Regia Paolo Conte
Soggetto Paolo Conte
Sceneggiatura Paolo Conte
Musica originale Paolo Conte
Montaggio Rocco Sanchirico
Produzione Renzo Fantini per Platinum
Note Sottotitolo: Vaudeville
Illustrazioni: Paolo Conte; cantanti: Paolo Conte, Ginger Brew, Nathalie Cerda, Cheryl Porter, Lucia Minetti, Michela Martelli, Paola Lorenzi, Daniela Panetta, Laura Conti, Piero Lucarelli; coro: Convito Musicale diretto da Franco Sebastiani; musicisti: Paolo Conte (pianoforte), Massimo Pitzianti (clarino, pianoforte, fisarmonica, bandoneon), Alberto Mandarini (tromba), Luca Velotti (clarino, sax soprano), Claudio Chiara (sax alto), Giampiero Malfatto (trombone), Rudy Migliardi (trombone), Daniele Di Gregorio (pianoforte, tamburi e percussioni), Leo Martina (organo), Alessio Menconi (chitarra), Daniele Dall’Omo (chitarra), Jino Touche (chitarra), Enrico Bellati (corno francese), Maria Caldara e Anna Barbero (duetto pianistico), Luciano Girardengo (quartetto d’archi), Orchestra Filarmonica di Torino diretta da Giancarlo Gazzani, Orchestra Sinfonica di Pesaro diretta da Daniele Di Gregorio; assistente al montaggio: Matteo Saluzzo; voci narranti: Annie Girardot (versioni italiana e francese), Judith Malina (inglese), Anitha Mantel (tedesca), Viviana Elisa Lovotrico (spagnola); voci dialoghi: Philippe Dumond (Lou Zéphir), Christine Delaroche (Madame Fines Herbes), Virginie Aster (Madeleine), Liliana Oliveti (Mariam), Regis Ander (Marius Le Rideau), Bernard Tixier (Michel/segretario di Flirt), Raffaele Fallica (Pastrone), François Delemar (portiere dell’Hotel), Marianne Halsey (Scat), Richard Greenslade (Sidney), Fabienne Roca (donna che fa ginnastica), François Delemar (stewart), Pierre Saint Ons (Supercharleston), Daniel Colas (Vive La Nuit), Pauline Larrieu (Zarah); Assistente registrazione dialoghi: Liliana Oliveti;
Il termine “razmataz”, che talvolta si trova scritto con un numero maggiore di zeta, nello slang dei vecchi ballerini americani assume vari significati, tra i quali sembra prevalere quello di “bugiardo”; forse anche la stessa parola jazz, di cui non è certa l’etimologia, deriva da questo termine.
Razmataz è un film in DVD, ma con stesso titolo è stato pubblicato un CD musicale ed è stata allestita in varie città europee una Mostra audiovisiva con 80 disegni originali scelti tra i 1800 seguiti da Conte per il film. A Torino la Mostra – curata dall’Associazione Museo Nazionale del Cinema – è stata ospitata dall’Archivio di Stato dal 10 al 26 ottobre 2002.
Sinossi
Parigi, anni Venti. Monsieur Rideau, direttore di un teatro, si è addormentato mentre aspetta l'arrivo di una compagnia di musicisti e ballerini afroamericani. Ma una delle balerine scompare e un poliziotto inizia a cercarla in un ambiente abitato da vari personaggi: un'artista espressionista tedesca, uno stilista parigino, un viveur italiano, un ricchissimo industriale, uno sportivo inglese...
