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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Nessuna qualità agli eroi
Italia/Svizzera/Francia, 2007, 35mm, 102', Colore


Regia
Paolo Franchi

Soggetto
Paolo Franchi, Daniela Ceselli

Sceneggiatura
Paolo Franchi, Daniela Ceselli, Michele Pellegrini

Fotografia
Cesare Accetta

Musica originale
Martin Wheeler

Suono
Marco Giacomelli

Montaggio
Alessio Doglione

Effetti speciali
Tommaso Corona, Mauro Moretti, Andrea Zimbaro

Scenografia
Gian Maria Clau

Costumi
Grazia Colombini

Aiuto regia
Luigi Spoletini

Interpreti
Elio Germano (Luca), Irene Jacob (Anna Ledeux), Bruno Todeschini (Bruno Ledeux, l'assicuratore), Maria De Medeiros (Cécile), Paolo Graziosi (Giorgio Neri, direttore di banca), Mimosa Campironi (Elisa), Rinaldo Rocco (relatore mostra), Alexandra Stewart (madre di Bruno)

Casting
Stefana De Santis

Produzione
Beppe Caschetto, Anastasia Michelagnoli per I.T.C. Movie, Donatella Botti per Bianca Film, Elda Guidinetti, Andres Pfaeffli per Ventura Film

Distribuzione
BIM Distribuzione

Note
Collaborazione alla sceneggiatura: Michele Pellegrini; suono in presa diretta; montaggio del suono: Alessandro Zanon; collaborazione alla produzione: Rai Cinema, RTSI Televisione Svizzera, RTI
 
Film realizzato con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e di Film Commission Torino Piemonte.
 
Locations: Torino (piazza Gran Madre, via Po, piazza Vittorio Veneto, Murazzi del Po, via Lagrange, via XX Settembre, piazza Castello, via dei Mille, parco del Valentino.




Sinossi
Il quarantenne Bruno, turbato dalla notizia che non potrà mai avere figli e perseguitato da Giorgio Neri, un usuraio cui deve una grossa somma, precipita in una profonda depressione, dalla quale la misteriosa sparizione dell’estorsore non sembra risollevarlo. Luca, figlio dell’usuraio scomparso, sembra nascondere un segreto, e inoltre comincia a nutrire una sorta di ossessione nei confronti di Bruno, oggetto compulsivo dei suoi pedinamenti. Due patologie, la depressione e la psicosi schizofrenica, entrano in collisione violenta. Da un lato Bruno, come narcotizzato dall’effetto ottundente che il peso delle responsabilità e delle crescenti difficoltà gli riversano addosso; dall’altro Luca, che alterna momenti di vitalistica esaltazione ad altri di rabbia catatonica e funesta.




Dichiarazioni
«I personaggi di questo noir esistenziale muovono in me un profondo senso di pietas. Personaggi in allarme, mai paghi, viaggiatori inquieti, sospesi nella ricerca di un senso alla propria vita, naufraghi solitari nel rifluire di un passato taciuto, e sorpresi dalla verità che li raggiunge, inesorabile... Bruno e Luca fanno dell'odio e del senso di colpa il punto di partenza e di arrivo della loro tragica ribellione. Luca, figlio sconfitto. Bruno, padre mancato, destinato a essere sempre e solo figlio... E poi c'è Anne, moglie di Bruno, che assiste impotente al vortice depressivo del marito. Come nel mio primo film, La spettatrice, ho cercato di non avere la presunzione di dare risposte e avvicinarmi con pudore al dolore dei personaggi, che per me sono prima di tutto persone. Rispettandoli e non giudicandoli mai» (P. Franchi, dal Comunicato Stampa della Produzione).
 
«[...] prima delle riprese c'è stata una preparazione durata oltre un mese e mezzo, si lavorava su percorsi psicoterapeutici. Sul set ci sono state scene da psicodramma. Ho voluto che Germano non recitasse, ma interpretasse il suo personaggio, ho cercato di estenuarlo, ho fatto anche 40 ciak per fargli dimenticare le battute in modo da raggiungere il tipo di interpretazione che cercavo» (P. Franchi, “La Stampa”, 14.3.2008).





