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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Lungometraggi



Razza selvaggia
Italia, 1980, 35mm, 99', Colore

Altri titoli: Savage Breed

Regia
Pasquale Squitieri

Soggetto
Pasquale Squitieri

Sceneggiatura
Pasquale Squitieri, Ennio De Concini

Fotografia
Giulio Albonico

Operatore
Marco Onorato

Musica originale
Tullio De Piscopo

Suono
Davide Magara

Montaggio
Mauro Bonanni

Effetti speciali
Gino Vagniluca

Scenografia
Marco Canevari

Costumi
Danda Ortona

Trucco
Teresa Cicchetti

Aiuto regia
Serena Canevari

Interpreti
Saverio Marconi (Mario Gargiulo), Stefano Madia (Umberto), Imma Pirro (Michelina), Simona Mariani (Anna), Enzo Cannavale (don Peppino), Angelo Infanti (Carlo Esposito), Cristina Donadio (Giuliana), Claudio Bertoni (venditore), Victoria Zinny, Franco Angrisano, Manuel Laghi, Geoffrey Copleston, Aldo Massasso, Antonella Patti, Salvatore Billa

Direttore di produzione
Bruno FrascĂ 

Ispettore di produzione
Ruggero Salvadori

Produzione
Luigi Borghese per Cinematografica Alex

Distribuzione
Titanus

Note
Visto censura 75581 del 13.9.1980; 2719 metri.
 
Direzione artistica: Marco Canevari; assistente operatore: Sergio Melaranci; fotografo di scena: Pina Di Cola; musiche eseguite da: Tullio De Piscopo Ensemble; effetti sonori: Luciano e Massimo Anzellotti; montaggio effetti sonori: Attilio Gizzi; assistente al montaggio: Loredana Cruciani; aiuto assistente al montaggio: Massimo Gasperini; aiuto costumista: Silvia Polidori; sarta: Bertilla Silvestrin; parrucchiera: Maria Rizzo; mixage: Romano Checcacci; interpreti: Vittorio De Bisogno, Barbara Coscia, Giovanni Febraro, Sacha D'Arc, Dino Arixi, Vito Fornari, Lombardo Fornara, Karin; segretaria di edizione: Daniela Puccini; segretaria di produzione: Silvia Ormezzano;

Locations: Torino (piazza Carlo Alberto, piazza Solferino, piazza Castello, piazza Palazzo di Città, largo Vittorio Emanuele, Porte Palatine, mercato di Porta Palazzo, via Pomba, via Artom), Saint Vicent (AO), Minori (SA), Roma (Teatri di posa De Paolis Incir).





Sinossi
Nato a Minori, in provincia di Salerno, Mario Gargiulo vive nei pressi di Torino con la sorella Michelina e la figlia di questa. Insoddisfatto del lavoro in fabbrica, Mario accetta l'invito del compaesano Umberto, che dirige un locale notturno a Torino.




Dichiarazioni
«[Torino] offre, più di ogni altra [città], un panorama completo e pauroso […] del tormento degli immigrati che non si integrano con la popolazione locale, perché il loro problema non è soltanto quello della condizione di vita in fabbrica – bene o male, oggi, quasi soddisfacente – ma la mancanza totale della loro tradizione, del folclore della loro terra, che significa cultura, lingua, teatro ed è anche giustificazione esistenziale» (P. Squitieri,  “La Stampa”, 23.2.1980).
 
«Abbiamo dovuto affrontare molti problemi. Il film doveva essere girato tutto a Torino ma, per il clima particolare di tensione, di paura, non ci è stato permesso di girare all’interno delle fabbriche, perciò abbiamo dovuto realizzare una catena di montaggio negli studi romani» (L. Borghese, “La Stampa”, 23.2.1980).





«Tra le lettere al sindaco Novelli ce n'è una inviata da alcuni benpensanti in cui si protesta contro l'invasione della gente del Sud, una “razza sel­vaggia”, erede di pirati e di vandali. Pasquale Squitieri, na­poletano verace, rovescia l'ac­cusa sui piemontesi: realizza un film che si chiama appunto Razza selvaggia e sviluppa la tesi che quella dei meridionali in Piemonte non è stata una emigrazione; bensì una “depor­tazione di massa”, cominciata nel secolo scorso, quando l'lta­lia si fece “una e libera”, come si legge nei libri di scuola, e proseguita fino al boom dell'automobile. La camera di Squitieri, a un certo punto del film, indugia sui monumenti, le statue equestri di Torino: spade aguzze, baffi a punta, espressioni dure e rapaci. Sotto i monumenti passa la moto di Mario Gar­giulo, il protagonista del film, giovane operaio che stando al Nord ha perso la sua identità, la sua lingua (Squitieri prega di non chiamare il napoletano “dialetto”), la sua fede politica. Ha perso cioè l'orgoglio di un passato civile. “A Napoli”, dichiara Squitieri, “non ci sono monumenti a ‘conquistadores’, bensì a scrittori, poeti, avvoca­ti”. Qual è la “razza selvaggia” allora? Mario Gargiulo, per riappro­priarsi della propria lingua, deve attraversare drammatiche esperienze: scoprire che la so­rella Michelina si prostituisce assieme alla figlia quasi impu­bere, che il suo miglior amico, Umberto, che sembrava “arri­vato”, avendo abbandonato la fabbrica ed essendo riuscito a dirigere una discoteca, è in realtà un tossicodipendente e sta morendo di eroina. […] Razza selvaggia appartiene alla serie dei film a basso costo e la violenza cosparge quasi tut­te le inquadrature, anche le più innocue, anche dove i protago­nisti sono intenti a una spaghettata con l'aglio e il peperoncino» (C. Cosulich, “Paese Sera”, 25.10.1980).
 
