Montaggio RVM: Piero Piquet .
Il documentario è stato trasmesso da Rai Tre in quattro parti di 30’ ognuna.
«l dati sulla crisi industriale a Torino sono noti da tempo. Molto meno conosciuti invece i riflessi che la crisi ha sul tessuto cittadino, le interferenze con i malesseri “storici” di una metropoli cresciuta troppo in fretta. Diventa utile allora viaggiare nel sociale. scrutarne segnali e comportamenti, registrarne contraddizioni e insofferenze. Questo sembra proporsi Cronaca [...]. Quattro puntate di mezz'ora ciascuna come periscopio sul mare della crisi, nel suoi aspetti pubblici e privati. Si passa infatti dalle assemblee (tristissime) fuori dalle fabbriche ai colloqui del tossicodipendenti con gli operatori dei centri (la seconda puntata è da consigliare a tutti quelli convinti, grazie alla Lenad e a "Nuova società", che i drogati siano incapaci di intendere e di volere), dalla Torino notturna dei travestiti ai dialoghi tra donne sul senso di "una maternità in una città come questa", dagli immigrati che coltivano orti sulla ferrovia a quelli (marito-e moglie, entrambi "cassintegrati") che litigano sul ruolo del sindacato. Segre non propone conclusioni o morali, si limita ad offrire una documentazione, a fare "cronaca" appunto, sfruttando l'esperienza accumulata in precedenti lavori sui fenomeni metropolitani [...] Cronaca sembra portare alle estreme conseguenze una tecnica ormai collaudata. A rigore non si può più parlare di interviste: mancando la voce fuori campo a far domande, il piccolo schermo è tutto degli interlocutori scelti di volta in volta. Ad interrogare sembra essere così la telecamera stessa, davanti alla quale I vari "personaggi" si raccontano o dialogano tra loro. Operazione impensabile senza il talento del regista nello scovare persone che "tengano" lo schermo, nel farle sciogliere con naturalezza e senza imbarazzo. Più che con il montaggio, il rischio di annoiare per un eccesso di staticità è dribblato quasi sempre ricorrendo ad una "spettacolarizzazione" di gesti ed oggetti quotidiani. Sovente infatti gli "intervistati" parlano armeggiando in cucina, preparandosi il caffè o mettendo su un disco. La telecamera si sofferma con insistenza, per aiutare a comprenderli, sugli oggetti di cui si circondano: il salotto "buono", il televisore acceso, quel soprammobile, la bambola sul letto, il poster alle pareti» (R. Moliterni, “il manifesto”, 4.3.1982).