«Lydia de Roberti ha creata in modo veramente singolare la parte della protagonista, cioè la maestra Lidia. [...] La maestra Lidia [...] è una persona che vive realmente e spontaneamente, così da riuscire di una naturalezza sorprendente, che commuove ed avvince. [...] Così il giuoco dello sguardo, l’atteggiamento della persona, la mimica del volto ci caratterizzano, ci esprimono, meglio che a parole, lo stato d’animo di questo personaggio, in tutti i momenti drammaticissimi che attraversa. [...] Ma dove Lydia de Roberti raggiunge i migliori momenti della sua interpretazione, è nell’ultima parte della film, quando cioè raffigura gli ultimi istanti della maestra Lidia, che muore di tubercolosi polmonare. Non credo di errare affermando che Lydia de Roberti [...] si è evidentemente recata in qualche ospedale di tubercolotici per assistere agli ultimi momenti di qualcuno di questi. [...] Il suo volto è, né più né meno, che la vera facies del tisico; le sue lagrime sono vere; ogni atteggiamento della persona è straordinariamente naturale, così che non pochi spettatori, specie delle signore, hanno, loro malgrado, portato il fazzoletto agli occhi per asciugare qualche lagrima.» (E. Demitry, “La Vita Cinematografica”, a. V, n. 15, 22.4.1914).
«Esecuzione degna della Casa e fotografia di quella nitidezza che rende i quadri così scintillanti e vivi. [...] La signorina Lydia de Roberti rivela anche in questo lavorino uno squisito senso d’arte, e uno studio serio e minuzioso. Vivace, gaia, sentimentale sempre per quanto paffutella nella prima parte, ella si trasmuta gradatamente nella seconda dando, una ammirabile e impressionante verità, al punto di crederla una controfigura. Il suo volto, così bello e pienotto, diventa scarno e macilento, le mani affilate, come il suo corpo. Ella ha avuto la costanza e la forza di studiare dal vero i caratteri della terribile malattia. [...] Questa signorina possiede le doti tipiche dell’artista – La facoltà d’intuire, di assimilare – e di esternare» (P. da Castello [A.P. Berton], “Il Maggese Cinematografico”, a. II, n. 8, 25.4.1914).
«È un buon lavoro, ma veramente non è il genere col quale ci aveva abituati la “Gloria” e specialmente con artisti come il Bonnard e la de Roberti. Buona interpretazione, mediocre la fotografia, buonissima la mise en scène. » (Blitz, “Il Maggese Cinematografico”, a. II, n. 9, 10.5.1914).
«È una scena della vita di ogni giorno, portata con grande verità sullo schermo; è, in una parola, un lavoro quadrato in ogni sua parte, curato in tutti i particolari. La interpretazione artistica è ammirevolissima per parte di tutti [...] Splendida la messa in scena, e faccio perciò i miei complimenti a Giuseppe De’ Liguoro. Così come devo pure un encomio all’operatore Leandro Berscia. Bellissima e nitida la parte fotografica» (E. Demitry, “La Vita Cinematografica”, a. V, n. 15, 22.4.1914).