«Un “set da psicoanalisi” intenso quanto un’interminabile seduta sul lettino di Mister Freud quello di Nessuna qualità agli eroi che Paolo Franchi, alla sua seconda prova importante da regista, ha scelto di girare a Torino. Un set da cui tutti gli attori alla fine escono un po’ ammaccati. Così per Irène Jacob nel ruolo di Anna, una moglie che guarda andare alla deriva il marito:”Mesi di riprese in un ambiente kafkiano, intenso, dove non sai mai se sei nel reale o nell’onirico”» (C. Ferrero, “La Stampa”, 29.1.2007).
 
«I due personaggi perduti sono costruiti con sapienza, senza sentimentalismo. L'analisi psicoanalitica è rispecchiata dai rapporti sessuali ansiosi d'abbandono oppure onirici, tra i più arditi sinora visti alla Mostra; dagli spazi di stanze e strada, dai toni invernali della storia in cui ogni salvezza pare negata dal passato, dalla nebbia presente, dal dolore della depressione. Gli interpreti sono bravi (anche le scelte per certe parti minori, Paolo Graziosi, Alexandra Stewart, sono raffinate) e lo stile della regia ha una maturità più vicina al cinema europeo che a quello italiano» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 1.9.2007).

«Ci sono film che hanno bisogno di una visione ripetuta, affinché sia possibile interagire con le domande interne, latenti o potenziali, che il racconto e la messinscena sembrano dipana­re. È il caso della ragnatela psi­coanalitica Nessuna qualità agli eroi. Film-ossessione più che film-trauma, elegante e gelido nella sua disincantata nudità, è un lavoro anomalo e stilistica­mente irrisolto che non meritava però i toni imbarazzati dell'acco­glienza veneziana, perché ha il coraggio di essere qualcosa d'altro rispetto al cinema italiano di oggi. Paolo Franchi, cinque anni dopo La spettatrice, imbastisce un ambizioso noir dell'anima che sciorina con tratti eccessivamente estetizzanti i propri toni teorici, ma il suo è un film sui grandi con­cetti esistenziali, sulla difficoltà o impossibilità di liberarsi dall'au­torità paterna. Un film di transito, che descrive propriamente il pas­saggio da una depressione a una psicosi, e si inerpica in territori ardui, in doppi sogni e accentuate opposizioni (comportamentali, emotive, situazionali e perfino sti­listiche). […] Se l'interessante soggetto cede al manierismo del racconto, quello di Franchi è un film che va preso anche per i con­cetti evocati e per le inquietudini che innesca: allora vanno salutati con favore il severo allontana­mento dai sapori del melò più scontato e la capacità di appro­fondire tematiche davvero “attua­li" nella loro apparente atempora­lità» (R. Lasagna, “Duellanti” n. 41, aprile 2008).
 
«Un merito bisogna subito riconoscerlo al film di Paolo Franchi Nessuna qualità agli eroi: l'ambizione di volare alto, di inseguire una rigorosa linea autoriale. E, conseguentemente, di chiedere allo spettatore uno sforzo di concentrazione e di attenzione superiore a quello che solitamente si mette in gioco per un tradizionale film narrativo. Qui invece di narrativo, di lineare c'è ben poco. [...] Una specie di ragnatela di tensioni e di azioni che Franchi racconta affidandosi alla forza suggestiva delle immagini e dei silenzi. Antonioni è il riferimento d'obbligo, ma anche la pittura di Beacon torna in mente di fronte a certi corpi straziati, a certi dolori che uniscono carne e anima. E gli improvvisi scoppi di sessualità trovano una loro giustificazione nella voglia di “dare forma” alla parte più istintuale e repressa dei due protagonisti. Ma quella regia fatta di sottrazioni che nella Spettatrice (il primo film di Franchi) diventava il ritratto sommesso di una generazione spaventata dai propri sentimenti, qui rischia di arenarsi in una freddezza un po' troppo programmatica, in una troppo alta metafora che finisce per perdere la concretezza e la forza emotiva che ci si può aspettare dal cinema» (P. Mereghetti, “Corriere della Sera”, 2.9.2007).

