«Durante le riprese pensavamo di essere percepiti come degli estranei e di essere di ostacolo, dati i limiti dello spazio in cui ci si muoveva; invece, giorno dopo giorno, ci siamo resi conto di risultare, soprattutto agli occhi dei bambini, parte del laboratorio stesso. Interagire con loro, alla fine, è stato molto facile» (M. Teodoro, Dichiarazione inedita, 2009).
«Il film propone un’immagine dell’infanzia in un momento storico nel quale, per la prima volta in Italia, le scuole incominciano ad essere frequentate in modo evidente dai figli dei migranti. Alcuni bambini cresciuti nel clima multiculturale di San Salvario partecipano insieme alle loro mamme ad un laboratorio teatrale. L’esperienza del teatro diviene così, per i protagonisti del film, uno spazio di discussione in cui mettere in campo non solo discorsi verbali, ma il proprio corpo e le proprie emozioni. Gli incontri settimanali risultano un momento di riappropriazione di se stessi, di scoperta di grandi vicinanze anche tra persone con passato diverso. Le paure che ognuno ha in sé vengono “dette” a turno dai partecipanti, che hanno così modo di esprimere pubblicamente le proprie difficoltà. E questa espressione, accompagnata da quella dei bambini, crea uno spazio di aggregazione e di riflessione, necessario per la costruzione di una società libera dalle divisioni» (A. Vailati, Scheda informativa per la rassegna Immigrazione fra pregiudizio e Integrazione”, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, 2007).