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ENCICLOPEDIA DEL CINEMA IN PIEMONTE

Cortometraggi e Documentari



Uno scampolo di paradiso
Italia, 2008, HDV, 74', Colore

Altri titoli: A Scrap of Paradise

Regia
Gabriele Vacis

Soggetto
Gabriele Vacis

Sceneggiatura
Gabriele Vacis

Fotografia
Michele Fornasero

Operatore
Giandomenico Musu, Andrea La Mendola

Suono
Davide Favargiotti, Diego Lisfera

Montaggio
Michele Fornasero, Francesca Politano



Produzione
Antonia Spaliviero, Indyca, Cosimo Ammendolia Multiplay

Note

Con la partecipazione di: Gabriele Vacis, Francesco Vacca, Laura Curino, Claudio Lucato, Gabriele Lucato, Canonico Guglielmo Pistone, Stefania De Razza, Simone Vergnano, Roberto Vergnano, Pier Andrea Palumbo, Vittorio Frigerio.

 Documentario realizzato grazie al sostegno di Città di Settimo Torinese, Fondazione Esperienze di Cultura Metropolitana, Piemonte Doc Film Fund, Fondazione CRT, Compagnia di San Paolo, Città di Torino.

Locations: Settimo Torinese.





Sinossi
Una città come  Settimo aveva tute le carte in regola per diventare una banlieue da mettere a ferro e fuoco. Solo che qui è andata diversamente. Perché? Un anziano geometra, uno di quelli che hanno costruito l’Italia di oggi, racconta le sue case. Quelle per i primi immigrati, che venivano dal Veneto e volevano la villetta, che si costruivano da soli nei fine settimana. I palazzoni per gli immigrati degli anni Sessanta; quelli che venivano dal Sud con la valigia di cartone. La storia del geometra si intreccia con quella del vecchio parroco, classe 1910, novantotto anni, che racconta, anche lui, le immigrazioni che hanno fatto la città di oggi: le speranze della sua giovinezza e le paure di oggi, il suo sguardo stupito su un mondo che ha visto formarsi, ma che non riconosce più. Vicende che, come in un mosaico, vanno a comporre la risposta ad una domanda che Marco Paolini, Natalino Balasso, Laura Curino, Moni Ovadia e Lucilla Giagnoni rivolgono a Gabriele Vacis, regista del film: perché continui a vivere in questa periferia?




Dichiarazioni
«Io abito, da quando sono nato, in una città di periferia. Quand’ero piccolo il disagio lo respiravamo coi gas di scarico dell’industria chimica: si andava a scuola in appartamenti prefabbricati e si facevano tripli turni, come in fabbrica, gli immigrati abitavano in case diroccate, in dieci in una stanza col cesso sul ballatoio, traffico congestionato, TIR che attraversavano la via centrale a doppio senso di marcia, la puzza degli scarichi era il simbolo della città. Eravamo malati, una città con corpi estranei che gli crescevano dentro… Negli anni settanta e ottanta la popolazione ha continuato a crescere lentamente, fino a raggiungere quasi cinquantamila abitanti nei primi anni novanta. E da allora siamo quelli. Magari è arrivato ancora qualcuno, ma intanto, tra i primi immigrati, andando in pensione, c’era chi se ne tornava al sud, al paese… Poi c’è il famoso problema dell’invecchiamento: la città della cintura dove vivo io ha l’età media più alta della provincia di Torino. Significa che nascono meno bambini e si muore più vecchi… Nel frattempo però è arrivato qualche nordafricano, un certo numero di polacchi, rumeni e albanesi… Insomma, il saldo demografico è pari e patta. Sempre un po’ meno di cinquantamila. Negli ultimi vent’anni l’attività edilizia è stata euforica. Hanno costruito migliaia di appartamenti. Non esagero, proprio migliaia di nuovi appartamenti: veri e propri quartieri nuovi. E siccome gli abitanti sono sempre cinquantamila, c’è da pensare che ognuno abbia a disposizione molto più spazio. Le vecchie fabbriche sono chiuse e al loro posto ci sono musei etnologici, case della musica e Mediateche. Le fabbriche hanno depuratori, quindi l’aria non è che profumi proprio, ma insomma, puzza meno. La via centrale, che ancora negli anni ottanta era avvelenata dal doppio senso di marcia degli autoarticolati diretti alle tossicissime industrie chimiche, è chiusa al traffico, insieme alle tre piazze circostanti. Ripavimentata, è diventata il passeggio di migliaia di persone che quasi tutti i giovedì, d’estate, hanno la loro notte bianca con negozi aperti e spettacolini nei dehors dei caffè… Ogni tanto ci passeggio anch’io e penso che le notti bianche sono la realizzazione di quel sogno di trent’anni fa: riprendersi la città, riprendersi la notte… La città piena di spettacoli e di persone che si guardano intorno, che vagano nella notte senza meta, per il puro piacere di guardare balconi e finestre che di giorno non si ha tempo di vedere, per il solo piacere di sentirsi in mezzo ad altre persone e guardar crescere i nuovi bambini… Ma i sociologi più attenti dicono che la società è insicura perché i legami sociali si sono indeboliti, perché il territorio si è degradato e le città sono diventate sempre meno vivibili e sempre meno vissute. A me sembra tutto il contrario: mi sembra più vissuta di quando ero piccolo negli anni sessanta… Mi sembra addirittura che abbia realizzato qualche sogno di quand’ero un giovane impegnato negli anni settanta… Anche i nuovi quartieri non mi sembrano abietti come quelli che sorgevano trenta o quarant’anni fa… poi c’è il parco fluviale, ci va un sacco gente, ci vanno in bicicletta, ci vanno a correre e a fare il pic nic attorno ai barbecue comunali, ci portano i cani a passeggio e quasi tutte le domeniche la banda ha un qualche motivo per suonare… Non mi sembra che questa gente abbia paura… Non mi sembra proprio che abbia più paura di quand’ero piccolo… E anche i legami sociali che si sarebbero indeboliti… Io vedo tanta e tanta gente che si saluta, che chiacchiera come quand’ero piccolo sulla panchine di legno in cortile… Vedo tanta e tanta gente che incontrandosi si da appuntamenti, per cenare a casa dell’uno o a casa dell’altro… Per giocare una partita di pallone, per una gita a piedi fino alla Basilica di Superga (ci sono percorsi e sentieri segnalati)… Non so… Forse in questa città ci siamo ritagliati uno scampolo di paradiso…» (G. Vacis, www.unoscampolodiparadiso.com).




Scheda a cura di
Emanuele Tealdi

Persone / Istituzioni
Gabriele Vacis


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