«Nessuna qualità agli eroi, girato attorno a un perdente radicale, finalmente, ha però tutti i difetti di claustrofobia e chiusura in famiglia di un film italiano prodotto Rai cinema. Solo lì dentro si scatenano le ossessioni, sentimentali e criminali, più amate dagli italiani, patricidi e erezioni compresi. Opera seconda dello sceneggiatore Paolo Franchi, il film non è troppo appesantito dalla sua perizia tecnica, anzi è sul visuale che punta di più (anche se non ancora come dovrebbe, qualche linea di dialoghi è pletorica)» (R. Silvestri, “il manifesto”m 2.9.2007).
 
«Dopo la convincente Spettatrice, Nessuna qualità agli eroi non sfugge alla “maledizione” - molto italiana… - dell’opera seconda: Paolo Franchi confeziona un film non riuscito, imbrigliato da un’attitudine estetizzante che quasi mai trova conforto nella sceneggiatura. [...] Nessuna qualità agli eroi lavora sui personaggi con una costruzione a incastro e a specchi (Luca, Bruno e i relativi assenti genitori), assemblando un microcosmo poco verosimile [...] a lasciare sconcertati è l’atonia che lega le reazioni “emotive” dei personaggi, che nella pioggia e nell’algidità torinese trovano uno sfondo dal quale non si staccano se non per “strappi” sessuali o repentine crisi. Viceversa musica e rumori [...] lasciano presagire cambi e colpi di scena che puntualmente deludono le aspettative. Ma ancora il film sarebbe recuperabile, se l’ostinata singolarità e difformità di inquadrature, tagli e prospettive non si risolvesse costantemente in sterile esercizio di stile, assolutamente indifferente al “momento storico”» (F. Pontiggia, “Rivista del Cinema” n. 3, marzo 2008).
 
«Dispiace che il giudizio non possa che essere drastico: il film è sbagliato, perché accoppia incompiutezza di fondo a un'enorme ambizione: perché non sa decidere se essere un thriller, un apologo sulla new economy o un dramma psicologico con tanto di “doppio” dostoewskiano: perché è formalmente bello ma terribilmente noioso: e perché il regista, non fidandosi delle immagini, ha infarcito il film di una musica violenta e effettistica che dovrebbe creare tensione quando sullo schermo non succedere letteralmente nulla» (A. Crespi, “l'Unità”, 1.9.2007).
 
«Nessuna qualità agli eroi è un film ingenuamente presuntuoso e piuttosto brutto. Ma di cui vanno salvati il coraggio (sia del regista che dei produttori Itc movie, Bianca film, Raicinema) e soprattutto il diritto a stare in un festival. Almeno è un film non preconfezionato e predigerito come tanti che qui si vedono, almeno ci prova a spostare la solita, trita ottica, almeno si butta. Franchi, nel suo delirio, testimonia l'urgenza di dire qualcosa. Non l'avrà detto proprio bene, ma a noi resta la voglia di starlo ad ascoltare. Almeno fino al prossimo film» (R. Ronconi, “Liberazione”, 1.9.2007).