«Sub-periferia cisalpina, quar­tiere degli immigrati napole­tani a Torino. Non più meridionali ma non ancora tori­nesi, parlano una lingua intermedia e affondano fra conservazione degli antichi valo­ri e acquisizione della “cul­tura” industriale» (S. Frosali, “La Nazione”, 23.10.1980).
 
«La città è un inferno di violenza e corruzio­ne: su uno spelacchiato prato di Nichelino, tra case diroccate, un gruppo circonda un ca­poreparto, lo costringe a ca­larsi i calzoni e poi gli spara; nei grattacieli di periferia, la sorella del protagonista, ter­rorizzata dalla miseria, si pro­stituisce in coppia con la pro­pria figlia dodicenne. Nel cen­tro di Torino, il protagonista viene aggredito e minacciato da delinquenti che risultano poliziotti, mentre in un palaz­zo settecentesco siede al pro­prio ricco banchetto nuziale un signore civile e generoso che risulta delinquente. Allo slargo di corso Vittorio, quat­tro quindicenni serrano uno contro il muro e gli tolgono il portafogli; al mercato del Balôn, napoletani mascherati da arabi consumano le piccole truffe quotidiane di chi prefe­risce gli espedienti all'aliena­zione. Tra l'eroina e le prostitute dei night club, il giovane ope­raio meridionale Stefano Madia, che s'è arricchito coi com­merci sporchini può finalmente permettersi di parlare quel dialetto che i poveri sono co­stretti a dimenticare dal pre­giudizio socioculturale contro i “napoli”. Crudeltà di cuori, medici che non curano il morente se prima non vedono i soldi, ban­de di guardoni ai finestrini degli amplessi in automobile, padri che piangono perché il figlio s'è perduto nel vizio, malavitosi che fanno filosofie sull'esistenza, ricchi grassi e maiali, siringhe quante se ne vuole […] Il ritratto che PasquaIe Squitieri delinea della metropoli automobilistica ha toni persino più ferrigni che ne La ragazza di via Millelire di Gianni Serra. Serra si atteneva alla zona delimitata degli emargi­nati, invece Squitieri chiama in causa tutta l'emigrazione meri­dionale, e lo fa con tesi da apocalisse» (L. Tornabuoni, “La Stampa”, 17.9.1980).
 
«In effetti il film che [Pasquale Squitieri] aveva portato al “Controcampo italiano” della mostra di Venezia […], Razza selvag­gia, è un esempio perfetto di questa sua concezione del ci­nema, soprattutto nel confron­to obbligato con un altro film veneziano, La ragazza di via Millelire, che era […] di produzione televisiva. Stesso ambiente, la Torino degli immigrati e degli “ita­liesi”, dello sfacelo sociale e della difficile integrazione lin­guistica, stessi ringraziamen­ti, alla fine, al Comune e al sin­daco Novelli. Ma le analogie sono già finite perché, se il film di Gianni Serra era fatto di a­nalisi, consulenze sociolingui­stiche, inchieste preliminari col videotape, personaggi reali che recitano se stessi e la propria miseria, Razza sel­vaggia è un film di rapide sintesi, di tipi scolpiti a forza, si­tuazioni colte nel momento più drammatico e vistoso, sangue in faccia e buchi nel braccio che sembrano spelonche» (“Il Corriere Mercantile”, 17.9.1980).
 
Squitieri ha il torto di raccontare nel suo film una Torino che non c’è più, riproponendo un’immagine fedele alla città appena uscita dalla grande immigrazione. Quando, ormai negli anni Ottanta, il film viene realizzato, Torino è cambiata; Squitieri, sordo ai suggerimenti di chi la città la vive e dunque la conosce bene (i giovani critici che lo accompagnano nei sopralluoghi preliminari, ad esempio), non se ne accorge, piega la realtà alle sue istanze retoriche e commette l’errore di rimanere legato a cliché.
 
Negli esterni, Squitieri riprende la Porta Palazzo dei funamboli, del mercatino domenicale degli animali, dei commercianti senza scrupoli, dei guappi e dei trafficanti. Vediamo Campi Lunghi sui casermoni della periferia, sulle cataste di immondizia e sui mercatini davanti ai cancelli Fiat.


Scheda a cura di
Davide Larocca

Persone / Istituzioni
Pasquale Squitieri
Ennio De Concini
Giulio Albonico
Mauro Bonanni
Saverio Marconi
Stefano Madia
Enzo Cannavale


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