Regia Luca Ronconi
Soggetto dal dramma omonimo di Henrik Ibsen
Operatore Gianni Cattaneo
Montaggio Alberto Massa
Scenografia Eugenio Guglielminetti
Costumi Vera Marzot
Trucco Piera Spalenza, Gianna Lo Re
Aiuto regia Marisa Carena Dapino
Interpreti Omero Antonutti (John Gabriel Borkman), Franca Nuti (Signora Borkman, sua moglie), Marisa Fabbri (Ella Rentheim, sorella gemella della Signora Borkman), Claudia Giannotti (Signora Wilton), Gianni Bonagura (Wilhelm Foldal, impiegato, amico di John Gabriel), Gabriella Zamparini (Frida Foldal, sua figlia), Stefano Madia (Erhart Borkman, figlio di John Gabriel), Susanna Baronetto (cameriera)
Ispettore di produzione Eduardo Ciciriello, Renato Cuzzolin
Produzione Rai
Note Traduzione e adattamento televisivo: Luca Ronconi; luci: Ludovico Negri della Torre; controllo video: Aldo Ferrero; cameraman: Mario Greggio; mixer video: Angelo Punzi; controllo audio: Sandro Borrione; consulente musicale: Giorgio Magri; microfonisti: Dario Foresto, Gianfranco Mainini; edizione sonora: Mario Auriemma; assistente all’edizione: Mario Parrotta; sonorizzazione: Massimo degl’Innocenti; missaggio: Elio Rivero; collaboratore alle scene: Giuseppe Galeotti; collaboratore ai costumi: Barbara Mastroianni; collaboratore all’arredamento: Francesco Meneghini; coordinamento tecnico: Alberto Mozeglio; parrucchiera: Irma Malvicino; collaboratore al doppiaggio: Fausto Banchelli; delegato al programma: Roberta Carlotto; coordinamento della produzione: Carla Fava.
Ibsen scrisse John Gabriel Borkman a Kristiania (Oslo) nel 1896; la prima rappresentazione in Norvegia risale al 1897; in Italia fu messo in scena a Bologna nel 1898 dalla Compagnia di Ermete Zacconi. L’opera si basa in parte su di una vicenda di cui era venuto a conoscenza parecchio tempo prima: nella Kristiania degli anni 50 dell’Ottocento un alto ufficiale era stato processato con l’accusa di frode e condannato a quattro anni di detenzione e ai lavori forzati. Uscito di prigione, l’ufficiale si era isolato completamente e si dice che non parlasse neanche con sua moglie. Anche il concetto nietzschiano del Superuomo gioca un ruolo importante nel dramma.
Questa messinscena - interamente realizzata nello Studio del Centro di Produzione Rai di via Verdi a Torino - è stata allestita da Luca Ronconi appositamente per Rai Due ed è stato trasmessa il 4 gennaio del 1982. Non si tratta dunque della ripresa televisiva dello spettacolo teatrale, ma di un'opera a sé.
Sinossi
John Gabriel Borkman è un ex direttore di banca che è stato in prigione per truffa e falso in bilancio, ma che ritiene di essere stato condannato ingiustamente: aveva investito il denaro affidatogli dai clienti in un grande affare industriale, ma prima di riuscire a restituire il denaro preso a prestito, era stato denunciato dal suo amico Hinkel, da sempre innamorato di Ella Rentheim, fidanzata di gioventù dello stesso Borkman. Ora Borkman vive al primo piano della casa abitata dalla moglie al piano terreno, senza aver rapporti con lei, ma ricevendo di tanto in tanto la visita dell’amico Wilhelm Foldal, il quale lo asseconda nella sua convinzione che un giorno la banca gli chiederà di riprendere il suo posto di direttore. Da giovane Borkman aveva tradito il suo grande amore Ella sposandosi con la gemella di lei, Gunhild, per fare carriera. In seguito alla condanna, Ella si era presa cura del figlio di lui, Erhart, al quale era molto legata; ora vorrebbe che il giovane vivesse con lei e prendesse il suo nome. Borkman accetta la sua proposta, ma non sua moglie Gunhild che si rifiuta di affidare suo figlio alla sorella, con la quale non ha da tempo alcun tipo di rapporto.