«Paolo Franchi persegue una rigorosa e coraggiosa poetica d'autore cominciata con La spettatrice, nel raccontare i piccoli orrori quotidiani, ovvero la difficoltà e l'impotenza nel comunicare i propri sentimenti, il veder vivere piuttosto che l'intensità di un'esistenza intensamente vissuta. Nello stile particolarmente asciutto ed europeo e così "poco italiano" del cineasta allora esordiente in molti avevano avvertito una riuscita commistione tra un Kieslowski laico e il Claude Sautet di Un cuore in inverno. In Nessuna qualità agli eroi i sentimenti sono ancora più raffreddati, raggelati da un'irrisolta ricerca del padre. Più nero del nero, un autentico noir dell'anima, il film è splendidamente ambientato e fotografato in una Torino asettica e invernale. Franchi, rispetto a La spettatrice osa e rischia ancora di più, sperimentando virtuosisticamente non solo con l'immagine e con gli interpreti, ma anche con i suoni, i rumori. Basterebbe citare proprio l'inizio del film: un interno bianco ed essenziale e quel sibilo, quel rumore che diventa sempre più assordante quasi a sottolineare, però giustamente non a riempire, il vuoto e la nudità dell'ambiente presentato. Il cinema di Franchi, ma in quest'ultimo caso potremmo anche chiamarla installazione nel senso più letterale, è costituito a livello tematico di mancanze, assenze, impotenze. Il regista ha il merito di non porre alcuna didascalia "carina", ma di presentare le diverse situazioni con una sobrietà dello sguardo che si fa protagonista non invasiva e invadente della vicenda. E così le parole mangiate, quasi cannibalizzate del bravissimo Elio Germano, o gli sguardi impietriti e i silenzi non assensi dell'altrettanto talentuoso Bruno Todeschiní diventano emanazione diretta, fisica, di queste assenze e impossibilità. [...] Cupo ed essenziale come un film di Bruno Dumont, con delle effrazioni e trasgressioni visive simili all'ultimo Haneke, e un lavoro sul corpo attoriale che ricorda alcune opere cronenberghiane (Inseparabili, M. Butterfly, Spider) e lynchiane (Strade perdute, Mulholland Drive), Nessuna qualità agli eroi rappresenta un coraggioso quanto esemplare tentativo di vero e proprio horror d'autore con un linguaggio visivo originale dove il vero incubo è l'immagine stessa, cruda e austera, pronta a radiografare senza pietà le nostre paure interiori» (D. Monetti), “Segnocinema” n. 151, maggio-giugno 2008).
 
«A voler anticipare con un'aggettivazione sbrigativa l'analisi di Nessuna qualità agli eroi, si potrebbe forse dire che il film di Paolo Franchi è sovrabbondante e stanco. E questi due caratteri sono tanto funzionali tra di loro da strutturare la cifra stilistica e poetica del film. Non può essere altrimenti in un'opera che, in maniera ambiziosa, sembra voler scavare in una delle più evidenti incongruenze della nostra civiltà adagiandosi sulla superficie ormai increspata della psicoanalisi. Siamo dunque al tentativo di rapportarsi simbolicamente a quella particolare condizione della nostra contemporaneità che, nell'ormai centenaria morte di Dio, ha fagocitato la scomparsa non (A. Coco,“Segnocinema” n. 151, maggio-giugno 2008).
«Film con un occhio al Bellocchio 'psicanalitico' e l'altro alle atmosfere sospese del cinema francese, silenzi interminabili, scene notturne flagellate dalla pioggia, dialoghi compiaciuti, momenti di sesso esplicito, il protagonista Bruno Todeschini con l'espressione afflitta dall'inizio alla fine. Ha ahimé mancato il bersaglio il 37ene Franchi, che aveva convinto critici e pubblico con l'opera prima La spettatrice. E la sceneggiatura circolare, cioè “non suscettibile di una sola interpretazione” (ahi, ahi), non rende giustizia al pur bravissimo Elio Germano nel ruolo di un personaggio nevrotico» (G. Satta, “Il Messaggero”, 1.9.2007).
 
