Regia Enzo Monteleone
Soggetto dal libro autobiografico di Horst Fantazzini
Sceneggiatura Enzo Monteleone
Fotografia Arnaldo Catinari
Operatore Giovanni Angeloni
Musica originale Pivio De Scalzi, Aldo De Scalzi
Suono Antonio Barba
Montaggio Cecilia Zanuso
Scenografia Simona Garotta
Costumi Andrea Viotti
Trucco Maurizio Trani
Aiuto regia Alberto Mangiante
Interpreti Stefano Accorsi (Horst Fantazzini), Fabrizia Sacchi (Teresa), Antonio Catania (il sostituto procuratore), Emilio Solfrizzi (il brigadiere Lo Iacono), Giovanni Esposito (l’appuntato Di Gennaro), Paolo Graziosi (il colonnello Tagliaferri), Andrea Lolli (il maresciallo Juliano), Antonio Petrocelli (il direttore del carcere), Alessandro Haber (l’avvocato Mazza), Francesco Guccini (il padre di Horst), Fabio Ferri (Calimero), Alessandro Lombardo (il brigadiere Santillo), Antonio Mazzara, Maurizio Santilli, Nicola Siri
Casting Fabiola Banzi, Lorella Chiapatti
Direttore di produzione Emanuela Carozzi
Ispettore di produzione Stefano Benappi
Produttore esecutivo Mino Barbera
Produzione Gianfranco Piccioli per Hera International Film
Distribuzione Columbia TriStar Italia
Note Collaborazione alla sceneggiatura: Angelo Orlando; assistente operatore: Alberto Torrecilla; operatore steadycam: Marco Pieroni; fotografo di scena: Enrico Appetito; suono in presa diretta; canzoni: Stagiuin di de Scalzi-Pivio-Di Marco, Pazza idea di Monti-Gigli-Dossdena-Ullu, Il frutto verde di Lucarelli-Luberti-Dossena, Sao Salvador de Bahia di Baselli-Canfora; montaggio del suono: Alessandra Perpignani; assistente al montaggio: Alessandro Baragli; assistente scenografa: Francesca Rotondo; parrucchiera: Maria Vittoria Cascioli; altri interpreti: Paolo Belletrutti, Danilo Bertazzi, Claudio Bertoni, Giacomo Bisacca, Giuseppe Cardascio, Alessandro Casale, Diego Casale, Tiziana Catalano, Carmelo Dovere, Vanessa Giuliani, Luigi Lana, Michele Napoleone, Salvatore Rizzo, Angelo Scremin; segretaria di edizione: Fernanda Selvaggi; amministrazione: Gianna Diqual; produttori associati: Unistudio, Micla Film; collaborazione alla produzione: Rai Radiotelevisione Italiana.
Film realizzato con il sostegno del Dipartimento Spettacolo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.
Riprese effettuate a Torino, Saluzzo, Savigliano, Fossano, Cuneo, Trieste e nei teatri di posa Unistudio, Torino.
Sinossi
Horst Fantazzini, anarchico, è convinto che fondare una banca sia più criminale che rapinarla: soprannominato dalla stampa “il rapinatore gentiluomo”, durante le sue rapine non ha mai esploso un colpo di arma da fuoco, ma proprio per questa sua carriera criminale fuori dalle righe è stato condannato a più di venti anni di carcere. 23 luglio 1973: rinchiuso nel carcere di Fossano, cerca maldestramente di evadere. Ferisce accidentalmente due agenti penitenziari e si barrica negli uffici prendendo i due in ostaggio. Mentre il sostituto procuratore cerca in ogni modo una soluzione pacifica, un gruppo di tiratori scelti si apposta fuori dal carcere. Fantazzini pensa di aver ottenuto l’auto e i due milioni richiesti per il rilascio degli agenti, ma una volta varcata la soglia viene raggiunto da una scarica di proiettili. Si salva, ma per lui si riaprono le porte del carcere.
