Altri titoli: The End Is Known
Regia Cristina Comencini
Soggetto Cristina Comencini, dal romanzo omonimo di Geoffrey Holiday Hall
Sceneggiatura Suso Cecchi D'Amico, Cristina Comencini
Fotografia Dante Spinotti
Operatore Enrico Lucidi
Musica originale Alessio Vlad, Paolo Capponi, Fiorenzo Carpi
Suono Gianni Zampagni
Montaggio Nino Baragli
Effetti speciali Germano Natali
Scenografia Paola Comencini
Costumi Antonella Berardi
Trucco Gino Tamagnini
Aiuto regia Giulio Manfredonia
Interpreti Fabrizio Bentivoglio (Bernardo Manni), Carlo Cecchi (il Cervello), Valérie Kaprisky (Maria Manni), Mariangela Melato (Elena Malva), Valeria Moriconi (Elena Delogu), Daria Nicolodi (avvocato Mila), Corso Salani (Rosario Cantini), Massimo Wertmüller (Carlo Piane), Valeria Milillo (archivista), Stefano Viali (avvocato Anselmi), Marina Perzy (signora Gerli), Memo Dini (avvocato Gerli), Eleonora Parlante (moglie di Carlo Piane), Vanni Fois (Flavio Marras), Louise Kamsteeg (ragazza bionda)
Casting Mirta Guarnaschelli
Direttore di produzione Massimo Iacobis
Ispettore di produzione Carlo Pasini, Catherine Chouridis
Produzione Giovannella Zannoni per Cineritmo, Raidue, Les Films Alain Sarde
Distribuzione Artisti Associati
Note Operatore steadycam: Giovanni Gebbia; aiuto operatore: Roberto Luzi, Marco Sacerdoti; assistente operatore: Adriano Giannini; fotografo di scena: Alessia Bulgari; tecnico del suono: Franco Patrignani; assistente al montaggio: Patrizia Ceresani, Rita Mauro, Emanuela Lucidi; mixage: Fausto ancillari; assistente scenografo: Marta Maffucci; assistente costumista: Betty Bimbi, Chetti Moretti; assistente al trucco: Enrico Iacoponi; altri interpreti: Stefano Oppedisano (Armando Bosi), Laura Versari (investigatrice), Domenico Valente (commissario), Claudio Spadaro (Razzini), Carmen Giardina (segretaria), Antonio Canterini (dirimpettaio), Fino Perilli (padre di Elvira Delogu), Silvana Bosi (portinaia), Alessandro Mariotti (Francesco Piane), Siro Pau (Rosario Marras), Carlo Foscan Du Plantier (Emiliano Malva), Isella Orchis (padrona del bar); assistente al doppiaggio: Roberta Schiavon; doppiatori: Francesca Guadagno (Valérie Kaprisky); segretaria di edizione: Donatella Maiorca; organizzazione generale: Paolo Buffo; delegato produzione RaiDue: Graziella Civiletti.
Riprese in Francia – fotografia: Jean-Yves Escoffier; aiuto operatore: Christian Foumie; assistente operatore: Francio Birman, Tiphaine Helary; fotografo di scena: Eric Bernard; direttore di produzione: Philippe Dugay; ispettore di produzione: Catherine Chouridis.
Sinossi
Uno sconosciuto si butta da una finestra dell’abitazione romana dell’avvocato Bernardo Manni il quale non cerca di chiarire i contorni del misterioso suicidio dell’uomo. Si scopre che questi era un terrorista della formazione di estrema sinistra Prima Linea, originario di Tratalias (paese del cagliaritano) e arrestato a Torino nel 1978. Pare esserci un rapporto tra lui ed una persona che Manni difende dall’accusa di aver ucciso un magistrato nel capoluogo piemontese, così l’avvocato compie indagini prima in Sardegna, poi a Torino e a Parigi, dove vivono numerosi terroristi fuorusciti. Ma la verità è altrove, insospettata.