Dichiarazioni
«La parola detta sul palcoscenico suscita nel pubblico delle immagini, mentre la parola televisiva non possiede questo potenziale. In televisione d'altra parte la recitazione è più concentrata, sintetica, essenziale di quanto non sia necessario fare a teatro. Inoltre alcuni dettagli di oggetti, o particolari di un volto, o inflessioni vocali, possono essere catturati dalla telecamera e dai microfoni molto meglio di quanto possa fare uno spettatore in platea. Un esempio: il modo in cui ho impostato la recitazione delle due sorelle nel Borkman. Si sono viste altre edizioni di questo dramma di Ibsen: invariabilmente, Ella e Gunhild sono state presentate come rivali, come figure opposte. Io ho pensato invece […] a due donne che, in quanto sorelle gemelle, si capiscono e parlano con linguaggi che non sono in opposizione tra loro. Ogni battuta di una entra nella battuta dell'altra, in modo che si realizzi la compenetrazione tra i loro due discorsi. In teatro avrei espresso questa impostazione dei personaggi soprattutto con invenzioni gestuali; in televisione, invece, ho utilizzato sfumature recitative più delicate e sfumate, quali una gamma di minimali emissioni vocali. […] John Gabriel Borkman è un testo drammatico privo di movimento: uno dei suoi temi è proprio l'immobilità del tempo, la fissità. Si potrebbero tenere gli attori costantemente seduti, fermi a dialogare. Nella messinscena televisiva, invece, ho ottenuto un movimento continuo, sia perché gli attori si spostano molto, sia perché ci sono molti movimenti di macchina e zoomate, cosicché l'occhio dello spettatore viene indotto a spostarsi come per leggere le righe di una pagina. […] Alla staticità del testo corrisponde la limitazione spaziale imposta dal piccolo schermo: l'immagine televisiva tende indubbiamente ad appiattire lo spazio, ed ho accettato questo appiattimento in funzione espressiva. Nel Borkman lo spazio è piatto come una frittata, perché abbiamo una serie di volti che passano davanti ad un fondale scuro. Ma i movimenti di macchina scuotono non poco questo spazio scenico ristretto. Un altro elemento che dà movimento alla messinscena è costituito dai grandi specchi che non solo raddoppiano le figure dei personaggi, ma li mettono in rapporto dialettico reciproco, creano una fittizia profondità di campo, un montaggio interno all'inquadratura che l'arricchisce senza spezzarla. […] Ho sottoposto il testo di Ibsen ad una sorta di riduzione, ad una sottrazione di colore. Ho eliminato i riferimenti alla quotidianità della vita piccolo borghese, ho programmato una recitazione non aulica, ma dai toni bassi, familiari, ho tolto dalla scena tutti i particolari di arredamento non essenziali, perché credo che nell'immagine debba essere presente solo ciò che serve […]. Anche i personaggi sono sottoposti a riduzione: Borkman è sottratto ad ogni tendenza alla magniloquenza (che un'interpretazione a tutto tondo del protagonista suggerirebbe), Ella e Gunhild sono sottratte a tentazioni di sentimentalismo» (L. Ronconi, in A. Balzola e F. Prono, a cura, La nuova scena elettronica. Il video e la ricerca teatrale in Italia, Rosenberg & Sellier, Torino, 1994).
«L'idea di girare I compagni mi venne a Parigi, mentre attraversavo piazza della Bastiglia insieme al produttore Cristaldi, e riflettevo sul fatto che in quella piazza, in cui non restava alcuna traccia dell'antica fortezza, era cominciata una nuova fase storica perché un gruppo di disperati voleva ottenere il riconoscimento dei propri diritti, e fece una rivoluzione per ottenerlo. Di lì sono poi passato a chiedermi che cosa doveva essere uno sciopero alla fine dell'Ottocento, quando alcuni poveri operai privi di cultura, capacità, organizzazione, si mettevano in testa - ad esempio - di diminuire di un'ora il loro orario di lavoro. Volevo raccontare una storia del passato che mi è venuta come commedia, perché io vedo il mondo come commedia: la battaglia sindacale poteva essere rappresentata anche con toni divertenti, perché in ogni momento della vita di ogni comunità umana ci sono amori, scherzi, divertimenti, soprattutto se i protagonisti sono giovani. Ho spiegato la mia idea a Cristaldi, che già aveva fatto I soliti ignoti, e lui ha accettato. Allora ho radunato gli amici ed abbiamo cominciato il lavoro di studio, documentazione, ricerca delle foto, ecc. Benché / compagni fosse ambientato a Torino, fu quasi impossibile girare in città, perché non era rimasto nulla dell'aspetto urbano di fine Ottocento; così ho girato a Cuneo, Fossano, Zagabria, e in altri luoghi. Ricordo che quando venni a Torino nel '63 trovai una città molto caotica, sporca, fortemente degradata a causa della straordinaria immigrazione dal Meridione che allora era in corso. Oggi trovo la città molto migliorata, forse anche perché ormai gli immigrati meridionali sono bene integrati, e mi pure che la gente possa vivere in modo tranquillo e piacevole» (M. Monicelli, “Notiziario dell’Associazione Museo Nazionale del Cinema” n. 68, 2001).
