Regia Marco Ponti
Soggetto Marco Ponti
Sceneggiatura Marco Ponti
Fotografia Marcello Montarsi
Operatore Davide Mattone
Musica originale Motel Connection
Musiche di repertorio F. Schubert, W.A. Mozart, G. Bizet, C. Palmer, D. Caplinger, P. Tomashek, G. Geissman, K.F. Lundeberg, N. Tanner
Suono Marco Tidu
Montaggio Walter Fasano
Scenografia Andrea Rosso
Arredamento Patrizia Vecchio
Costumi Marina Roberti
Trucco Nadia Aratari
Aiuto regia Fabio Tagliavia
Interpreti Stefano Accorsi (Andrea), Anita Caprioli (Dolores), Libero De Rienzo (Bart), Mandala Tayde (Lucia), Domenico D’Alessandro (Pier Paolo), Fabio Troiano (Marco), Aleksandar Cvjetkovic (padrone di casa), Andrea Camuffo (barista), Elisabetta Valgoi (cameriera bar), Roberta Fornier (cliente libreria), Luca Biachini (commesso libreria), Franco Neri (uomo delle pizze), Alessandro Pisci (commesso videoteca), Simonetta Benozzo (commessa multiplex), Valentina Di Nunno (commessa negozio abiti da sposa)
Casting Mirta Guarnaschelli
Direttore di produzione Diego Cavallo
Ispettore di produzione Adriano Bassi
Produzione Roberto Buttafarro per Rai Cinema, Harold, Mikado
Distribuzione Mikado
Note Operatore steadycam: Giovanni Gebbia; assistente operatore: Maurizio Lorenzetti; fotografo di scena: Guido Salvini; canzoni: Santa Maradona (Manu Chao/Mano Negra) dei Mano Negra, Nuvole rapide (Romano/Rama/Casacci/Di Leo) dei Subsonica, Rivoluzione in te (Sardo/Napoli) dei Mambassa; suono in presa diretta Dolby Digital; montaggio del suono: Benni Atria; microfonista: Stefano Tuderti; assistenti al montaggio: Alessandra Malvestito, Daniela Sarli, Raffaella Zita; aiuto scenografa: Raffaella Cuviello; assistente alla scenografia: Sigridur Birna Bjornsdottir; assistenti ai costumi: Angelo Poretti, Paola Ronco; parrucchiera: Raffaella Alpignano; assistenti alla regia: Francesco Beltrame, Marta Pasqualini; altri interpreti: Giuseppe Lo Console (primo barista discoteca), Salvatore Barbo (secondo barista discoteca), Piera Cravignani (vicina di casa), Cesare Melchiori (primo manager), Gianni Caretta Pontone (secondo manager), Franco Olivero (terzo manager), Germana Pasquero (quarto manager), Franco Urban (quinto manager), Michele Di Mauro (sesto manager), Franco Angeli (settimo manager), Gabriele Vacis (direttore creativo); organizzatrice generale: Marisa Grieco; direttore di edizione: John Cesaroni; segretaria di edizione: Fernanda Selvaggi; segretari di produzione: Adelina Arcidiaco, Stefano Bocchini, Paolo Cellini, Claudia Elisei, Chiara Rege Cambrin; amministratore: Franco Giannì; collaborazione alla produzione: Tele+.
Alla fine del film appare questa didascalia: “Dedicato a Gianni Borgo e BB, Bud Spencer & Terence Hill, JLG”.
Il film è stato realizzato con il sostegno della Film Commission Torino Piemonte.
Locations: Torino, Milano, Napoli, Barcellona.
Premi: David di Donatello 2002 a Marco Ponti come Miglior Regista Esordiente ed a Libero De Rienzo come Miglior Attore non Protagonista; Premio Migliore Film Rivelazione al festival delle Cerase 2002; Premio FiPRESCI come Miglior Film e Premio Miglior Attore (ex-aequo) a Libero De Rienzo Al festival Internazionale di Mar del Plata 2002.
Sinossi
Andrea, ventisettenne torinese, laureato, conduce una vita monotona in attesa di un lavoro; divide l’appartamento con lo sfaticato Bart e ha una cara amica, l’italo-indiana Lucia. La sua vita viene cambiata dall’incontro con Dolores.
