Lungometraggi |
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Accoltellati
Italia, 2006, DvCam, 85', Colore
Regia Tonino de Bernardi
Soggetto da frasi di Jorge Luis Borges
Sceneggiatura Tonino de Bernardi
Montaggio Pietro Lassandro
Interpreti Rossella Dassu, Giulietta de Bernardi, Antonio Candella, Teresa Candella, Ada Candella, Walter Riccarelli, Anna Fascendini, Josef Scicluna, Véronique Bouteille, Fulvio Baglivi, Federico Ercole, Donatello Fumarola, Alberto Momo, Marco Sgrosso, Elena Bucci, Candida Capone, Adelina Chiapino, Rita Zandarin, Guido Zandarin
Produzione Lontane Province Film
Note Sottotitolo: Condizioni di vita.
Sinossi
Scorribande e visioni che evadono dal quotidiano verso territori diversi, tra Mediterraneo, colline, città, villa e villaggi. Compare un coltello da cucina, familiare, per il salame o il pane. Piccoli cari dei, a ricordo del passato, pilastri, narrano la vita. Tutti, prima o poi, siamo gli accoltellati, magari dopo essere stati a nostra volta accoltellatori: il mondo, si sa, si divide in accoltellatori e accoltellati, lo disse anche Marx e prima ancora Omero. replica rolex
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Dichiarazioni
«In Marlene de Sousa, mio film del 2004, il protagonista recitava un lungo monologo sul coltello del nonno e alla fine tanti mi chiedevano perché non lo facessi vedere. Ebbene, compare ora, a distanza di due anni. Accoltellati è un passo verso la rivelazione che si può fare solo per gradi; non so ancora cosa apparirà dopo, ma ricordati...: “Ricorda sempre che nulla ti è dovuto. Che cosa meriti infatti? Quando sei nato, ti era forse dovuta la vita?”». (T. De Bernardi, www.torinofilmfest.org)
«Sono piccole intimità quelle mostrate nel film, piccoli frammenti di una quotidianità in cui anche la macchina da presa, che sembra farne assolutamente parte, diviene pedina di dialogo per poi, in altri istanti, ostentare una assenza in realtà artificiosa ma propedeutica al discorso filmico. Ma non c’è cronologia né consequenzialità, solo un anarchico procedere di atti unici ma intimamente legati tra loro. Ne sono protagonisti gli accoltellati, persone comuni ora mostrate in stile documentaristico, interessante l’intromissione del genere, ora improvvisamente attori di una realtà cui viene sottratto il controllo del tempo, in cui un gesto, quando non viene addirittura privato di significato, può essere ripetuto all’infinito prima di conoscere piena realizzazione. Gli accoltellati non sono cadaveri, perché non è la morte che vuole mettere in scena De Bernardi. Al contrario, è quel rialzarsi per poi cadere nuovamente, quell’improvviso cedere in maniera apparentemente inerte alle mille lame che paiono minacciarci nel nostro presente. Accoltellati è una riflessione anche amara in alcuni suoi punti, ma mai disperata, su un vivere fatto di gesti che si ripetono all’infinito, privati del loro valore. [...] Nella stasi di una non narratività, gli unici detentori del tempo, in grado di assecondare o meno il suo trascorrere e di tenerlo tra le mani, attraverso la più pura ingenuità, sono i bambini. Solo loro smascherano la camera e ad essa si rivolgono con assoluta sfrontatezza. È proprio nel loro ruolo, nel manifestarsi della loro ingenuità che De Bernardi riconosce, forse, uno stato primordiale in cui se si è accoltellati o accoltellatori lo si è per istinto ma senza la lucida scelta che da grandi è ormai impossibile evitare» ( www.close-up.it).
«Accoltellati merita di entrare di diritto tra le "mostruosità" frutto della rivoluzione digitale nel campo della produzione cinematografica. Capita, infatti, (e può ancora capitare in futuro) che uno stimato regista creda di poter realizzare un’opera audiovisiva di dignità artistica mettendo insieme scene di vita privata e idee surrealiste, sorta di miscuglio avariato di avanteatro e citazioni colte. [...] un artista capace come Tonino De Bernardi ha creduto di poter spacciare per opera artistica un’accozzaglia di riferimenti letterari, immagini della propria famiglia, ambizioni di surrealismo e teatro sperimentale. De Bernardi è stato uno dei principali esponenti della scena underground italiana almeno fino agli anni ’80, ma egli mostra qui di aver smarrito completamente (o quasi) la sua vena visiva, distratto da affetti privati e facili entusiasmi per la libertà del digitale. Intristisce che per questa sua opera il regista di Chivasso abbia scomodato addirittura Borges (dalle cui frasi sarebbe tratto un soggetto), Omero e Marx, considerando che l’unico vezzo artistico dell’intero film risiede nelle ambizioni di qualche idea da teatro d’avanguardia, perseguito soprattutto nella parte finale, decisamente la più interessante. [...] Ma il vero punto debole del film è l’uso di immagini dei parenti che l’autore fa, da vero e proprio "filmino di famiglia" che egli prova vanamente a elevare a qualcosa di più» (R. Monti, www.cinemavvenire.it).
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