«[…] con Bettina e John Gabriel Borkman l'organizzazione delle riprese televisive è basata su lunghi piani-sequenza che rappresentano visivamente la linearità della scrittura letteraria. Se apriamo un volume contenente un testo teatrale e lo facciamo ruotare di novanta gradi, avremo davanti a noi una serie di righe stampate verticalmente; facendo scorrere i nostri occhi orizzontalmente su di esse, passeremo da una battuta all'altra dei vari personaggi. Questo è proprio il movimento che compie la telecamera di Ronconi spostandosi quasi ininterrottamente in orizzontale verso destra, inquadrando in successione lineare, senza soluzione di continuità, i vari attori che recitano le loro battute. La scenografia replica più volte gli stessi fondali e gli stessi oggetti scenici, mentre gli attori - passando dietro o sotto la telecamera che scorre - si ripresentano varie volte di fronte all'obiettivo. Lo spazio ritagliato dallo schermo televisivo è nettamente diverso da quello teatrale, è puramente virtuale, identificabile con un tempo di percorrenza infinito. […] la linearità di ripresa e la spazialità virtuale che in tal modo viene creata in Bettina e Borkrnan sono tra le più stimolanti caratteristiche del linguaggio televisivo e, non a caso, sono ancora attualmente tra le più utilizzate nella ricerca sperimentale e nella videoarte» (F. Prono, Percorsi teatrali della televisione italiana, in A. Balzola e F. Prono, a cura, La nuova scena elettronica. Il video e la ricerca teatrale in Italia, Rosenberg & Sellier, Torino, 1994).
«La contrapposizione giovani-vecchi è assunta da Ronconi con grande decisione. Tutti i vecchi (da Gunhild a Ella, da Borkman a Foldal) sono vestiti di abiti verdi - completamente, da capo a piedi: Ella si toglie ad esempio il soprabito verde. e appare in un abito parimenti verde -, di un verde muschio, che allude a una realtà marcita, in putrefazione, o fa pensare a qualche sorta di fauna sottomarina. Perché davvero questa casa potrebbe essere benissimo uno spazio sotterraneo, una caverna. È tutto l'ambiente ad avere infatti questo stesso color verde-muschio: il salotto di Gunhild e il salone di Borkman. Verdi le pareti, gli arredi, i tendaggi. Questi ultimi sono chiusi; solo di tanto in tanto vengono leggermente aperti, a farci intravedere un indistinto paesaggio bianco, di neve, fuori dai vetri. Esistono delle porte, sì, ma sono scarsamente evidenziate. I personaggi entrano preferibilmente scostando le portiere di pesante velluto (anch'esse verdi, s'intende), attraverso varchi e fessure misteriose: più che entrare, sembrano sgusciare. […] I vestiti dei vecchi si integrano perfettamente con l'ambiente perché quello è il loro ambiente, lo spazio cimiteriale deputato all'esibizione delle proprie sofferenze. I giovani hanno abiti di altro colore: neri quelli di Fanny e Erhart, bianco avorio quello di Frida. Se i vecchi sono degli sconfitti, dei morituri, i giovani sono neri, sinistri, lividi nella loro immoralità, o falsamente candidi, come si addice a quella demi-vierge che è Frida. Ma Ronconi non indugia troppo sugli aspetti esteriori. Il suo Borkman è un prodotto televisivo che sfrutta il mezzo specifico non tanto in estensione quanto in profondità. […] nel quarto atto avremo degli esterni, come richiesto da Ibsen, ma saranno palesemente esterni ricostruiti in studio televisivo, il più teatrali che fosse possibile immaginare). Per Ronconi l'orrore non è nel dilatarsi dell'habitat domestico bensì, all'opposto, nel suo restringimento. L'inferno è, sartrianamente, spazio claustrofobico, come in Huis clos. Anzi, all'inizio lo avvolge in una oscurità quasi totale, sicché ciò che è inquadrato è il puro ovale delle due donne, spesso senza nemmeno spalle o un po' di busto. La Fabbri e la Nuti possono anche muoversi, camminare nella stanza, ma, fasciate come sono dal buio, mostreranno solo la faccia. C'è la scelta strategica di una messa a fuoco assoluta, eccessiva, tirannica, dei due volti. Ronconi accoglie come decisivo il piano-sequenza, ma risolvendolo tranquillamente come flusso continuo di primi piani. I visi della Fabbri e della Nuti si avventano sullo schermo; l'uscita dell'una corrisponde all'entrata dell'altra. Non c'è ovviamente cadenza naturalistica. Prendono possesso dello schermo così come prendono possesso della parola. Aggrediscono, giustificano, lottano, una contro l'altra, con energia sovrumana e disperata. Ronconi riesce a esprimere così in maniera pungente quello scontro di anime, quell'esplosione dei mostri interiori che contraddistingue - a un livello interpretativo meno scont'ato - il teatro ibseniano. […] Ronconi ricorre a una modalità di ripresa che potrebbe apparire solo sofisticata e intellettualistica ma che è invece funzionale a questa determinazione di privilegiamento del primo piano. […] Il piano-sequenza è la scelta stilistica dì una macchina che fruga vanamente in questo labirinto dell’anima che è sempre la scrittura ibseniana» (R. Alonge, Dal testo alla scena. Studi sullo spettacolo teatrale, Tirrenia Stampatori, Torino, 1984).
Scheda a cura di Franco Prono
|