Dichiarazioni
«Fare cinema è un mestiere strano. Te ne capitano di tutti i colori. A volte ti può capitare anche di girare un film a Torino e dintorni. A me è capitato quando ho realizzato Ormai è fatta! E’ un film che racconta di rapine in banca e di evasioni da vari carceri. E’ una storia vera e il mio protagonista ha “operato” in Piemonte, perciò mi sono documentato e ho fatto i sopralluoghi. Durante un luglio dal caldo atroce (i giornali dicevano che era un secolo che non faceva così caldo!) sono andato in giro in macchina a vedere il carcere di Fossano, dove si era svolgo un drammatico tentativo di evasione finito con una sparatoria, ma il carcere era ancora in funzioni e non si poteva girare lì. Voglio dire che c’erano ancora detenuti e guardie e che una troupe cinematografica avrebbe creato un tale casino che sicuramente molti detenuti ne avrebbero approfittato per tentare un’evasione. Allora siamo andati a vedere il vecchio carcere di Alessandria, oramai abbandonato. Vegetazione selvaggia dappertutto, porte sfondate, muri sbrecciati: grande casino, ma impossibile da utilizzare: troppo rovinato. Ho notato una cosa: tutti i water erano stati divelti. Qualcuno se li era portati via? Boh! Siamo stati nell’ex carcere minorile di Bosco Marengo. Una volta era un monastero. Grande atmosfera, cortili interni, scalinate, corridoi, celle a vista su due livelli come nei film american. Si potevano sentire ancora le voci e le grida delle migliaia di ragazzi che vi erano stati rinchiusi. Aperto un portone apparve uno stanzone enorme adibito a campo di basket: molto strano. Inquietante anche,. Comunque il complesso era troppo imponente, troppo monumentale. Non andava bene. A Torino visitammo le Nuove, che in realtà sono le carceri vecchie perchè nel frattempo hanno costruito un nuovo penitenziario più odierno. E’ un carcere per metà ancora in funzione. L’altra metà, piena di corridoi a vari livelli, con un giardino un po’ lezioso e un bellissimo campo da calcio con le tribune è dismessa e di solito viene usata per girarci film. Poteva andare bene per alcune scene, quella di vita carceraria, ma non funzionava per il tentativo di fuga. A malincuore ci rinunciammo. Proseguendo il nostro tour carcerario sotto il sole di luglio giungemmo a Saluzzo. Il vecchio paese era intatto, cosa molto importante per un film come il nostro ambientato negli anni Settanta. Nella parte alta del paese si erge una ex fortezza, trasformata in carcere e poi dismesso negli anni Ottanta. La piazzetta con la fontana, i cortili interni, i bracci, le camerate, il campo da calcio sovrastato dalle torrette delle guardie, i camminamenti, il filo spinato. E poi gli uffici, i corridoi, la stanza del direttore: tutto era rimasto intatto anche se in stato di abbandono. Fuori dagli stanzoni c’erano ancora le striscioline di carta con i nomi dei detenuti. Gli armadietti erano pieni di donne nude e di scatolette arrugginite. Finalmente avevamo trovato il nostro carcere! Ma oltre al carcere c’erano altri ambienti da trovare. E allora di nuovo in giro in macchina per le strade di Torino svuotate dal caldo dell’estate. Abbiamo visitato gli ex stabilimenti della Michelin, un incredibile città nella città, completamente abbandona ama ancora conservata, e le Manifatture Tabacchi, un altro complesso enorme in disuso dove abbaino girato alcune scene. Talmente grande che ci siamo persi. E’ bello fare i sopralluoghi. Scopri mondi che non ti aspetti. Conosci persone che ti dicono: “La mia vita è un film!” e in effetti è vero, vedi luoghi, strade edifici che ti raccontano storie. Fare cinema è un mestiere strano. Non sai mai cosa ti può capitare. A volte ti può capitare anche di girare un film a Torino e dintorni» (E. Monteleone, in D. Bracco, S. Della Casa, P. Manera, F. Prono (a cura), Torino città del cinema, Il Castoro, Milano, 2001).