«La pellicola è piena di eleganza, di energia luminosa e di forma estetica. È un gesto coraggioso verso un’autorialità sincera, scomoda e integrale. Una reazione decisa ai consigli del mercato. E a certe forme autoriali più morbide ed omologate, spesso giovanili e di lingua italiana. Le inquadrature, preziose, fanno dello spazio scenico una chiara intenzione formale, il segno di un pensiero profondo sull’opera. Corpi e volti, occhi, pelle, pori e peli si fondono col colore, con la geometria e gli oggetti filmati, fino a fare del film un momento di cinema per palati, e soprattutto per occhi, vogliosi di qualità. Ed è, questo, un piacere lieve e costante che accompagna l’osservatore dall’inizio alla fine del passaggio tortuoso in un film labirintico, fitto di ombre, enigmi irrisolti e trappole. [...] Gli attori si caricano di tanta volontà e il loro esercizio è generoso ed equilibrato, pieno di fiducia nell’opera e zeppo di talento artistico, ma da subito in battaglia con la pericolosa altezza tematica del film e soprattutto con la strategia narrativa intrapresa dall’autore» (E. Zaccagnini, www.close-up.it).
 
«Il regista, teso ed emozionato, usa espressioni così: “Il mio film si espone generosamente alla sog­gettività dello spettatore”, che vorrebbe dire aperto a tutte le interpretazioni. Ma a parte il fatto che il privilegio di fare un film comporta, più che “generosità” nello scaricare l’interpretazione sullo spettatore, la responsabilità di fornirne una da parte di chi lo fa,Franchi ha le sue idee e proprio su queste - nel senso di un cine­ma fatto, casomai, troppo di idee - fonda il Film. Poi: “Il film parla di conscio e inconscio e io suggerisco” - ecco: suggerisce – “una lettura psicoanalitica”. Per conti­nuare con: “e uno non uccide il padre non ac­quista sanità mentale. Ma il padre è anche il su­per-Io. Fuori da letture realistiche, ma piut­tosto simboliche”. Fino a lan­ciarsi, sulle nu­merose scene di sesso: “Ci sono valori molto profondi nel cunnilingus, e la masturbazione è ribellione all'auto­rità. Ho anatomizzato l'inconscio. Anche il vo­mito: tentativo di liberarsi del senso di colpa. È un film sulla malattia mentale, sul passaggio tra depressione e psicosi”. Come biasimare chi non si sentisse invogliato (e infatti alla proiezione stampa è stato accolto tiepidamente)? Proviamo a scio­gliere, anche nel timore che il regista parlando si faccia del male. Anche per dire che il film di qualità ne contiene. Per esem­pio l'interpretazio­ne di Elio Germano - che significa an­che l'eccellente di­rezione dell'attore da parte dei regista -da accreditare co­me figlio artistico del De Niro di Taxi Driver, di Re per una notte» (D. D’Agostini, “la Repubblica”, 1.9.2007).
 
«Franchi lavora intensamente sulla polisemia di significati, portando avanti quella che è una vera e propria ricerca psicanalitica mascherata da opera narrativa. [...] Franchi sceglie una tecnica classica, lineare, densa di silenzi e di accenni, scevra da scivolamenti in facili commozioni o compatimenti. Prevalgono i colori atoni, il grigio, il nero, il verde, il marrone, e tutta la costruzione della messa in scena richiama fastidiosamente la profonda inadeguatezza rispetto alla realtà provata dai due protagonisti. Il vortice in cui pian piano sprofondano è così una lenta e irritante degradazione dei suoni e dei colori del girato, che accompagnano la fine morale, e forse anche fisica, dei due uomini. [...] Ma dopo la sonora bocciatura del tritacarne del Lido, Nessuna qualità agli eroi è un film che, forse, dovrebbe essere valutato più serenamente come una pellicola sì controversa, e per alcuni tratti intellettualisticamente evanescente, ma pur sempre solida e qualitativamente sopra la mediocritas di buona parte del cinema italiano contemporaneo. Non fosse altro per una sua curiosa ricerca del non detto, per la tensione che mostra nel portare sullo schermo quell’aspetto del fuori campo, dell’accennato ma non detto, che tanto spesso autori nostrani dalla grana meno fina trascurano, se non dimenticano del tutto» (P. Salvatori, www.effettonotteonline.com).




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