Dichiarazioni
«Santa Maradona è una canzone di Manu Chao del 1994, che [...] il cantante franco-spagnolo utilizza per chiudere i suoi concerti. In questa canzone si mescolano cori da stadio, telecronache, musica punk: un modo di rendere epico il mondo del pallone. Maradona diventa un santo protettore che vegliava sugli italiani e che ora non c'è più. Gli hanno aggiunto Santa come per metterlo sul calendario. Nel film c'è questa stessa commistione di elementi (commedia, azione, dramma; cartoni animati, musica, e naturalmente calcio), e un'analoga voglia di rendere epico il quotidiano: due persone che parlano, il volto di una persona che si ama, le chiacchiere quotidiane. E poi, non dimentichiamolo, Diego Armando Maradona è stato ed è tuttora un personaggio per molti scomodo, un ribelle, uno che non è mai stato zitto quando le cose non gli piacevano, anche a costo di pagare un caro prezzo in popolarità, in sicurezza personale, in equilibrio della vita privata. Per i due eroi del film, Andrea e Bart, Maradona non può non essere una specie di parente lontano» (M. Ponti, www.saverioferragina.com).
«Il mio primo giorno sul set non lo scorderò mai. Al momento di urlare “azione”, ho taciuto: volevo fermare quell’attimo irripetibile, imprimermelo nella memoria. Poi ha cominciato a scorrere tutto liscio, anche grazie al cast e allo staff tecnico ed è diventata una passeggiata. [...] Lavoriamo 9 o 10 re al giorno, ma i divertiamo. Quando parte la scena, io sono là dietro il monitor e non riesco a non ridere, e anche gli altri ridono. È un buon umore costruttivo» (M. Ponti, “La Stampa”, 10.6.2001).
«Il film si svolge in un sacco di posti; non si svolge in una città specifica. Parte del film si svolge in Spagna perché la protagonista del film è spagnola e Dante, per vari motivi, finisce in Spagna. La città di Torino in realtà è un puzzle di molte città; le scene torinesi sono state girate a Torino, Milano, Napoli e Barcellona, per cui la città non sarà molto riconoscibile» (Marco Ponti, www.trovacinema.repubblica.it/news).
«Leggendo la sceneggiatura mi sono riconosciuto in questo modo di parlare sarcastico e distruttivo, molto nostro. Sì, mi sembra un ritratto di gioventù contemporanea credibile, questo. [...] Mi pare di vedere molte persone infelici che perseguono cose che non vorrebbero e poche felici che si perdono in piccole cose desiderate» (S. Accorsi, “La Stampa”, 20.10.2001).
Il film tratta il tema del difficile passaggio all’età adulta e alle sue responsabilità. La trama è sostenuta da dialoghi brillanti, da una bella fotografia ricca di immagini con valenze simboliche e da un montaggio con esperimenti dagli esiti felici.
L’esordio al lungometraggio di Marco Ponti viene accostato a diversi altri lavori dello stesso periodo che, come Santa Maradona, si occupano della generazione dei ventenni e dei trentenni, come ad esempio L’ultimo bacio, film di Gabrile Muccino sempre del 2001. «A differenza di quelli, per esempio, di un Muccino, i giovani personaggi di Ponti sono del tutto sradicati dalla famiglia d’origine. Non ci sono genitori nel film: quello di Andrea è morto; quelli del terzo inquilino, depositato di fronte alla porta di casa dei suoi, dopo una settimana di sonno drogato, dal quale non si riesce a svegliarlo, non rispondono al campanello, o forse hanno addirittura traslocato; al massimo, quando se ne parla, senza comunque mai vederli, come nel caso di quelli di Lucia, si segnalano per la scarsa capacità di comprensione. I legami familiari si riducono a uno zio che potrebbe offrire un posto di lavoro nel ramo vendita dei box doccia e i personaggi sono bambini già in età adulta e stranieri (come il cognome di Andrea all’anagrafe, declinato al singolare) nella propria città di appartenenza» (F. Calamante, “Itinerari Mediali”, gennaio-febbraio 2003).