«Un buon giallo, sorretto da una regia matura, anche se fredda ma non è detto che in questo genere particolare a freddezza sia un difetto), e sostenuto da un avviluppante gioco di scatole cinsi, modellato al libro a cui il film chiede non pochi dei suoi più appetitosi spunti. […] Adattamento dell’omonimo romanzo di Geoffrey Holiday Hall, pubblicato egli anni Cinquanta da Mondatori e riedito da Sellerio su consiglio i Leonardo Sciascia, il film della Comencini ha trasposto in Itala, ai giorni d’oggi, un intrigo che si svolgeva nell’America del dopoguerra. Così si fa un gran discorrere di terroristi e di processi loro intentati, una pista che si rivela ingannevole poiché le ragioni del malessere del protagonista e della sua fine non hanno nulla da spartire con le passioni della politica. C’è in questo scenario - qualcosa di più di uno sfondo – un’attualizzazione meccanica e anche fuorviante per lo spettatore e ai fini stessi della coerenza nel disegno narrativo. E nel trasloco dagli Stati Uniti a casa nostra (si assiste anche a un breve dirottamento verso Parigi, per esigenze di coproduzione) si vanifica il meglio del libro di Geoffrey Holiday Hall, si dissolvono i sapori provenienti dalla descrizione di una provincia americana sperduta e laria di un tempo che era ancora quello degli anni bellici e del dopoguerra» (M. Argentieri, “Cinemasessanta”, nn. 210/211, 1993)
La fine è nota non è stato ben accolto da parte della critica. La recitazione di molti interpreti è stata giudicata inadeguata a conferire al film un ritmo soddisfacente, ma soprattutto «si è voluto vedere nell’ovvietà della soluzione dell’intrigo il difetto principale dell’opera. La regista si è difesa affermando che non è necessario individuare il colpevole alle ultime sequenze; quello che importa è fornire allo spettatore tutti gli indizi che giustificano il verdetto di colpevolezza» (R. Prudente, “Cinema Nuovo”, nn. 344-345, 1993).
In effetti la qualità di un “giallo” non è determinata soltanto dal finale, ma soprattutto dal modo in cui l’intreccio si dipana intrecciando i fili di una trama misteriosa. «Sono piuttosto i rapporti tra i personaggi e le loro psicologie (non di rado stereotipate nel genere in questione), le ambientazioni mutevoli che si susseguono nel film, le improvvise rivelazioni affidate a personaggi che si perdono poi nel nulla a dare forma e spessore alla storia narrata. […] La soluzione della vicenda sta proprio in quell’insieme confuso di relazioni scandite non già da principi e ideali comuni, ma da amori e delusioni sentimentali»
(m.p., “Cineforum”, n. 326, 1993).
La vicenda si dipana «sovrapponendo passato e presente grazie ad una serie di flash-back la cui funzione sembra essere quella di interrompere il susseguirsi concitato delle ricerche e di “deviare” dal genere giallo per consentire alla regista di soffermarsi sullo studio dei personaggi. È, infatti, il progressivo delinearsi delle loro psicologie […] a costituire l’elemento più interessane del film» (m.p., Op. cit.).
Nel passaggio dalla pagina allo schermo si perdono molti elementi che qualificano il valore letterario del romanzo: «nel trasloco dagli Stati Uniti a casa nostra […] si vanifica il meglio del libro di Geoffrey Holiday Hall, si dissolvono i sapori provenienti dalla descrizione di una provincia americana sperduta e l’aria di un tempo che era ancora quello egli anni bellici e del dopoguerra»
(M. Argentieri, Op. cit.).
«Non sono prive di interesse certe ambientazioni, soprattutto quelle in una Sardegna solare e quasi fuori dal tempo, e le interpretazioni di Bentivoglio e di Salani, mentre a Kaprisky presta solo il volto corrucciato a una dark lady contemporanea» (R. Prudente, Op. cit.). Bella la fotografia dei paesaggi sardi; Roma è elegante e rassicurante. Parigi ha l’aria uggiosa dell’approdo di esuli; di Torino, città teatro del fatto attorno a cui ruota buona parte del film, appare quasi soltanto la stazione di Porta Nuova (sicuramente uno dei siti subalpini più ripresi dal cinema), quasi un non-luogo, arrivo e partenza di toccate e fughe che disdegnano la città.
Scheda a cura di Davide Larocca
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