Dichiarazioni
«Razmataz è un vecchio sogno che coltivo da trent’anni, figlio dei miei vizi capitali che sono la musica e la pittura e figlio del mio insistente desiderio di mettere il naso nel gusto e nello spirito degli amati anni venti […]. La spiegazione del progetto deve partire da un esordio che può sembrare provocatorio, anche se non lo è: facciamo finta che il cinema non sia ancora stato inventato. Ecco, in parole poverissime: potrebbe sembrare uno sceneggiato radiofonico illustrato, oppure, al contrario, uno storyboard sonorizzato. Infatti il lavoro, al pubblico, offre mischiate insieme le seguenti tecniche: una voce narrante, dialoghi e monologhi di personaggi, musica live, musica in background, rumoristica ed illustrazioni in grande abbondanza. […] La coesistenza i tutti questi linguaggi è sembrata, fin dalle prove iniziali, una coesistenza pacifica, addirittura amichevole. È chiaro: non c’è movimento, le immagini […] possono essere guardate più che altro come quadri di una esposizione, la voce narrante le aiuta commentandole e qualche volta offrendo loro un po’ di “letterarietà”, i dialoghi le caricano di un timbro adulto e realistico. Ma alla fine è la musica che la fa da padrona e assorbe in sé (anche attraverso i testi delle canzoni) tutto il gusto generale che il lavoro propone» (P. Conte, Razmataz, Concerto, Bologna, 2000).
«L’epoca che ho sempre amato di più e alla quale faccio continuo riferimento nel mio lavoro è appunto quella del primo Novecento: […] Si tratta, a mio avviso, della culla di tutte le avanguardie, sul versante tanto delle arti figurative (dal futurismo al dadaismo, dall’astrattismo all’espressionismo) che della musica, senza peraltro dimenticare che proprio in quel contesto si colloca la nascita del cinema. Sul versante della musica colta, si ha tutto un fermento che dall’atonalismo giunge fino alla dodecafonia. E non va dimenticata la nascita, a lato, del jazz […]. Nella storia che racconto in Razmataz ho voluto mostrare l’incontro (o meglio, uno dei possibili incontri) tra la vecchia, Europa, che forse incominciava ad essere un po’ stanca di certe sue abitudini estetiche e di certi suoi miti, e la grande novità che proveniva dall’America, nei termini, soprattutto, della negritudine che rappresentava un po’ la mania di quegli anni (era come se Parigi sentisse quasi la necessità dì una “regina” nera che ne animasse le notti)» (P. Conte, “Mondo Niovo 18-24 ft/s” n. 1/71, 2003).
«Se per “film” intendiamo una pellicola che in proiezione mostra immagini in movimento, dobbiamo ammettere che Razmataz è altra cosa: forse, come propone l’autore stesso, una sfida al cinema, «uno sceneggiato radiofonico illustrato, oppure, al contrario, uno storyboard sonorizzato», forse un graphic musical, forse un audiovisivo creato facendo «finta che il cinema non sia ancora stato inventato», o come se il cinema stesso fosse ormai un mezzo espressivo superato dai linguaggi visivi e sonori digitali. In modo più appropriato si po’ accostare Razmataz ad un vaudeville, cioè una multiforme struttura spettacolare nella quale si mescolano musica, canzoni, dialoghi, voci narranti, rumori, disegni realizzati con varie tecniche pittoriche (matita, gouache, inchiostri, pastelli ad olio, ecc.). Paolo Conte è autore assoluto di ogni cosa, dei testi, dell’impasto sonoro e delle immagini: circa mille e ottocento opere grafiche non “animate” ma “mostrate” in successione, come se fossero i quadri di un’esposizione. La fissità degli elementi iconografici viene in qualche modo esaltata dal fatto che essi vengono esplorati dalla telecamera la quale compie carrellate, panoramiche, zoomate; altre apparecchiature elettroniche operano ridimensionamenti, capovolgimenti, rielaborazioni cromatiche e contrappongono le immagini l’una all’altra in un montaggio [...] opportunamente ritmato. [...] Con la sua opera grafica Paolo Conte dimostra di non essere un musicista che a tempo perso si diletta di pittura per soddisfare un suo capriccio; la pittura è un altro suo modo di esprimersi, coltivata da molti anni. [...] Percorsa da stimoli modernisti e al