Molti i rimandi presenti nel film, soprattutto al cinema, alla musica e allo sport, ad iniziare da Diego Armando Maradona, celebrato fin dal titolo, e i Mano Negra, gruppo musicale francese che all’asso argentino ha dedicato una celebre canzone, brano portante della colonna sonora del film. Sembra quasi che nei miti citati con fervida devozione i personaggi cerchino riferimenti che non trovano altrove. «Forse, quelli di Ponti, sono solo eroi comici, consapevoli della propria quotidiana banalità, individui minuscoli ai piedi di una gigantografia di Pamela Anderson, che il loro genio lo esplicano nella vita di tutti i giorni e, comunque, come confessa Bart nella libreria, più attratti dalla “sregolatezza pura in assenza di genio”. Meglio allora virare su padri spirituali minori e più raggiungibili e accontentarsi di un Rocco (Siffredi) “che non muore mai”, del Bill Gates di un bestseller che qualche idea buona dovrà pure averla avuta, dei Calvin&Hobbes di un fumetto spiegazzato, del Willy il Coyote di una tazza da caffè e dei Bud Spencer & Terence Hill di una videocassetta che non si trova» (Ibidem).
«Dal punto di vista sociologico, in Santa Maradona potrebbe rispecchiarsi un pubblico generazionale di segno uguale e contrario a quello che ha decretato il successo al botteghino de L'ultimo bacio. Dal punto di vista formale, invece, essendo molto più povero di budget e meno abilmente scritto e diretto, questo film si presenta meno competitivo di quello di Muccino. Ma l'opera prima, ambientata a Torino, è pervasa da estro e da una scontrosa vitalità ben resa dagli interpreti; e tutto fa pensare che di Marco Ponti risentiremo parlare» (A. Levantesi, “La Stampa”, 28.10.2001).
«I protagonisti del film hanno venticinque anni o poco più. Sono in quel limbo post-universitario in cui si cerca lavoro senza convinzione né speranza di trovarlo. Sono in quel limbo sentimentale in cui, esauriti gli amori adolescenziali, ci si affaccia su rapporti che rischiano di durare e condurre a scelte definitive: il matrimonio, i figli. Sono, insomma, nello stesso limbo in cui fluttua il pubblico: composto, probabilmente, di sottoccupati che lavorano in nero e di occupati interinali o a tempo determinato; composto, probabilmente, di single esigenti e inveterati, di coppie instabili e complicate. Certo, ci saranno le isole felici: coppie che funzionano, lavoratori soddisfatti. Anche nel film c'è un'isola felice, Dolores - e non saremo mai abbastanza grati a Marco Ponti per averci regalato un personaggio femminile completo: una ragazza bellissima, sì, ma che insegue un sogno; quella, fra i quattro protagonisti, che ha le possibilità più concrete di fare la vita che vuole. Quella, fra i quattro protagonisti, con cui ci si identifica meno, naturalmente: troppo speciale. Molto più facile, anche per una femmina, riconoscersi nel personaggio di Stefano Accorsi: riconoscersi ai colloqui di lavoro, imbalsamati in un tailleur, irrigiditi nella discrepanza fra ciò che ci viene chiesto di essere, ciò che vorremmo essere e ciò che siamo; riconoscersi nella sua storia d'amore, incapaci di maturità e coraggio. E, tutto sommato, poco importa che quei quattro venticinquenni fittizi abbiano alcune caratteristiche o prerogative piuttosto insolite fra i loro coetanei reali: quella di vivere per conto proprio, ad esempio, in una perfetta assenza di affetti (o scontri) familiari» (A. Montrucchio, “La Stampa”, 25.11.2001).
