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Cinema muto |
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Florette e Patapon
Italia, 1913, 35mm, B/N
Altri titoli: Florete y Patapón (Spagna), Florette et Patapon (Francia)
Regia Mario Caserini
Soggetto dalla commedia omonima di Maurice Hennequin e Pierre Véber
Fotografia Angelo Scalenghe
Interpreti Maria Caserini Gasparini (Bianca Patapon), Gentile Miotti (Florette), Camillo De Riso (Giuliano Barbet), Vittorio Rossi Pianelli (Patapon, marito di Bianca), Letizia Quaranta (Enrichetta Florette), Mario Bonnard (Armando, amante di Bianca), Felice Metellio (Mombrissac), Telemaco Ruggeri (Pontois), Arduina Lapucci (Chechette), Antonio Monti (Capitano Jambard), Mary Bayma-Riva (Clara), Carlotta Giani (Mazrabran, madre di Clara)
Produzione Film Artistica “Gloria”, Torino
Note
Nulla osta n. 991 del 1.12.1913; 2.500 metri (in 6 parti)
La prima visione del film avviene a Torino presso il Cinematografo della Borsa il 14.8.1913 (in questa sala il film resta in programmazione per 2 settimane).
Florette e Patapon ha problemi con il visto di censura che viene infatti concesso solo dopo l’eliminazione di due scene di abbracci ritenuti “compromettenti” (quadri n. 58 e n. 70).
Nel 1927 viene realizzato un omonimo film per la regia di Amleto Palermi (produzione A. P. Film; nulla osta n. 23.583 del 30.6.1927; 2.080 metri).
Sinossi
«I Sigg. Florette e Patapon hanno nel loro ufficio come segretario il buon giovane Giuliano Harbert. Gli sono affezionati ed hanno persino pensato di dargli una bella moglie, la signorina Clara, con cui il timido segretario si trova solo in relazione... epistolare. Un telegramma chiama i principali a Londra a concludere un grosso affare. Florette, geloso della sua moglie, la graziosa Requette, [...] dà a Giuliano l’ordine di prender cura della sua moglie. [...] I mariti sono fuori e le dolci signore [...] si recano ai bagni di Cotto; Bianca cade nelle braccia di... Armando e Requette tra quelle degli eleganti signori corteggiatori nel grand Hôtel. [...] La perdita di una coincidenza porta Florette e Patapon al grand Hôtel e per un vero miracolo non ha luogo un terribile scontro tra le signore e i signori. Un fortissimo mal di stomaco obbliga Patapon a letto e Florette cerca una distrazione momentanea colla mondana Chechette, amante di un vecchio ed estremamente geloso capitano di mare, che li sorprende [...] Florette riesce a salvarsi, ma senza gli abiti e trova quelli di una donna. La condotta poco riservata suscita uno scandalo e per tutelare la dignità maritale, avendo adoperato il nome del segretario, il nome di Giuliano Harbert corre per tutte le bocche ed arriva subito alle orecchie della sua futura sposa Clara [...] Florette che è un gentiluomo, spiega alla madre della futura sposa del segretario l’equivoco e si confessa sé stesso colpevole di un’ora di allegria ed il segretario vede l’avvicinarsi del giorno tanto desiderato» (“La Vita Cinematografica”, a. IV, n. 10, 30.5.1913 e n. 11, 15.6.1913).
«Se il lavoro, come lo dice il manifestino, non è un proprio e vero gioiello è tuttavia ben riuscito, mercè l’abilità degli artisti e quella del loro Direttore Sig.r Mario Caserini. Però sarebbe stato più serio se una tale constatazione la si fosse lasciata uscire dalla bocca degli spettatori anziché dalla Casa Gloria o chi per essa. Lungo la strada si raddrizza la soma, dice il proverbio, e speriamo che anche questi sistemi di auto incensamento, spariscano per dar luogo a più moderni usi, più decorosi per gli artisti e per il pubblico. Il manifestino, lussuoso per la circostanza, dà anche il soggetto del lavoro, ma vuoi perché una gran parte del pubblico lo conosce già, vuoi perché anche leggendolo non ci si raccapezza, non credo opportuno stamparlo. La pochade non si narra, la si va a vedere, a sentire, a godere; e la si dimentica calato che sia il sipario all’ultimo atto, e anche prima. È un fuoco d’artificio di cui resta impresso qualche razzo. [...] Ancor prima che fosse proiettata sullo schermo (e credo che questa sia stata proprio la prima volta) la pochade era chiamata una cinematografia vivente, pel succedersi vertiginoso di avvenimenti uno più strano dell’altro. La stampa quotidiana non ha mai narrato il soggetto di questo genere di lavori [...] tanto sono densi d’intreccio. [...] Figuriamoci in cinematografia dove l’azione scorre ancora più rapida che sulla scena! Aggiungasi poi, che dato il metraggio di questa film (2500 metri, un’ora e quindici minuti di spettacolo), l’operatore è costretto a proiettarla con una velocità che in certi momenti dà maledettamente ai nervi. [...] Vi dirò dunque andatela a vedere; è un’ora di spettacolo forse un tantino opprimente per la sua lunghezza ma così esilarante che vi farà dimenticare l’oppressione causata dalla sua lunghezza. [...] Ed ora credo sia doveroso dire una parola anche del Direttore Sig. Caserini. Egli ha voluto far bella mostra del valore dei suoi artisti e più che tutto del suo valore direttivo e vi è pienamente riuscito» (A. Berton, “Il Maggese Cinematografico”, a. I, n. 10, 10.9.1913).
«La piccante brillantissima commedia di Hennequin e Veber non ha perduto nella veste cinematografica nulla della sua freschezza, della sua verve, della sua comicità ed è venuta a dimostrare […] come gli esempi del genere possano essere tentati e proseguiti con successo. Ne si può dire che la commedia sia rimasta annebbiata o sminuita nel suo valore letterario da ciò, no, assolutamente no: anzi direi se ne è avvantaggiata perché buona parte degli spettatori, che oggi l’hanno gustata in cinematografia, domani andranno a sentirla a teatro per assaporarne il dialogo spigliato, agile, vivace e allegro. […] La film è divisa in sei parti, è lunga 2500 metri ed ha la durata di un’ora e venti minuti. […] Il merito principale è di Mario Camerini che, nella direzione geniale di questa film ha curato ogni minimo dettaglio ed ha saputo equilibrare le scene così da trarne un assieme sobrio e simpatico, senza esagerazioni di sorta. […] Giuliano Barbet fu ritratto da Camillo De Riso con rara perfezione interpretativa, Gentile Miotti ha fatto una rara interpretazione di quel mattacchione di Fiorette e Vittorio Rossi Pianelli si è immedesimato nella figura di Patapon, sì da renderla con efficacia.
Maria Gasperini e Letizia Quaranta hanno dato tutta la loro arte, le grazie e le seduzioni […] Mario Bonnard fu un Armando ideale […] Felice Metellio rese assai bene la parte di Mombrissac […] Ottimi e tutti a posto gli altri interpreti. […] Accuratissima e sfarzosa la messa in scena e nitidissime le fotografie. Dulcis in fundo: una viva parola di lode al valentissimo operatore Angelo Scalenghe.» (“La Cine-Fono & La Rivista Fono-Cinematografica”, a. VII, n. 250, 20.9.1913).
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