tempo stesso attratta dall’esotismo, dall’arte primitiva, Parigi appare il luogo favoloso in cui si incontrano culture diverse [...] Conte rende un delicato omaggio agli artisti che vivevano in quella città e in quell’epoca storica; egli stesso cerca la propria identità artistica in tale mitica dimensione. Vediamo così nei disegni e nella colonna sonora di Razmataz l’interazione di diverse istanze culturali: espressionismo, futurismo, cubismo, dadaismo, blues, jazz, canzoni francesi, melodrammi italiani, danze spagnole, letteratura noir, fumetto, disegno animato, cartellonistica, musical. Le immagini disegnate da Conte denunciano evidenti influssi di alcuni dei maggiori pittori del secolo scorso: Matisse, Mirò, Toulouse Lautrec, Derain, Dufy, Bacon, Giacometti, Marc, Grosz, Rouault, Feininger, Steinberg, Beckmann, Russolo, Sironi, Kirchner, Man Ray. [...] Come nelle scelte visive, anche in quelle musicali Conte crea un pastiche fra stili e ritmi diversi (tanghi, giava, valzer musette, echi gershwiniani) ai quali conferisce omogeneità il jazz [...]. Raffinatissime invenzioni strumentali, eleganti e sinuosi fraseggi conferiscono al film una struttura espressiva efficace che non deriva per nessun verso dal musical hollywoodiano, né dalla commedia musicale all’italiana. [...] L’obiettivo dell’autore è quello di indurci a reagire con la nostra immaginazione e la nostra partecipazione emotiva agli stimoli visivi e sonori che giungono dallo schermo. Razmataz, in altre parole, dovrebbe essere “consumato” in modo radicalmente diverso da quello con cui siamo soliti vedere un film o un video musicale, ma con lo stesso spirito con cui visitiamo una galleria d’arte o ascoltiamo un concerto. Lo spettatore ideale sarebbe perciò quello meno frettoloso, più disponibile a lasciarsi trasportare, attraverso la commistione di vari linguaggi espressivi, in un universo onirico in cui ogni parola, ogni suono, ogni forma grafica, rivelano la presenza misteriosa di una realtà complessa e ambigua, irriducibile a nessuna facile interpretazione» (F. Prono, in V. Zagarrio, a cura, La meglio gioventù. Nuovo Cinema Italiano 2000-2006, Marsilio, Venezia, 2006).
«Una chicca, un Dvd destinato a diventare cult. Parlo del Razmataz di Paolo Conte, dove, con chiave di oggi e con tecnologia ultima, si realizza una contaminazione artistica e linguistica che mima perfettamente lo spirito sperimentale degli anni Venti. Sono gli anni nei quali è ambientato questo musical che Paolo Conte ha realizzato con un lavoro mastodontico. [...] Un esempio per tutti: il titolo del brano Der Blaue Reiter (Il cavaliere azzurro, che compare nel Dvd e non nel Cd già pubblicato) è lo stesso di un movimento pittorico d'avanguardia fondato a Monaco da Kandinskij e da Marc, a cui più tardi aderirà Paul Klee. Il racconto del musical si snoda di disegno in disegno con perfetti sinc sonori e stacchi da cinema quasi d'azione. La colonna sonora, della durata di oltre due ore, ha comportato la medesima fatica di un musical da teatro d'Opera a tre dimensioni. Le arti in gioco sono tante: cinema, fumetto, pittura, musica, teatro. Paolo Conte, incredibilmente dotato perfino con i carboncini, le tempere e i colori, è in pieno stato di grazia: il Dvd Razmataz, paradossalmente, lo si può tenere acceso durante la giornata come fosse un quadro musicale. Dipinti dal sapore francese, inglese dei primi anni del secolo, con irruzioni nel dadaismo, nel futurismo e nelle avanguardie artistiche di quei tempi, sono corredati da una colonna sonora di una suggestione irresistibile. [...] Il jazz si mischia all'operetta tradizionale mandandola in mille pezzi e intanto si colora di un'Europa dove sta per venire alla luce la scoperta più importante del secolo: la velocità. Fisarmoniche e trombe suonano insieme, sassofoni e musette de cour; ghironde e coulisses si ritrovano sulle medesime pedane. Stravinskij sperimenta il Rag. A New York il grande Gershwin, porta Ravel nel jazz, proprio quando, sul treno che la conduce a Parigi, scompare una ballerina nera di nome Razmataz» (V. Cerami, “Musica!” de “la Repubblica”, 28.6.2001).
