Registro Cinematografico n. 1.506.
Adattamento: Lewis Milestone.
Venturini cercava sempre di fare film a basso costo, ma che avessero un'attrazione spettacolare, un particolare motivo di interesse per il pubblico. Insomma, era riuscito a creare un bell'ambiente a Torino, la gente della buona società insisteva per comparire nei film, mi ricordo che c'era anche chi offriva finanziamenti perché i film andavano bene. La sua sventura come produttore è stata quella di fare La vedova X. Milestone era molto gentile ma si sono sprecati un sacco di soldi per un film uscito male. Io ne ho montato una parte. Avevano fatto venire dall'America una moviola verticale e rumorosa, con lo schermino piccolo, allora una parte l'ho montato io sulla Prevost. Nel 1956 a Torino il cinema era finito, Cinecittà era in grande crisi, così mi trasferisco a Milano tornando a lavorare con i fratelli Donato» (G. Vernuccio, in L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito. Giorgio Venturini alla Fert (1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
«Il film che doveva rappresentare una sorta di culmine, una tappa decisiva nel passaggio dai film di genere, i B movies, ad un prodotto di serie A di vero livello internazionale, ed al quale erano affidate le fortune economiche e le responsabilità del lancio mondiale della produzione Venturini, era senza dubbio La vedova X di Lewis Milestone. [...] Milestone [...] inizia le riprese con la cura ossessiva di cui va famoso. D’altronde lavora con lo story-board sotto il braccio, prepara, prova, controlla. In una gran villa della collina si gira una festa. Le comparse, fra le quali molti rappresentanti della miglior borghesia torinese, sono ormai sotto le luci ma Milestone non chiama il ciackista. Le bottiglie di champagne non sono della marca voluta, o forse sono di marche diverse, il che lascerebbe intuire una cetta mancanza di classe nei padroni di casa. Stop a tutti. Si porti lo champagne adeguato. Fermata per ore. Qualcuno s ne va. La scena viene rinviata al giorno successivo. [...] Riporto questi ricordi di gente che lavorava sul set non certo per scandalizzare e men che meno per gettare polvere su un grande di Hollywood. Al contrario si deve ritrovare anche in questa sfortunata vicenda la serietà professionale di Milestone che non prendeva alla leggera nessun impegno anche il più apparentemente superficiale, come per la storia di La vedova X condannata in partenza alla banalità. Ed anzi proprio per questo si riconferma il suo stile economico: la riduzione al minimo delle inquadrature per un racconto fluido, ininterrotto; le pause - piani sequenza - di collegamento; l’uso di dissolvenze e della luce. Ma se lo stile narrativo era appunto economico non altrettanto lo era il suo rigore nella preparazione del set. [...] Ed infine non si può certo pensare a Venturini nei panni del Tycoon di stampo hollywoodiano che spreme e calpesta l’autore: l’unica sua colpa era semmai di aver iniziato un film da due o trecento milioni avendone in cassa meno di cento! Consumati questi, peraltro già erosi dai buchi aperti in precedenza, parte l’ultimo treno di un produttore… E cioè la prima di centinaia di milioni di cambiali dirette [...]. La vedova X in Italia finisce agli indipendenti che lo rilevano evidentemente dal fallimento, e raccoglie 40 milioni di incasso lordo, cioè meno di un quinto del suo costo, quando viene presentato sugli schermi italiani nel ’56 fra la totale indifferenza» (L. Ventavoli, Pochi, maledetti e subito. Giorgio Venturini alla Fert (1952-1957), Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1992).
«Il solo nome di Lewis Milestone non è sufficiente a riscattare i molti difetti di cui questo film abbonda [...]. La storia della donna che giunta alla maturità cerca di conservare l'amore di un giovane, è troppo poco originale per non richiedere un'indagine psicologica tale da renderla veramente interessante» (U. Tani, “Intermezzo” nn. 15/16, 15-31 agosto 1956).
«”Film insolite”, annoncent les placards publicitaires de La Veuve. On ne saurait mieux dire. Tout est insolite, mystérieux, à la fois attachant et irritant, dans ce film [...]. Lewis Milestone a beau raffiner et multiplier les notations psychologiques, le comportement de sa veuve abusive ne nous convaincs guère. On pense un peu à Gribouille en voyant agir ce mostre d’orgueil et de machiavélisme. Elle nous apparati finalement plus sotte que touchante, et, comme son chevalier servant n’est qu’un garçon inconstant, il faut une certaine bonne volonté pour s’intéresser aux intermittences de ces deux coeurs torturés. Ajoutez que ces intermittences sont évoquées au cours de conversations interminables entre les deux protagonistes [...], parfois même au moyen de monologues intérieurs, et vous comprendrez que La Veuve n’est pas de ces ouvrages qu’on peut recommender sans reserves. Et pourtant le film (du moins dans sa première moitié) n’est pas indifférent. On est même un moment fasciné par le climat de fatalité et Presque d’irréalité que Lewis Milestone crée autour de ses pantins. Quelque chose nous oppresse. Nous sentons peser sur les personnages la main glacée du destin. Nous sommes attirés par le vertige qui les entraîne. Nous avons l’impression qu’une étrange aventure malheureusement bascule bientôt dans le drame mondain, et l’ “insolite” se transforme en fatras psychologique» (J. De Baroncelli, “Le Monde”, 13.2.1959).
«Il film narra una torbida vicenda d’amore, alla quale sembra estraneo ogni elevato sentimento umano. Il comportamento del protagonista che passa con indifferenza da un’amante all’altra, è altrettanto deplorevole quanto la sua fine, che è un suicidio. Le gelosie, gli odi, i propositi, gli atteggiamenti sensuali delle due donne, i discorsi, le superstizioni sono altrettanti elementi negativi che rendono il film moralmente inaccettabile» (Centro Cattolico Cinematografico, Vol. XXXIX/11, 1956).