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Lungometraggi |
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UltrÃ
Italia, 1991, 35mm, 92', B/N e colore
Regia Ricky Tognazzi
Soggetto Simona Izzo, Graziano Diana, Ricky Tognazzi
Sceneggiatura Graziano Diana, Simona Izzo, Giuseppe Manfridi
Fotografia Alessio Gelsini Torresi
Operatore Roberta Orlandi
Musica originale Antonello Venditti
Musiche di repertorio A. Venditti, C. Perrino e T. Tavasanis
Suono Remo Ugolinelli, Corrado Volpicelli
Montaggio Carla Simoncelli
Scenografia Mariangela Capuano
Costumi Katia Dottori
Trucco Stefano Fava, Cristina Cicconi
Aiuto regia Ferzan Ozpetek
Interpreti Claudio Amendola (Principe), Ricky Memphis (Red), Gianmarco Tognazzi (Ciafretta), Giuppy Izzo (Cinzia), Alessandro Tiberi (Fabietto), Fabrizio Vidale (Smilzo), Krum De Nicola (Morfino), Antonello Morroni (Teschio), Michele Comparino (Nerone), Fabrizio Franceschi (Nazi), Fabio Buttinelli (Mandrake), Fabio Maraschi (Cobra)
Ispettore di produzione Giorgio Innocenti
Produttore esecutivo stripslashes(Claudio Bonivento)
Produzione Numero Uno International, Rai Radiotelevisione Italiana (Raidue)
Note Operatore steadycam: Dante della Torre; suono in presa diretta; canzoni: Grazie Roma di A. Venditti, Nordest lambada di C. Perrino e T. Tavasanis; montaggio del suono: Mauro Manfellotti, Romano Pampaloni
Ricky Tognazzi è stato premiato con il David di Donatello 1991 per la Miglior Regia e Remo Ugolinelli per il Miglior Suono in presa diretta.
Sinossi
Principe, membro di un gruppo di ultras romanisti, esce dal carcere dopo due anni di detenzione. Durante la sua prigionia, si è stabilita una relazione sentimentale tra Cinzia, la sua fidanzata, e Red, suo amico e compagno di tifo; i due progettano ora di lasciare la loro città, Roma, per trasferirsi a Terni, in Umbria. L’occasione per comunicare a Principe la nuova situazione è fornita da un viaggio in treno a Torino, al seguito della Roma, impegnata contro la Juventus. Non appena giunti nel capoluogo piemontese, Red, Principe e i loro compagni sono coinvolti in scontri con i tifosi della squadra torinese, nei quali rimane ucciso un loro amico, detto “Lo Smilzo”, accoltellato per sbaglio dallo stesso Principe che, per paura di finire nuovamente in galera, non ammette di essere il responsabile della morte del sostenitore romanista, preferendo invece sobillare gli altri tifosi della Roma alla vendetta contro gli ultras juventini.
Ultrà racconta in maniera iperrealistica una storia di tifo violento, uno dei fenomeni di marginalità più eclatanti della società contemporanea: si tratta, secondo Roberto Escobar, di «un\'Italia che non è mai stata amata dal cinema: l\'Italia metropolitana e violenta, così dura che l\'ideologia e i buoni sentimenti non riescono ad addomesticarne il racconto». Il regista «ha sviluppato quella storia privilegiando l\'ellissi narrativa - la sintesi e l\'allusione - e il montaggio». Il secondo lungometraggio dell’allora trentaseienne figlio di Ugo Tognazzi è «il trionfo del montaggio, della falsificazione del tempo, della sua manipolazione e concentrazione. In questo senso, è molto più americano che italiano. Italiano, e nel senso migliore, è però quel che racconta, italiana è l\'emozione con cui parla di giovani italiani» (R. Escobar, “Il Sole-24 Ore”, 1991, www.mymovies.it)
Non è un film generazionale, bensì film che attraverso diverse generazioni descrive l’umanità disperata di un gruppo di tifosi-teppisti romanisti. «C\'è della passione, in Ultrà. Viene da dire che c\'è della compassione per l\'atroce ingenuità e per l\'ingenua atrocità dei personaggi. Se proprio si vuol cercare un padre, qui, si deve pensare a Pier Paolo Pasolini. L\'oggetto del film di Tognazzi è stato anche l\'oggetto dei film pasoliniani: la marginalità prodotta dalla metropoli, quell\\\'umanità contraddittoria che può affascinare e può spaventare. E però Tognazzi è tanto rigorosamente esterno, anche se commosso, quanto Pasolini era poeticamente, illusoriamente interno. Alla fine, gli uomini del primo sono più duri e più disperati di quelli del secondo. Per loro non c\'è alcuna nostalgico-poetica via d\\\'uscita dalla tragedia» (Ibidem).
I protagonisti utilizzano una lingua molto colorita da espressioni gergali tipiche dei giovani della capitale, un parlato che ricorda appunto nuovamente il grande regista e poeta scomparso: «Ancora pasoliniana - ma solo “oggettivamente” - è la lingua di Ultrà, un romanesco duro, liberato dalle ignobiltà della commedia tradizionale. Quella di Principe, di Red e degli altri è appunto una lingua, non un dialetto: i suoi suoni, le sue parole, le sue costruzioni sintattiche esprimono un\'alterità radicale, una separatezza tragica. Chi la pronuncia, quella lingua, non è una caricatura dell\'italiano cinematografico (e immaginario). E non si lascia ridurre a folclore» (Ibidem).
Escobar giudica Ultrà il film più aspro del nostro cinema recente e uno dei più belli; la scena finale, con uno dei protagonisti (Red) abbracciato all’amico morente nei bagni di una curva dello stadio invasi dall’acqua perché i suoi compagni hanno divelto alcune tubature, gli appare tra le meglio riuscite: «Non c\\\'è, nei film italiani, un\'immagine metropolitana egualmente netta, cattiva» (Ibidem).
La bella la fotografia mostra i vecchi autobus utilizzati dall’azienda di trasporti pubblici torinesi, la stazione ferroviaria di Porta Nuova e l’esterno dello stadio comunale di corso Sebastopoli. Questo non venne più utilizzato per le partite di calcio di Juventus e Torino dal 1990 (l’anno precedente all’uscita di Ultrà), quando venne completato il nuovo impianto del Delle Alpi, realizzato nel quartiere delle Vallette per i mondiali di calcio di Italia ’90; nel 2006, il catino di corso Sebastopoli, notevolmente ristrutturato per le Olimpiadi invernali, è tornato in funzione come Stadio Olimpico.
Scheda a cura di Davide Larocca
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