«A ben riflettere, non sono pochi i grandi pittori che hanno coltivato il vizio della musica, a partire se non altro da Leonardo, che non poteva perdersi il lusso d’essere anche un po’ compositore, o il francese Ingres [...] Ed è difficile stabilire, burberamente, se si trattava soltanto di hobby o se era qualcosa di più, quando un musicista evocatore di atmosfere paesaggistiche come Mendelssohn inviava in famiglia le sue splendide vedute del viaggio in Italia, degne di un disegnatore romantico. [...] E se i virtuosi vantano per lo meno Chopin [...] o il caricaturista Caruso, veli pietosi è meglio stendere sui cantanti che s’improvvisano pittori. Il caso di Paolo Conte è diverso [...] per lui dipingere è un “vizio capitale” non meno forte, e originario, ce il far musica [...] e lo dimostra anche il numero, quasi picassiano, di fogli, acquerelli, gouaches e matite, oltre 1800, che ha predisposto per il suo “film musicale” Razmataz» (M. Vallora, “La Stampa”, 7.4.2003).
«La prima volta che ho visto Razmataz ho dovuto immediatamente spogliarmi di quelle categorie fastidiose che accompagnano lo spettatore di professione, che lo inducono a cercare necessariamente una definizione, un irrigidimento in uno schema univoco. Ho capito che l’unico approccio possibile era quello di abbandonarsi, perché, secondo me, la vera essenza di quest’opera è costituita dal suo essere un sogno. Un sogno in forma di musica, un sogno in forma di film; perché è soltanto in un sogno che possono prender forma e mescolarsi le variegate atmosfere che caratterizzano Razmataz, sospese nello straordinario contesto degli anni Venti in quel di Parigi, che era allora il vero e proprio epicentro del mondo: la Parigi del Moulin Rouge, di Renoir, di Toulouse-Lautrec e dei balletti russi. Al primo impatto con Razmataz, verrebbe naturale domandarsi per quale motivo un cantante con una carriera così straordinaria, che è divenuto uno dei nostri pochissimi punti di riferimento esistenziale, oltre che artistico, abbia voluto cimentarsi in un’impresa del genere, che non rientra nel suo campo, non è materia di sua pertinenza. Si potrebbe pensare che abbia in tal modo voluto togliersi un capriccio, realizzare un desiderio che da chissà quanti anni si trascinava dietro. In realtà, questa sensazione svanisce immediatamente, in quanto la soppianta un’altra sensazione assai più forte, e cioè la consapevolezza del fatto che si tratta invece di un azzardo, l’azzardo di un individuo che, a un certo punto, ha il coraggio di rimettersi in gioco, affrontando un terreno che, almeno in apparenza, non gli appartiene. E tuttavia, siccome poi, alla fine, tutto torna, l’immagine che più di ogni altra mi è rimaste nel cuore di questo lavoro è quella di Paolo Conte che guarda Paolo Conte, un Paolo Conte che ha messo una serie di barriere non usuali tra sé e sé: il cinema, la pittura, alcune tecniche di scrittura che sino ad ora non aveva praticato, e lo fa, in ultima analisi, per aver modo di guardare se stesso» (A. Grasso, “Mondo Niovo 18-24 ft/s” n. 1/71, 2003).
