato, con le sue forze. Dimostrazione che il cinema si può fare anche in una città dove manca una "scuola" e di strutture produttive neanche a parlarne. Prova che la passione per il mestiere fa saltare gli ostacoli, abbrevia i tempi, accorcia le distanze. [...] E così ha fatto tutto da solo: cento milioni di budget, attori esordienti, una troupe ridotta ma professionale, cinque settimane di riprese» (A. Barbera, “La Gazzetta del Popolo”, 23.1.1983).
«Testadura, testadura: così, senza stacco tra i due termini e privo di qualsiasi altro commento, fin nel titolo doveva proprio essere l'opera prima di lungometraggio firmata da Daniele Segre [...] Il personaggio dalla testa dura ch'egli stesso raffigura non è positivo né negativo: vive, esiste, sbaglia alla pari di mille altri sullo sfondo di una metropoli come Torino così ostica e così prediletta. Con Rossana Lavarino, che fu la sua donna e che gli ha dato una figlia, Segre non gioca la commedia del simpatico mascalzone che mette la testa a partito. Il loro rapporto, impietosamente scrutato da una cinepresa mossa in modo personalissimo, si conclude dolorosamente. Rossana con la bambina parte per la Costarica, Daniele con la cinepresa rimane in Italia a confessarsi» (G.T., “La Stampa”, 24.11.1983).
«Segre, con la determinazione cocciuta che ostenta nel titolo stesso, si attribuisce la parte sgradevole dell'antagonista, preso in un ribellismo di maniera e in un aspro rifiuto dei sentimenti. Così Rossana, che lo abbandona con la figlioletta per un'esperienza nuova in Costarica, sarà il termine esatto delle sue delusioni. Mentre la donna cerca di scrivere (o meglio d'imparare a scrivere) e passa in rassegna gli amici alla vigilia della partenza, il suo ex compagno non sa offrirle che un rifiuto. Quantunque pecchi di letterarietà nei dialoghi messi in bocca a persone incolte e manchi di luminosità nella disadorna fotografia, Testadura s'impone per la consapevolezza del dolore e del fallimento, i quali aleggiano di sequenza in sequenza su una Torino grigia e sfiduciata - ma bella, tutta da conquistare - che fa da controcanto all'ostile agitarsi di Daniele nei confronti di Rossana, del passato, del cinema forse» (P. Perona, “Stampa Sera”, 29.2.1984).
«[...] un film disperatamente controcorrente, di una sincerità totale, cocciuto come il suo titolo è Testadura di Daniele Segre. L'assenza di furbizie, di facili alchimie di mode e miti d'oggi gli fa perdonare anche dei difetti e delle disomogeneità molto forti. Segre è al suo primo film di finzione, ma ha alle spalle un fittissimo e assai apprezzato lavoro nel campo del video e del documentarismo giovanile-marginale. Il passaggio al cinema raccontato non gli ha fatto dimenticare o rinnegare la sua capacità di catturare i linguaggi non scritti, i ritmi allentati della vita reale, le confessioni in diretta davanti all'obiettivo. Nella storia di una ragazza che si sta preparando a lasciare la sua città, gli amici, una coabitazione che non riesce più a sopportare per trasferirsi lontano, in Costarica, si inseriscono personaggi e discorsi di una generazione, quella dei trentenni, che è stata caratterizzata dalla determinazione e dalla radicalità. Nel terrorismo, nella droga oppure, come in questo caso, nei sentimenti e nella difesa delle proprie scelte di vita. Dei giovani per i quali la distanziazione autoironica non è possibile, che si buttano nel film con le loro voci, le loro insicurezze, portandosi addosso la loro sincerità e in braccio i loro bambini di pochi mesi (una presenza anomala nei film “giovanilistici”, e molto emozionante)» (A. Farassino, “la Repubblica”, 12.9.1983).
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