Horst Fantazzini è morto nel 2001, dopo aver tentato altre rapine ed essere stato condannato a un numero impressionante di anni di carcere. Negli anni Settanta aveva ottenuto una certa notorietà, era il rapinatore gentiluomo che metteva a segno colpi incruenti e trattando con assoluta gentilezza i malcapitati cassieri. Convinto che fondare una banca fosse sicuramente più criminale che rapinarla, Fantazzini, come racconta il film di Monteleone, tenta la fuga nel 1973 dal carcere di Fossano, dove aveva già scontato cinque anni. Viene fermato dai tiratori scelti e solo per caso non muore (un cane poliziotto che gli viene aizzato contro è colpito dalle pallottole delle forze dell’ordine e gli fa fortunosamente da scudo). Ferito gravemente, si salva e viene nuovamente rinchiuso in carcere. Da quel momento in poi è un continuo tra tentativi di evasione e piccole rapine, fino alla morte in carcere: pochi giorni prima aveva tentato l’ennesimo colpo in banca, fuggendo maldestramente in bicicletta e facendosi rapidamente catturare.
Enzo Monteleone, già sceneggiatore di quattro film di Gabriele Salvatores e passato una prima volta alla regia nel 1994 con La vera vita di Antonio H, sceglie come riferimento cinematografico neanche troppo nascosto Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet. Affida il racconto del tentativo di evasione di Fantazzini a discreti flash-back della moglie del protagonista che racconta a un giornalista l’avventura carceraria di Horst. Girato seguendo la regola dell’unità di tempo, luogo e azione (la finzione scenica dura dodici ore), Ormai è fatta! è forse uno dei film italiani più riusciti degli anni Novanta grazie a una costruzione narrativa compatta e senza cedimenti, una direzione d’attori rigorosa, e alla capacità di non cadere mai nella banalità e nel luogo comune: «riesce a raccontare una vicenda paradossale stando continuamente sul filo che separa comicità e tragedia, riesce a far arrivare lo scontato (e storicamente noto) epilogo finale come un qualcosa che ferisce chi sta guardando il film, riesce a rendere credibili dialoghi e personaggi pur essendo tutti fortemente connotati [...] È un bel film perchè riesce a rischiare qualcosa, a non accontentarsi della sufficienza, ma ad aspirare a qualcosa di più [...] perchè Stefano Accorsi porta al personaggio la sua triste simpatia e perchè i due attori che interpretano le guardie carcerarie sanno mantenere l’equilibrio tra comico e tragico» (Stefano Della Casa, “Cineforum” n. 384, 1999).
«Il film ha il merito di miscelare più sapori e di essere costruito con una sapienza narrativa che lega la suspense, il gusto della caratterizzazione, qualche accenno alla commedia amara e le trame di un apologo» (“Cinemasessanta” n. 3, maggio-giugno 1998).
Girando quasi interamente in interni (a parte la scena in elicottero con la colonna sonora di Patty Pravo che canta Pazza idea e che, se possibile, acuisce ancora di più la sensazione di claustrofobia), Monteleone ha saputo raccontare un mondo, quello degli anni Settanta, vicino cronologicamente, ma distante dal modo di sentire di oggi, attraverso la ricostruzione della vicenda di un personaggio singolare come Fantazzini. Probabilmente questa sua “inattualità” è stata il veicolo di un insuccesso commerciale immeritato: se, per motivi mai del tutto appurati e quasi irrazionali, si sa che i film che raccontano il carcere sono in genere dei sicuri flop al botteghino, il film di Monteleone sconta la decisione di affrontare un periodo storico (gli anni Settanta) che, seppur vicino cronologicamente, viene percepito come estraneo dalla maggior parte del pubblico cinematografico italiano.
Non sufficientemente (ma anche facilmente) storicizzati e storicizzabili, gli anni Settanta sono, per il sentire comune, una palude dalla quale difficilmente si esce, l’immaginario rimane inesorabilmente legato a immagini in bianco e nero e al ricordo del terrorismo delle Brigate Rosse e alla strategia della tensione. Scenari complessi, mai chiariti (si pensi all’impunità delle stragi “di stato”) che sono stati accantonati con il passaggio agli anni Ottanta: anni dedicati quasi programmaticamente all’individualismo e forzatamente positivi, costruiti su un piccolo boom economico e, soprattutto, su un grande boom mediatico (la diffusione delle tv commerciali).