«Sgombriamo subito il campo a ogni possibile equivoco: Razmataz non è un film, né un video musicale, né un concerto o cose del genere. Non è neppure un’operazione facile facile, di quelle furbe ed ammiccanti lo spettatore, fatte esclusivamente per fini commerciali. Razmataz è un prodotto multimediale diverso e, soprattutto nell’ambito delle produzioni in DVD, assolutamente originale. [...] C’è da dire che, quella di Paolo Conte, è davvero una curiosa e singolare scommessa. Provare nell’era delle immagini in movimento diffuse ovunque, nell’epoca della Real-TV, a raccontare una storia attraverso una forma espressiva esplicitamente “pre-cinematografica”» (F. Chiacchiari, “DVD World” luglio-agosto 2001).
«“Sceneggiato radiofonico illustrato”. Tre termini usa Paolo Conte per parlare della sua opera multimediale. Tre termini che richiamano alla mente e ai sensi suggestioni forse dimenticate. Lo sceneggiato, con le sue puntate cariche di attesa. La radio, con la sua affascinante capacità di trasportare chi ascolta in ogni angolo della terra. L’illustrazione, uno dei modi più immediati con cui l’uomo si esprime. Tutto questo è Razmataz» (P. Giannageli, “Il Messaggero”, 18.8.2001).
«Razmataz è innanzi tutto una parola, un suono spezzato che assume nella pronuncia un valore quasi onomatopeico: innanzi tutto, perché non è solo in questo che si riassume il lavoro di Paolo Conte. A suo modo è comunque dichiarazione di una poetica sospesa tra immagine e suono, un curioso neologismo privo d’origine e di punti d’approdo, libero come la commistione dei sensi che propone. [...] L’immagine come coronamento del tutto simultaneo e del sinestesico, come accadere contempraneo d’ogni stimolo sensoriale. Wagner e l’idea dell’opera d’arte totale. Stravinskij e Kandinskij che, dopo l’incontro con la musica di Shönberg, rimane fulminato dall’intuizione d’una cromia che vive di segrete vibrazioni spirituali, i dada e gli esperimenti dei futuristi russi: l’arte diventa espressione intima dell’esistenza. Razmataz è tutto e ancora di più, è un viaggio che glissa ogni frontiera ed esce fuori dagli argini del comune racconto» (D. Pellegrini e P. Dossena, “Cous Cous” n. 20, gennaio 2002).
«Razmataz rappresenta la rimessa in gioco di linguaggi che, proprio nel ritmo di un oggetto filmico trovano la massima espressione di quella dinamicità amata da molti artisti delle avanguardie. Sono soprattutto le forme ad essere saccheggiate avidamente e caricate di nuovo valore, all’interno di un linguaggio moderno e personalissimo. Conte si affida, ad esempio, ad uno stile da nuovo futurista per descrivere l’urbanità, la corsa della città [...]. E a questa realtà sferragliante, di rette e angoli, di archi come arcobaleni tecnologici, accoppia il sussurro iridescente di un sogno morbido, l’accostamento sorprendente e assurdo di oggetti alla maniera surrealista [...]. E certo la sua figurazione risente di molti dei sensi con cui la violenta marea espressionista si manifestò, dalle intense dolcezze di Derain, attraverso le nervose incertezze di Dufy e la concitazione di Vlaminck, fino al vigore ancestrale del gruppo Die Brücke. Nelle spigolose provocazioni di signore civettuole a passeggio per Parigi c’è il gaio artificio della femminilità che più duramente ci colpisce nelle cocottes di Kirchner [...]; nelle semplici figure nude o seminude di ballerine e mannequin c’è la compostezza mite e l’esotismo acerbo delle donne di Otto Müller; mentre in certe movenze elastiche e curve delle danzatrici si scova la plasticità polimorfa di Emil Nolde» (S. Fedrigo, “Carte di Cinema” n. 8, estate-inverno 2001).
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