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Cortometraggi e Documentari |
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The Beirut Apt
Italia/Gran Bretagna/Libano, 2007, DvCam, 50', Colore
Regia Daniele Salaris
Fotografia Fabio Colazzo
Suono Alessandro Colopi
Montaggio Roberto Carini
Interpreti Gavin Hallier (intervistatore)
Produzione Gavin Hallier, Produzioni dal Basso
Distribuzione Malastrada Film
Note Assistente operatore: Alessandro Colopi; con la partecipazione di: Youssef (sciita, ballerino), Maha (cristiana, psicoterapista), Faisal (sunnita, terapista Reike), Rachid (sciita, commesso); coproduzione: Collettivo Don Quixote.
Sinossi
Il piccolo spazio di un appartamento racchiude tematiche di scala internazionale in questo documentario. La legge libanese condanna le persone LGBT, rendendole vulnerabili di minacce e attacchi - anche dalla polizia - scoraggiandone ogni denuncia. Con riguardo alla sicurezza degli intervistati è stato affittato un appartamento dove questi potessero parlare liberamente. Ne emerge uno spaccato della scena queer in Libano, descritta da ragazzi arabi di diverse fedi religiose e background culturali. Dall’infanzia trascorsa in una zona di guerra agli Hezbollah e al rinnovato conflitto con Israele, questioni d’identità, sicurezza e libertà si combinano con tematiche di sessualità e di genere. Nonostante le differenti culture di origine queste eloquenti individualità condividono la lotta per vivere autenticamente in una cultura che nega la loro esistenza.
Dichiarazioni
«In una terra di contrasti, dove gli sfrenati costumi occidentali convivono con l'integralismo islamico dei sunniti Hezbollah, cosa significa essere gay o lesbiche? La tesi di partenza è quella di Amartya Sen, premio Nobel 1998 per l’Economia, che critica l’approccio solitarista alle identità sociali individuando in esso il principio del conflitto, quando cioè un’identità diventa così forte da essere in grado, da sola, di definire un individuo. [...] Per una donna musulmana avere un fratello gay può rappresentare un rischio personale, in quanto scoraggerebbe eventuali pretendenti o, nel caso fosse già sposata, comporterebbe il divorzio. Per l’omosessuale stesso, è inutile dire che nella maggior parte dei casi significherebbe l’allontanamento dalla famiglia. Altro tema portante è quello dell’uso della psichiatria come cura per l’omosessualità: terapie farmacologiche e elettroshock sono utilizzati dalla maggior parte degli specialisti. [...] Abbiamo conosciuto i membri di Helem, la prima organizzazione per i diritti di gay, lesbiche e transessuali del mondo arabo. Da diversi anni Helem agisce su un territorio ostile, ed espone all’ingresso del centro l’unica bandiera arcobaleno di Beirut. Grazie a diversi appoggi internazionali, politici ed economici, dal Canada e dalla Francia, l’organizzazione è ben protetta anche legalmente. E in seguito alla guerra contro Israele dell’estate 2006, quando la sua sede è stata trasformata in un centro di primo soccorso per feriti e sfollati, si è guadagnata il rispetto della comunità circostante. Abbiamo chiesto George Azziz che cosa lo ha spinto a fondare questa organizzazione, come ci è riuscito e qual è il prezzo sociale che ha pagato per la sua battaglia legale al fine di abrogare l’articolo 534 del codice penale che vieta l’omosessualità» (D. Salaris, www.myspace.com/danielesalaris).
«Ho fatto diversi reportage all’estero, il primo dei quali a Potznan, dove la polizia aveva attaccato una marcia per l’uguaglianza. Ho fatto un reportage con Gaytv e da lì sempre con la stessa emittente sono stato a Mosca per il primo tentativo di gay pride e poi a Gerusalemme per il Pride. In quel momento è scoppiata la guerra contro il Libano. Io avevo deciso di fare un documentario breve sugli organizzatori del Pride: un gruppo di lesbiche, che raccontano anche la loro esperienza nell’esercito, e un ragazzo palestinese di Jafah che racconta il suo conflitto quotidiano. Da lì ho deciso di passare dall’altra parte del confine, in Libano, perché ci interessava gettare uno sguardo sui conflitti identitari, da un punto di vista omosessuale, in un paese arabo. Il Libano ci sembra perfetto perché è il paese arabo con più contraddizioni nel Medio oriente, e poi lì c’è l’unica organizzazione glbtq del mondo arabo, Helem. Inoltre il Libano è un paese dove l’omosessualità è penalmente perseguibile. [...] In Israele sono andato con una telecamerina piccolissima e avvicinavo le persone che in pochissimo tempo si aprivano e riuscivano a dirmi cose molto intime, pur conoscendomi da poco, perché questa telecamera non era invasiva. A Beirut volevamo fare un lavoro un po’ diverso. Il problema è che in città è vietato filmare, perché molti attentati sono fatti con telecamere e macchine fotografiche. Per filmare bisogna avere dei permessi televisivi. Quindi è chiaro che era molto difficile parlare all’aperto, soprattutto con i membri di una comunità vietata per legge. Quindi abbiamo deciso di creare questo spazio neutro in cui gli intervistati potevano aprirsi liberamente senza essere giudicati e senza altri libanesi intorno. È stata un’incognita fino all’ultimo. L’invito l’abbiamo lanciato sia attraverso l’associazione Helem sia nelle chat perché volevamo contattare persone che non si avvicinerebbero mai ad un’associazione di gay e lesbiche» (D. Salaris, www.bottega.carta.org).
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