Alcuni critici giudicano eccessiva la caratterizzazione dei personaggi e ritengono questo aspetto il principale difetto del lavoro di Ponti. «Il film si mostra fin dall'inizio tanto tipicizzato da poter essere letto come un'indagine sociologica sui "giovani" (sia detto con cadenza affettuosamente morettiana) di età, classe sociale e collocazione geografica ben precise: prossimi ai trenta, appartenenti alla piccola e media borghesia del Nord. Se i loro comportamenti, dialoghi, reazioni appaiono largamente prevedibili, la ragione non è fenomenologica, bensì squisitamente cinematografica: un esordiente sia pur volonteroso e non privo di doti come l'aviglianese Marco Ponti, nell'accingersi a trasformare in finzione un universo giovanile che pure conosce molto bene, non può che cadere nella trappola della standardizzazione dei personaggi e delle situazioni. Così Andrea è il ragazzo bello, sensibile, un po' immaturo; Bart è cinico, solitario, dall'umorismo pungente; Dolores è la donna ideale, bella, matura e intelligente; Lucia è l'amica "esotica" dolce e un po' ingenua: si aggirano tutti per luoghi largamente riconoscibili della Torino diurna e notturna, passando da una passeggiata nel centro storico alla serata nel più celebre locale alternativo del capoluogo piemontese» (M. Bertolino, “Cineforum” n. 10, dicembre 2001).
«Il fatto che un film descriva una condizione di abulia, di bighellonaggio, di cazzeggiamento generazionale (la sindrome di Peter Pan aggiornata ai nostri tempi) non giustifica che lo stesso film se ne lasci contagiare in termini di sciattezza, logorrea, approssimazione psicosociologica. Nonostante le liete accoglienze da parte di illustri firme, Santa Maradona resta un film smozzicato, scialbo, insignificante - palesemente costruito sulla maschera maramalda ed esagitata di Stefano Accorsi, ampiamente surclassato dal comprimario (e debuttante) Libero Di Rienzo: ambedue artefici di una strana coppia, che tenderebbe a disvelarci il volto squattrinato dei trentenni poco rampanti, ammessi alle furbacchiotte intermittenze del cuore de L'ultimo bacio» (A. Pizzuto, “Cinemasessanta” n. 6/262, novembre-dicembre 2001).
«Esordio inconsueto quello di Marco Ponti, 34 anni, piemontese con alcuni anni di copywriter e assistente di semiotica, e ora autore, sceneggiatore e regista di Santa Maradona [...] Santa Maradona è una canzone del 1994 del cantante franco-spagnolo Manu Chao: un modo di rendere epico il mondo del pallone. Nel film c'è questa stessa commistione di elementi (commedia, azione, dramma, cartoni animati, musica e naturalmente calcio) e un'analoga voglia di rendere epico il quotidiano. Non è l'intreccio, quindi, a fare la parte del leone, ma i personaggi, le situazioni, le atmosfere e i dialoghi» (R. Fegatelli, “Trovaroma”, 18.10.2001).
«Santa Maradona più che un film vero e proprio sembra essere una sequenza di scene che si susseguono veloci, assemblate secondo un sottile filo logico ma che potrebbero anche vivere indipendenti, forti di essere radicate nell'immaginario dello spettatore, fruitore suo malgrado di videoclip e spot pubblicitari; infatti è proprio a questi due generi che il regista si affida e da cui saccheggia un linguaggio estremamente dinamico, accattivante e immediato, ma, soprattutto, attualissimo e "globale". L'evidente assenza di coesione e organicità è comunque da imputarsi alla mancanza di una storia forte capace di dare profondità al soggetto, come se l'autore si fosse soffermato più sulle battute e sugli effetti superficiali e suggestivi. [...] Peccato però che Santa Maradona proponga uno stile di vita, dei quasi trentenni, diffuso solo nell'immaginario collettivo del "dopo-Muccino", e che in realtà non esiste» (E. Gagliardi, “Film” n. 56, marzo-aprile 2002).
«E come due piccoli eroi del quotidiano vengono descritti Accorsi e De Rienzo, semi-trentenni che non vogliono piegarsi ai compromessi, campano alla giornata, non hanno sogni in grande da coltivare, vanno al cinema, guardano la tv, giocano a palla, e se fanno piccoli furti, rubani libri e computer perché “necessari come il pane”. Maradona non è l’unico idolo che abbia meritato una citazione. A comporre il pantheon dei due protagonisti compaiono varie icone contemporanee: il romanzo Lolita di Nabokov, Bud Spencer e Terence Hill, il bandito Butch Cassidy, Bil Gate, e perfino il regista Lars von Trier» (S. Robiony, “la Stampa”, 20.10.2001).