«Gli anni Settanta sono infatti un periodo del quale è difficile tornare a parlare: i linguaggi di allora appaiono oggi obsoleti almeno quanto allora sembravano lontani i discorsi pieni di retorica che venivano tramandati a scuola sui fatti risorgimentali italiani, i riferimenti culturali sono completamente diversi e anche il senso comune è completamente cambiato. [...] È un mondo drammaticamente lontano anche per il pubblico cinematografico visto che la maggior parte degli spettatori sono giovani e i giovani hanno gusti americanizzati, a pochi interessa un passaggio della nostra storia vicino nel tempo ma lontano nel costume e nel modo di pensare» (S. Della Casa, Op. cit.). Di qui l’insuccesso commerciale di uno dei film sicuramente scritti e diretti meglio degli ultimi dieci anni in Italia, non debitore, soprattutto, del linguaggio televisivo.
«La marcia in più che il film riesce a mettere in campo riguarda però la ricostruzione. dell\'universo carcerario dell\'epoca. Un\'epoca nella quale non c\'era ancora la legislazione di emergenza e neanche la pratica delle carceri speciali, per cui detenuti politici e comuni convivevano nelle stesse prigioni; si parlava già di lotta armata e le Brigate Rosse avevano già iniziato a colpire, ma il fenomeno non aveva ancora assunto dimensioni rilevanti e non era ancora capace di attirare su di sé l\'attenzione totalizzante che sarà invece caratteristica degli anni di piombo. Il carcere era allora un mondo in cui la spietatezza conviveva con l\'ingenuità, l\'abiezione con un clima surreale: lo stesso clima che in pochissimo tempo fa scivolare la vicenda dalla comicità al dramma. Ed era anche un posto in cui l\'organizzazione di tipo leninista del dissenso non aveva ancora prevalso: per cui era possibile che un anarchico individualista quale Fantazzini, refrattario a qualsiasi inquadramento ma al tempo stesso pronto a salire sul treno di qualsiasi ribellione, poteva gestire interamente in proprio una rivolta che era personale in toto.Con grande leggerezza il film dipana la vicenda all\'interno di poche stanze, di pochi uffici; riesce a raccontare una vicenda paradossale stando continuamente sul filo che separa comicità e tragedia, riesce a fare arrivare lo scontato (e storicamente noto) epilogo finale come un qualcosa che ferisce chi sta guardando il film, riesce a rendere credibili dialoghi e personaggi,pur essendo tutti fortemente connotati. E un bel film perché riesce a osare, a rischiare qualcosa, a non accontentarsi della sufficienza, ma ad aspirare a qualcosa di più. E un bel film perché Stefano Accorsi porta al personaggio la sua triste simpatia e perché i due attori che interpretano le guardie carcerarie sanno mantenere fequilibido tra comico e tragico di cui si parlava prima. Resta […] il problema di spiegare l\'insuccesso commerciale. Un noleggiatore ha sostenuto che i film carcerari non hanno mai avuto un grande successo di pubblico, e questa spiegazione ai limiti del semplicistico forse è più concreta di quanto appaia. […] E viene il dubbio che a interessare poco sia la ricostruzione dei fili della Memoria, il tentativo di colmare quel vuoto di aderenza tra il cinema italiano e la storia italiana che era la caratteristica del nostro cinema sino a un paio di anni fa. […] Per valutarne il possibile impatto commerciale, bisogna capire se può essere interessante presso il pubblico la storia di un rapinatore anarchico figlio di partigiano, innamorato della moglie, resosi noto prima delle catture per il modo gentile con il quale si rivolge agli impiegati delle banche che rapina, condannato a una montagna di anni di carcere, impegnato in un tentativo di evasione con sequestro di agenti, ferimento fortuito di altri, frenetiche trattative con gli ufficiali dell\'antiterrorismo e con i magistrati, abbattuto sul portone del carcere da un tiratore scelto quando pensa che l\'evasione sia riuscita. E bisogna capire se il pubblico può apprezzare una canzone di Patti Pravo lanciata mentre un elicottero sorvola una spiaggia affollatissima e identifica in uno dei bagnanti il direttore del carcere richiamato con urgenza in Piemonte (una sequenza ariosa, bella, con i tempi perfetti, praticamente l\'unico esterno del film capace di accrescere il senso di claustrofobia della vicenda). Ormai è fatta dimostra che un cinema italiano interessante è ancora possibile; dimostra anche che non è possibile essere troppo ottimisti sul suo futuro» (S. Della Casa, “Cineforum” n. 4/384, maggio 1999).
Scheda a cura di Valeria Borello
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