«Si parla di Maradona nel film? No. Andrea non lo cita neanche. Sappiamo da un discorso di Dolores che videoregistra cassette con prodezze calcistiche (accanto ad altre in cui registra i titoli di coda dei film, come quelli di Europa di von Trier - la cinefilia, passione finora ignota dalle nostre parti: i protagonisti dell'Ultimo bacio sono persone che vanno a vedere due film all'anno, quello con Tom Cruise e quello con Julia Roberts). Maradona, insomma, col contenuto del film, non c'entra un beato cazzo (mi scusino i lettori, ma la visione del film è contagiosa. Ci sono più "cazzi" in Santa Maradona che "fuck" in Le iene). Però il titolo funziona benissimo. Suona bene. Roba da marketing pubblicitario raffinatissimo. Roba che potrebbero progettare, dopo ore di brainstorming, i creativi puntualmente sbeffeggiati nel film. Santa Maradona è infatti un prodotto di successo. Con qualche eccezione, è un film che ai critici è piaciuto pochino, o per nulla […]. E sto parlando dei critici che legge la gente, non quelli delle riviste, che non fanno testo (né funzionano come consigli per la visione). È un film dal pubblico sorprendentemente transgenerazionale: le tredicenni fan di Accorsi, i coetanei dei protagonisti, ma anche i loro genitori e i loro nonni (che magari non capiscono le battute sui vibratori, ma ridacchiano lo stesso). Ha potuto contare sull'effetto apripista di L'ultimo bacio e Le fate ignoranti […]. Ma è un film che ha poco a che spartire con essi. I film di Muccino e di Ozpetek sono film discutibili, anche irritanti, ma cui va riconosciuta una novità nel panorama italiano: finalmente dei prodotti confezionati in modo professionale, su standard europei, e in grado di raccontare dei mondi finora mai rappresentati. Ma Santa Maradona? Che mondo racconta (e come)?» (A. Pezzotta, “Segnocinema” n. 113, gennaio-febbraio 2002).
«Il film segna un esordio vivace, abilmente in grado di tenersi alla larga da luoghi comuni pur riflettendo su di un tema, la crisi di chi si avvicina ai trenta anni povero di certezze e di aspettative, che inviterebbe facilmente a lunghe e noiose derive retoriche. Santa Maradona, al contrario, si serve di una sceneggiatura brillante per rappresentare piccoli frammenti di una realtà, urbana e socio-economica, che si appresta a mutare in peggio pur non avendo ancora raggiunto - siamo nel 2001- l'immobilismo che contraddistingue la stretta contemporaneità. Così, tra il racconto di una amicizia e di una storia d'amore, sfruttando il profilo di personaggi dalla immediata e convincente simpatia, e strizzando l'occhio alle tipiche commedie generazionali, Ponti concentra il suo sguardo su di una Torino per lunghi tratti impersonale, dominata da immensi poster pubblicitari le cui icone osservano con sguardo beffardo l'inutile corsa all'impiego che passa, inesorabilmente, da colloqui infruttuosi e montagne di curriculum vitae dal destino tanto scontato quanto funesto. L'incomunicabilità che il regista, in Amsterdam, aveva già lasciato presagire come uno dei temi più importanti del suo cinema, qui è ben supportata dai dialoghi volutamente surreali dei due personaggi principali, interpretati da uno Stefano Accorsi in attesa di essere definitivamente consacrato da L'ultimo bacio di Gabriele Muccino ed il bravo e quasi esordiente Libero De Rienzo» (S. Miceli, “Quaderni del CSCI” n. 6, 2010).
Le citazioni cinematografiche rendono omaggio a Quentin Tarantino, Kevin Smith, George Roy Hill e Danny Boyle.
Torino, solare, appare con le sue strade, piazze, fontane, con palazzi e, bar e librerie; compare anche lo stadio Delle Alpi, dove i protagonisti si recano per vedere una partita della Juventus.
Scheda a cura di Davide Larocca
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